14. AVREI FATTO MEGLIO A STARE ZITTA - 1

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Ho provato, ho fallito.
Non importa, riproverò.
Fallirò meglio.

Samuel Beckett

Due ore di verifica di matematica possono sembrare mesi, se non sai cosa scrivere sul protocollo. Ma, alla fine, quando suona la campanella, non ti senti per nulla sollevato: il tuo cuore batte lo scadere del tempo come le lancette del tempo, e l'ansia cresce in modo esponenziale.

Non voglio essere la prima ad alzarmi, sarebbe uno spiattellare in faccia al prof: «Toh, guarda: ho avuto la buona volontà di aspettare che suonasse la campanella, ma non ne potevo più».
Quindi devo aspettare ancora un pochino.

Ma non troppo, perché allora sarebbe un'esagerazione al contrario. Forse dovrei smetterla di farmi tutti questi problemi, alzarmi, consegnargli il foglio e andarmene, dato che è ricreazione.
Sì, farò così.

Mi alzo e metto un piede avanti all'altro, contando ogni pietruzza del pavimento a graniglia.
Quando arrivo in fondo, per errore, alzo gli occhi sulla cattedra. Il prof non mi guarda e non dice niente, ma percepisco un'aura di rabbia attorno alla sedia verde su cui è avvinghiato. Le dita delle mani sono conficcate nei braccioli, i polsi hanno tutti i muscoli in evidenza e il piede destro è in preda ad un tic nervoso.
Dà un'occhiata al mio compito e distoglie lo sguardo.
Invece, Edmund lo sta guardando come se fosse interessato a quello che ho scritto, nonostante sia ben poco. Mi viene voglia di dargli un calcio. Ma fingo di non accorgermene, ed esco dalla classe.

Chiara e Tommy, gli unici con cui ho voglia di parlare dell'accaduto, mi seguono in un angolo un po' più tranquillo del corridoio della scuola.

Chiara mi abbraccia. Cosa che mi dà un fastidio mai provato prima nei suoi confronti.

Il tono della sua voce è di puro compatimento: «Oddio! E ora come lo recuperi? Quanto mi dispiace... Se avessi saputo che la situazione era tanto disperata, ti avrei aiutato... Perché non hai aperto il mio bigliettino?».

Tommy si intromette: «Non dire sciocchezze, Chiara: se l'avesse fatto, sarebbe stato molto peggio! Cosa credi, che il prof non se ne sarebbe accorto, forse?». Poi si rivolge a me: «Ma almeno hai scritto qualcosa?».

«Ho provato a fare il terzo esercizio, ma ignorando il doppio logaritmo».
Tommy mi fissa con una faccia piatta che sta a dire: tanto meglio non fare niente. Ma tace.

«Non vi preoccupate. Davvero. Ormai è finita. Almeno una volta nella vita dovevo pur fare un'esperienza simile».

Chiara però non riesce a trattenersi: «Ma ho fatto un calcolo, che, dato che abbiamo altre due verifiche, devi prendere due 9, se vuoi il 6 e, inoltre, hai già un 5!».

«Chiara, davvero, non ti preoccupare. Recupererò».

Una voce alle mie spalle sta dicendo: «Cavalieri, il prof di Matematica ti vuole parlare».
Mi giro verso chi ha parlato, ossia...

Edmund! Sempre lui! Non lo sopporto più.

«Dove?» cerco di nascondere l'agitazione.

«In classe».

«Oddio».

Chiara mi guarda come se dovessi andare al patibolo.
Tommy, più concreto, mi chiede se voglio che mi accompagni. No, grazie, preferisco andare da sola.
Però non mi muovo.

«Perché ha mandato te?» accuso Edmund.

Edmund mi guarda come se non capisse: «Cosa?».

«No, dico, perché doveva mandare te? Io non ti conosco, e, per di più, sei, a quanto dicono, piuttosto bravo in matematica. E allora perché il prof ha mandato te? Non poteva mandare un mio amico? Doveva proprio prendere te?».

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