Capitolo 57

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<<Guardami>> mi intima la donna dal camice bianco, puntandomi la luce nell'occhio. Seppur il mio sguardo sia focalizzato sulla piccola torcia accecante, riesco a percepire quello teso di Justin, il quale se ne sta in piedi a braccia incrociate in un angolo, sulla mia pelle che mi mette non poco a disagio.
<<La pupilla reagisce in modo normale>> constata la dottoressa Fay, prima di posare l'oggetto tra le sue mani ed afferrare, invece, una penna con la quale inizia a scrivere su quello che presumo sia un referto medico. Osservo attentamente il movimento veloce e deciso della sua mano e come la sua fronte si corruga leggermente mentre lo compie.

<<Quindi posso tornare a casa?>> le chiedo speranzosa.

Sono in questo pronto soccorso da due ore, ormai, ed è più di quanto avrei mai desiderato poterci stare. Non mi piacciono gli ospedali, i corridoi grigi e tristi e l'odore di disinfettante, non mi sono mai piaciuti; mi fanno pensare a cose a cui preferisco non pensare.

La donna annuisce. <<Sì, ma evita i movimenti bruschi e cerca di riposare. Potresti sentirti un po' disorientata ed avere dei capogiri nelle prossime ore>> si raccomanda prima di congedarsi dalla stanza.

<<Mi hai fatto spaventare da morire.>>
Stringo le dita intorno al bordo del lettino sopra al quale sono seduta, osservando i miei piedi penzolare da esso, piuttosto che trovare il coraggio di guardare Justin. Mi ha visto perdere i sensi sul ciglio della strada, è comprensibile che si sia spaventato.

<<Sto bene>> gli rispondo. Beh, almeno fisicamente è così, ma dopo quello che ho visto non posso garantire per il mio stato emotivo e psicologico.

Timorosa, alzo lo sguardo verso di lui e lo vedo scuotere la testa, un'espressione seria sul suo volto, come se non mi credesse. <<Cassie, sei svenuta ed hai sbattuto la testa. Non stai affatto bene>> nel suo tono di voce scorgo la preoccupazione, ma anche la volontà di capire quello che gli sfugge.

<<Ho detto che sto bene>> ripeto con un tono ed un'acidità che stento a credere mi appartengano e che sconvolgono me tanto quanto lui. Faccio un respiro profondo nel tentativo di calmarmi e ricordarmi che non ho alcun diritto di riversare la mia agitazione su di lui, la cui unica colpa è quella di volersi assicurare che io stia bene. E allora, con occhi bassi ed una voce che somiglia più alla mia, cerco di rassicurarlo. <<È stato solo un calo di pressione e questo- indico il taglio da tre punti sulla mia tempia sinistra -questo è solo un graffio.>>
Lui fa per parlare, lo vedo; vuole dire qualcosa, ma non lo fa e non so se essere più grata o frustrata per questo. Quello che, invece, so è che voglio uscire da questo posto tetro e freddo il prima possibile; non mi sento al sicuro qui, ma credo che ora come ora non possa sentirmi al sicuro da nessuna parte. Perciò balzo di scatto in piedi, mossa che mi procura subito un giramento di testa e mi fa pentire di non aver dato ascolto agli avvertimenti della dottoressa.
Barcollo, ma prima che possa ripetere la scena di qualche ora fa, davanti alla pizzeria, due mani dal tocco caldo e familiare mi avvolgono le braccia, in modo tale da potermi sorreggere.
<<Fa' attenzione>> mormora Justin alle mie spalle. Mi volto e finisco con incrociare i suoi occhi color caramello. Rimango senza fiato per il modo in cui mi sta guardando; come se fossi un piccolo vaso di porcellana in procinto di cadere e rompersi in mille pezzi ed io non voglio essere questo.

Non voglio essere fragile.

Non voglio essere debole.

Non più.

<<Portami a casa>> la mia è una supplica, più che una richiesta. <<Per favore.>>
Lui annuisce, una mano sulla mia schiena mentre con l'altra afferra la mia giacca di jeans e mi guida fuori dall'edificio.

DisasterWhere stories live. Discover now