80. SAREBBE A DIRE CHE NON POSSO

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Non è meraviglia che il caso possa tanto su noi

dal momento che noi viviamo a casaccio.

Michel de Montaigne, Saggi

«Diana! Finalmente ti ho trovato! Vogliono tutti i concorrenti di là, nella sala grande!».
«Tutti i concorrenti? Di che sta parlando, prof?» le abbaio, arrabbiata di essere stata interrotta proprio mentre Edmund sta prendendo in mano il microfono.

«Tutti i concorrenti, esatto: quelli della sezione artistica, non letteraria. Devi venire di là, insieme agli altri».
La guardo sconcertata per qualche secondo. Mi sta davvero dicendo che devo andarmene da questa sala - proprio ora! - e lasciare che Edmund faccia il suo discorso senza di me? Mi sta davvero dicendo che devo saltarmi a piè pari uno dei più importanti momenti della mia vita?

«No, prof, adesso proprio non posso» rispondo in tono categorico, infischiandomene della sua reazione.
«Come sarebbe a dire che non puoi?!» la prof fa eco al mio tono sconcertato.

«Sarebbe a dire che non posso proprio, ecco. Sarebbe a dire che non posso lasciare questa sala. Niente da fare». Incrocio le braccia e dirigo il mio sguardo verso il palco.

Alle mie parole, la prof mostra evidenti segni di nervosismo.

«Ma non fare la stupida, Diana. Quelli del concorso vogliono annunciare in privato agli artisti chi fra di loro ha vinto i primi tre premi. Così, appena avranno finito con la premiazione di Lloyd, presenteranno i tre lavori vincenti in presenza dei tre vincitori. Non puoi rifiutarti. Il tuo comportamento è degno di una bambina di quattro anni. Non mi far fare brutta figura!».

«Faranno senza di me. Tanto io non ho vinto».
«Ora mi stai facendo proprio innervosire, ragazza!».
«Pazienza!» alzo addirittura le spalle, pronta per la crisi di nervi che sicuramente avrò fra pochi minuti.
La prof mi sta guardando con occhi di fuoco. Ma io non ho alcuna intenzione di cedere.
Non posso perdermi il discorso di Edmund. Non per uno stupido concorso!
É già tanto se ho partecipato a quella malefica iniziativa, e se sono riusciti a prendersi il mio disegno prima che io facessi in tempo a bruciarlo. Ora non ho intenzione di concedere loro più di quanto gli ho già dato! Edmund mi ha detto di restare qui, e io ci resto.
Non sono mica stupida, eh? Ne va della mia felicità personale, maledizione. Piuttosto mi faccio bocciare.
E poi, sono ancora tutti in questa sala, posso andare di là più tardi, insieme a tutti gli altri, giusto?

Io non ho vinto un bel niente. Al massimo sarò arrivata quarantasettesima o giù di lì. E, se mai, per un brutto scherzo del destino avessi vinto uno dei primi tre premi, farebbero comunque in tempo ad avvisarmi.

Ma, in quel caso, mi defilerei per la vergogna e mi rivedrebbero solo il giorno della prima prova d'esame! Non ci penso proprio a farmi vedere a fianco del ritratto di Edmund. Io e lui (il ritratto, non Edmund ovviamente) non staremo mai nella stessa sala. Non c'è spazio in questo mondo per tutti e due.

«Vuoi una nota sul registro, è così?! Vuoi farmi perdere la pazienza?! Non fare la bambina, Diana Cavalieri, altrimenti ti porto di là a forza. Non ho intenzione di fare brutta figura per colpa di una ragazzina viziata!».
«Perché si arrabbia così, prof? Verrò, non appena mi sarà possibile. Tanto, ora, sono ancora tutti di qua. Se faranno il mio nome fra i primi tre, lei può farmi chiamare e io torno immediatamente. Ma, fortunatamente, dubito molto che sarà così!».

La prof ebbe una crisi di nervi: «Dio mio! Ci mancavi solo tu, con i tuoi stramaledetti capricci da bambina viziata! Io non ne posso più! Non ne posso più. Vado in pensione. É una promessa! L'anno prossimo, puoi starne certa, non mi rivedrai più, perché io me ne vado!».

«Spero proprio di non vederla, l'anno prossimo, prof, visto che ho tutte le intenzioni di farmi promuovere, quest'anno!».
«Ah, ma puoi starne certa: se non ti fai vedere in quella sala fra meno di un minuto, puoi dire addio all'università!».

Improvvisamente, gli occhi mi si riempiono di lacrime. Non c'è alcun modo di ricacciare indietro un paio di lacrime, e tutte quelle che seguono. Perché il destino è contro di me?
Perché non mi vuol permettere di essere felice? Perché, proprio ora che io e Edmund eravamo vicini ad un chiarimento, tutto ci viene contro?

«Prof, la prego...! Non sa che cosa mi sta costringendo a fare! Non sa che cosa potrei perdere, per colpa di questa stupida premiazione!».
La prof rimane interdetta, a fissarmi. Senza parole, con gli occhi sbarrati, mi guarda come fossi una specie di extraterrestre, o come un animale raro, o come uno strano fenomeno fisico di cui invano cerca di indagare la causa.

Infine, ritrovando la voce, assume un tono serio e dice: «Sei arrivata terza».
«Che cosa?!».
La mia espressione ha sortito l'effetto desiderato: la prof sembra ancora più sorpresa. Legge nei miei occhi disperazione e ansia. Non riesce a capire come sia possibile che io mi disperi alla notizia di aver vinto un concorso.

«Che cosa ha detto? Può... può ripetere?!».
«Ho detto che sei arrivata terza. Per questo, non puoi assolutamente rifiutarti di venire di là. E, mi raccomando, non far capire che te l'ho già detto, eh?».
Poi, guardandomi per qualche secondo, aggiunge, più rivolta a sé stessa che allo straccio livido di ragazza che le sta di fronte: «Tanto, a questo proposito... temo non ci sia alcun rischio, con quella faccia».

Io non pronuncio parola. Lei aggiunge: «Quando te lo diranno, spero che non farai quell'espressione, mio Dio! Ci sono telecamere dappertutto... Ma che cosa ti prende, santo cielo!?».

«Nulla, prof... Assolutamente nulla... Dove ha detto che devo andare?».

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