33. AVANTI, DILLO, CHE SONO STRANA! - 1

611 57 7
                                    

L'amor di sé resta il valore più prezioso.
Shakespeare

Non posso credere che sia successo davvero. Mi sembra così surreale. Questi programmi su internet ti fanno perdere contatto con la realtà: non sai mai quando la gente pensa davvero quello che scrive.

E così, questa è l'immagine che il mondo ha di me.

Una ragazza bruttina e trasandata, con un'informe massa di ricci di un colore osceno, con gli occhiali, e così stupida da non riuscire a prendere più di 0 nella verifica di Matematica.
Ne ho un'ulteriore conferma. Questa sono io, questo è il mio biglietto da visita. Tutte quelle volte in cui mi sono guardata allo specchio ed ho visto una ragazza con una certa dose di bellezza potenziale nascosta da un look trasandato e poco curato... mi sono sbagliata.

Non posso credere che il mondo mi veda davvero così: é un incubo, quello che sto vivendo adesso. Ora aprirò gli occhi, e tutto sarà finito. Nessuno ha tentato di prendere le mie parti. Solamente Jolly.
Il Corrotto si è persino disconnesso.
Forse aveva un impegno importante e non gliene importava di quello che stava accadendo.

Ma è davvero questo, quello che vedono le persone? Sono davvero come mi ha descritta Lyra?

E poi, non posso mandare giù questa storia su Edmund Lloyd. Non riesco proprio a digerire il fatto che dall'esterno possa sembrare che io sia pazza di lui al punto da cercare di accalappiarlo.

Io, estrema nullità, accalappiare uno dei più bei ragazzi della scuola. Così tutti penseranno di me che non valgo neppure un sedicesimo di quanto vale lui.
E io so che questo non è vero.

Le ragazze mi sparleranno alle spalle e diranno tra loro: «Ma l'hai vista quella?! Come ha fatto a mettersi con uno così?».
Manco morta, ci starei, con uno così! É un deficiente, manca totalmente di sensibilità, non gli piace leggere, si mette camicie rosa, manca di rispetto alle persone e sta solo con ragazze oche.

Io non voglio essere una di quelle ragazze oche. E non lo sarò mai. Io, accalappiare uno così? Mai e poi mai. Assolutamente no. Ma neanche per sogno. Neppure in un incubo.
Mi guarderebbero tutti come un fenomeno raro e mostruoso: «La ragazza che se l'è accalappiato!».
E poi, come possono credere che mi venga dietro? É ovvio che non è così: lui va dietro a quelle biondine, con i capelli diritti come spaghetti e sempre sciolti, con gli occhi cerchiati di nero e le ciglia lunghissime, con la pelle liscia e priva di punti neri, sempre perfettamente abbronzate, con le spalle scoperte e le ballerine con le borchie.
Ecco, diciamo, l'esatto opposto di me. É un insulto alla mia intelligenza pensare che io voglia prendere il posto di una di quelle oche nel cuore di un ragazzo vestito di rosa!
So bene che il mio aspetto oggi rispecchia il mio umore nero e che, di conseguenza, sono ancora più brutta e trasandata del solito. So bene che queste scarpe orribili e rovinate verranno guardate con disgusto e i miei capelli saranno considerati addirittura inguardabili.
Lo so. Ma non riesco a preoccuparmene. Questa in fondo sono io, sono sempre stata io e sempre lo sarò. La gente non si renderà neppure conto del mio cambiamento. Anzi, se fossi venuta a scuola truccata, con i tacchi e i capelli rifatti dal parrucchiere, li avrei scioccati tutti e sarebbero rimasti sconvolti dalla novità, a dire fra di loro: «Ma cosa crede che, truccata così, sembrerà più carina? Che non si faccia illusioni, che è meglio».
Ecco perché preferisco avere un aspetto nero come quello che ho stamattina: uscire dalla maschera pirandelliana di ragazzina bruttina e trasandata è talmente difficile da risultare impossibile. E allora preferisco immergermici di più e dare a tutti questo chiaro messaggio:

«Non mi importa cosa pensate di me, non devo essere diversa da quello che sono solo per piacere a voi».

