82. LA GENTE ADORA PIANGERE

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Il mio cuore, come il mare, non ha limiti
e il mio amore è profondo quanto il mare:
più a te ne concedo più ne possiedo,
perché l'uno e l'altro sono infiniti.

Shakespeare

Ed ora eccomi qua, di fronte al suo ritratto, che io stessa ho disegnato con le mie mani.
La sala è vuota, tranne noi tre poveri fortunati vincitori e i relativi prof. E questo mi mette addosso una profonda malinconia. Fra qualche minuto ci sarà la premiazione. Non riesco ancora ad abituarmi all'idea che il mio ritratto affiori sotto la luce dei riflettori e delle telecamere della tv locale, comparendo di fronte all'intera scuola al completo. Coloro che sanno almeno un po' della nostra storia non potranno non trarre le loro conclusioni. Sicuramente sbagliate e poco lodevoli per me. E io morirò di vergogna.

Spero soltanto che Edmund non si riconosca in quel maledetto ritratto. In fondo, forse non è poi così scontato che lo riconoscano, no? La gente non ha tanto colpo d'occhio, di solito, giusto? La prof di Arte in persona non ha fatto segno di averlo riconosciuto. E l'agitazione pre-premiazione non è una scusa sufficiente...

A proposito della prof di Arte: ora mi sorride a trentadue denti. Sembra che il fatto che io, la sua migliore allieva, abbia vinto il terzo posto al concorso la renda estremamente felice. E la soddisfazione ha completamente cancellato il ricordo della mia sfrontatezza di pochi minuti fa. Spero che la memoria non le ritorni al momento dell'Esame di Stato.

Mi sono chiusa in me stessa, e mi sono messa a fissare il mio lavoro, facendo un voto di silenzio. Accanto a me, gli altri due vincitori si scambiano vividi complimenti, non del tutto scremati, rispettivamente, da un velo di trionfo e da uno di invidia.

Io... faccio finta di non esistere.

Osservare il suo ritratto mi fa sentire un senso di conforto nel cuore. Come se quello sguardo profondo, comprensivo, innamorato... sia ancora rivolto a me.

Se solo di fronte a me ci fosse il suo originale, e se avesse lo stesso identico sguardo...

Basta con queste stupide fantasticherie. Con un gesto brusco, che attira non pochi sguardi di sgomento dalla prof di Arte, strattono il mio lavoro per richiudere i quattro angoli di carta sopra al viso di Edmund. Non voglio che mi guardi. E non voglio guardarlo.

Solo ora, sul vetro della buia finestra di fronte, vedo due occhi scuri spalancati per la sorpresa.
Mi volto di scatto.

Edmund abbassa gli occhi su di me, distogliendoli dal suo ritratto ormai nascosto da una frettolosa e non più anonima emoticon.

La sua espressione è del tutto invariata. É sorpreso.
Indaga il mio sguardo, con occhi che scintillano in un modo che mi fa salire un forte rossore sulle guance. Potrei morire di vergogna. Sono talmente imbarazzata che non riesco a spiccicare parola. Ma neppure lui sembra consapevole di avere delle corde vocali.

La domanda che mi frulla per la testa mandandomi in confusione è una sola, e brucia come fuoco sulle guance: lo ha visto?

Il suo sguardo mi dice di sì. Lo ha visto. E si è riconosciuto.

Una voce boriosa e per nulla familiare mi risveglia dal mio stato di trance. Entrambi, ancora con uno sguardo stralunato impresso sul volto, ci voltiamo verso colui che ha parlato. È il commissario del concorso: «Bravissima signorina! Ci tenevo proprio, a farle i miei complimenti di persona! La somiglianza salta agli occhi, ora che vedo l'originale a fianco del ritratto! Bene, bene. Si prepari per la premiazione, iniziamo fra poco!». Poi si rivolge a Edmund con uno strano sorriso: «E quindi è lei, non è vero? La ragazza, intendo... Dal suo tema, non avrei creduto che ci fosse stato un lieto fine! Ma ha fatto bene, ha fatto bene a non svelare il lieto fine, una buona scelta di mercato: alla gente piacciono le storie tristi, la gente adora piangere! Bel lavoro, ragazzi, tutti e due. Peccato solo che i vostri lavori, tanto complementari l'uno con l'altro, non possano essere esposti insieme!».

Detto questo, ammiccando e sorridendo, il commissario si allontana, per andare a fare i suoi complimenti al secondo vincitore.

Viola per la vergogna, con il suono rimbalzante delle parole del commissario nelle orecchie: "ora che vedo l'originale"..., mi volto lentamente verso Edmund, che ovviamente mi sta ancora fissando.

Dopo istanti interminabili, Edmund apre bocca. Con tono sorpreso, leggermente tremante, mi chiede: «É vero? Sono io?».

Ormai, mentire o fingere non avrebbe alcun senso. Il mio disegno si è aperto per me, si è dichiarato ufficialmente al posto mio, mi ha spianato la strada e mi impedisce di fare marcia indietro, o, ancor meglio, ritirata.

«Sì. Sei tu» rispondo.

Il sorriso incerto che si apre sul volto di Edmund mi fa sperare che le mie parole non siano cadute in un vuoto senza fondo.

«Non... non ti dispiace?!» esclamo sorpresa.

A queste parole, Edmund scoppia a ridere: «Diana!» esclama: «Come fai anche solo a pensarlo?!».

«Non so... forse, ti dava fastidio... Insomma, la privacy... Pensavo che ti saresti arrabbiato e... credevo che avresti creduto che io... E poi, voglio dire, la scommessa non era vera, no? Mi hanno detto che... ma io so che tu non faresti mai una cosa simile. Tu... cioè forse Edmund Lloyd sì, ma... ma il Corrotto no! Ne sono certa. E invece io... ti ho urlato di tutto! E me ne sono andata quando mi hai chiesto di restare... ormai... tu, insomma... sì, tu dovresti odiarmi! Cioè, sei proprio certo che non ti dispiaccia...? Voglio dire, io ho... ho ritratto il tuo volto dietro una stupida emoticon come se anche tu... ma io non penso che tu sia stupido. Cioè lo pensavo, sì, ma adesso...».

Edmund alza gli occhi al cielo, esasperato dalla mia loquacità fuori luogo.
«Dy, credi di riuscire a non parlare? Solo per una volta? Così posso dimostrarti ...» poi sorride e conclude: «... quanto mi dispiace!».

Io taccio immediatamente. Edmund sorride al mio silenzio e, finalmente, mi rendo conto che non c'è nessun bisogno di dire niente.

«Ti amo, Edmund».

Sono maledettamente incapace di mantenere fede al silenzio per troppo tempo.

Edmund sorride, divertito. Poi torna serio. Fa un passo verso di me, senza distogliere lo sguardo, finché ogni distanza fra di noi si cancella.

Sussulto elettrizzata a sentire la sua mano cingermi la vita e trarmi a sè. I suoi occhi cercano i miei, poi si abbassano a guardare le mie labbra. Per un istante, ho paura. Paura che tutto questo sia un sogno. Paura del mio primo bacio.
Ma quando lui si china su di me e sento il suo profumo così intensamente come non l'avevo mai sentito, e vedo i suoi occhi così vicini, e sento le sue labbra sulle mie, non ho più paura. Mi sento come se nulla potesse mai distruggere la mia felicità finché lui continuerà a stringermi fra le sue braccia.

Sono felice, come solo chi è felice può capire. E sono felice perché so che la mia felicità è pienamente condivisa.

«Anch'io ti amo, Diana» mormora lui, con un sorriso che cela in sé un intero universo.

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