57. NON PREOCCUPARTI DI FERIRMI

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Cadendo, la goccia scava la pietra

Lucrezio

Lo stesso appostamento di quando le aveva mandato il primo sms. Lo stesso stato d'animo: agitato e determinato.
Lo stesso proposito: dirle la verità.
Edmund era in piedi, addossato alla parete accanto alla porta di legno d'abete della polverosa biblioteca, a qualche metro di distanza da Diana, che parlava con le amiche seduta nel vano della grande finestra, avvolta da una calda luce ambrata.

Edmund la fissò a lungo senza parlare.
Ad un certo punto, prese il cellulare dalla tasca e incominciò a scrivere: ‹Ho deciso di dirti chi sono›.
Premette il tasto invio, senza lasciarsi il tempo di pensare a quanto fosse autodistruttivo ciò che stava facendo.
Vide Diana sobbalzare per la vibrazione del cellulare. Appena lesse il nome del mittente, il volto le si colorò di rosso per l'imbarazzo e gli occhi brillarono per la felicità.
‹Non aspetto altro› rispose.
Edmund chiuse gli occhi. Ma cosa stava facendo?
Col cuore in gola che pulsava a mille, e il panico che gli sfocava la vista, incominciò a scrivere:
‹Sono›...
Si fermò.
Dirglielo così, senza nessun preambolo? Senza mettere le mani avanti? Senza preparare prima il terreno?
Sì, era l'unico modo.
Aveva già fatto tutto quanto poteva fare, ora doveva arrivare ad una conclusione.
Si meritava una conclusione: delle sue sofferenze o delle sue speranze... Purché fosse una conclusione.

‹Sono Edmund Lloyd› scrisse ed inviò.
La vide leggere il messaggio.
La vide arrossire sconcertata.
La vide alzare di scatto lo sguardo su di lui. Incrociò i suoi occhi.

Edmund sostenne il suo sguardo.
Il cuore gli si era tramutato in un enorme gong: qualcuno si divertiva a percuoterlo con tutta la forza e la velocità che aveva in corpo.
Diana stava guardando proprio lui: Edmund Lloyd, il ragazzo in carne ed ossa.
Cercava di leggere l'espressione di Edmund per trovarvi conferma di ciò che aveva letto nel messaggio.
Quando quel contatto visivo si dilungò al punto che nessuno avrebbe potuto negare l'evidenza, Diana sgranò gli occhi.
Stupore, meraviglia e... rabbia.
Diana spinse freneticamente i tasti del cellulare, poi alzò di nuovo lo sguardo su di lui e lo osservò con sospetto, premendo alla cieca il tasto Invio.
Edmund aprì il messaggio, lesse:
‹Sul serio? Mi stai prendendo in giro?›.
‹No›.
Tornò a fissare lo sguardo su di lei, per confermarle quello che aveva scritto, per farle capire che era vero, che era davvero lui.
Diana lesse il messaggio e gli lanciò un'occhiataccia furente.
Si fissarono intensamente negli occhi, finché Diana non distolse sprezzante i suoi, volse bruscamente la testa davanti a sé, e si alzò. Poi gli passò accanto, tirando dritta e senza guardarlo.
Entrò in biblioteca.
Dopo un secondo, Edmund trasse un respiro, e la seguì.
Un fluido caldo tentò di nascondergli alla vista gli alti scaffali fumosi e le scale di legno della biblioteca. Come un'ombra, Diana si stagliava contro la luce delle vetrate che si smaterializzava sugli scaffali, avvolgendoli in galleggianti pulviscoli bianchi.

Vedendola così arrabbiata, Edmund si sentì in colpa per aver disatteso le sue speranze, per il fatto che Il Corrotto era lui, e non qualcun altro.
Diana si era fermata ad un capo della stanza e, appena lo vide entrare, esclamò: «Sei davvero tu!».
Pronunciò quelle parole in tono d'accusa.
«Sì, lo sono» disse Edmund, addentrandosi nella luce surreale della biblioteca, avvicinandosi di qualche passo verso Diana e cercando di mantenersi più calmo possibile.
Camminarle incontro era come procedere lungo la sala di un tribunale in qualità di imputato.
«Davvero?! Tu sei Il Corrotto?» ripeté lei, sempre più incredula. Quella incredulità feriva Edmund più di qualsiasi cosa.
«Sì, io sono Il Corrotto» ribadì, scandendo le parole, prima che lei potesse ripetere quella domanda ancora una volta.
«É impossibile» esclamò, rossa in viso, e scosse la testa.
«No. Non lo è affatto. Forse a te sembra impossibile».
Cercò di rimanere calmo, ma stava incominciando ad arrabbiarsi.
«E quindi... per tutto questo tempo...» disse Diana fra sé, confusa: «Per tutto questo tempo tu sapevi che io ero Lo Spettatore?!».
«Sì... certo!» disse Edmund, con cortesia. Cercava di farle leggere tra le righe, ma Diana non voleva capire il vero significato delle sue parole.
«Da quanto?».
«Da un mese, circa» rispose lui, convinto ormai che Diana dovesse aver intuito tutto quanto e quasi terrorizzato di scoprire la sua risposta.
Ma, ancora una volta, Diana non sembrava aver compreso nulla. «Così tanto?!» esclamò stupefatta.
Ma possibile che non capisse? Con tutte le volte che Il Corrotto aveva chiaramente fatto capire che lei gli interessava, perché Diana non voleva comprendere che anche per Edmund Lloyd era la stessa cosa?

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