Eccomi: sono in corriera, con un paio di jeans chiari un po' troppo lunghi, una felpa larga di colore blu con su scritto: "Sportish", una coda di cavallo che tiene legati i miei orribili capelli rossi, un enorme orologio maschile come quelli che piacciono a me, e un paio di giganti scarpe da ginnastica.

Qui, con la testa accasciata sul finestrino della corriera, ad osservare l'orribile mio riflesso azzurrino nella luce dell'alba.
Sapendo che oggi ho un'interrogazione di Scienze per cui non ho studiato.

Voglio solo passare inosservata e arrivare il più in fretta possibile alla fine della giornata.
Ci sono giorni in cui vivere, e giorni in cui sopravvivere. Oggi è un giorno in cui sopravvivere: in cui tirare avanti senza mai attirare l'attenzione su di me.

Eccolo, è salito dalla porta davanti a me e non ho fatto in tempo a distogliere lo sguardo.
Gli lancio un'occhiataccia: Tu, arrogante damerino! Non credere che io ti venga dietro, sai!

Lui mi rivolge uno sguardo imbarazzato per qualche secondo. Sembra insicuro su cosa fare: se salutarmi e sedersi accanto a me come fa quasi sempre, o ignorarmi. Il mio sguardo lo incoraggia evidentemente a fare quest'ultima cosa, perché passa oltre, senza neppure un saluto.

Poi penso che, in fondo, lui non sa niente di cosa è successo ieri e che non c'era bisogno di essere così incivili.
Ma non riesco proprio a pentirmene. Che gli sia ben chiaro sin da subito che io lo detesto.

Deve essergli sembrato uno dei miei soliti schizzi d'umore: un giorno lo saluto e gli parlo come ad un vecchio amico, il giorno dopo non lo guardo neppure.
Bah, adesso non ho voglia di pensare alle sue ferite d'orgoglio. Ho già abbastanza da pensare alle mie.

Non riesco a parlare con nessuno di quello che è accaduto. Come al solito, tendo a tenermi tutto dentro. Così, al momento sbagliato e nel posto sbagliato, scoppio come una pentola a pressione. Forse farei meglio a raccontare tutto a Francesca...

«Sai cosa mi è successo ieri?» incomincio.

«Che cosa ti è successo?».

«Una ragazza che non conosco mi ha insultata con un mio amico, e questo mio amico me lo ha riferito».

«Davvero? E chi era?».

«Te l'ho detto, non so chi era la ragazza. Ma ha detto delle cose di me che mi hanno piuttosto ferito».

«Su, dai, non te la prendere! Quella non ti conosce neppure! Forse è solo invidiosa di te. Comunque, se ti conoscesse meglio, sono sicura che cambierebbe idea!».

«Ma se non ti ho neppure detto che cosa ha detto» esclamo indignata.

«Beh? Che ti ha detto?».

«Che... Non importa».

«No, dai, dimmelo!».

«Senti, secondo te, i miei capelli sono così brutti?».

«No! Assolutamente. Tu ti senti a disagio per i tuoi capelli, come io mi sento a disagio per il fatto che sono bassa. Ognuno ha i suoi punti deboli».

Ha paragonato i miei capelli al fatto che è alta solo 152 cm.
Ma non capisce che così mi fa solo stare peggio?
In fondo io non detesto i miei capelli. Il mio rapporto con loro è di amore-odio. Alcune volte li amo perché sono originali e, se curati, possono essere molto belli. Altre volte, li odio perché mi rendo conto che sono troppo diversi dalla media e che non rientrano affatto nel canone di bellezza del nostro secolo.
Ma non è esattamente come essere alta 152 cm, no?
Arrivate a scuola, mi sento ancora più demoralizzata di prima.
Parlare con le amiche non fa sempre bene, evidentemente...

Dragonfly BlogKde žijí příběhy. Začni objevovat