Capitolo 9

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È notte inoltrata quando il rumore di vetri andati in frantumi mi sveglia di soprassalto, costringendomi a salutare ancora una volta il mio DiCaprio; è evidente che io ed il mio futuro marito non potremo mai avere un minuto di privacy. Che ingiustizia.

Un altro rumore, molto simile al primo, giunge alle mie orecchie, convincendomi a balzare immediatamente fuori dal letto. Con calma e sangue freddo raggiungo silenziosamente l'armadio, dal quale estraggo la mia mazza da baseball. Non so nemmeno perché la abbia dal momento che non ho mai praticato quello sport, ma in momenti come questi è sempre utile averne una alla mano.

Con molta cautela mi dirigo in corridoio e, non trovando niente di anomalo, decido di andare a controllare al piano di sotto, facendo attenzione a non fare scricchiolare gli scalini sotto ai miei piedi e a non emettere il benché minimo suono.

È proprio in momenti come questi che nei film Horror la tizia fa sempre una brutta fine.

Perlustro la zona, seppur al buio. Niente di niente nemmeno in soggiorno.

La mia bambina interiore vorrebbe urlare e correre al piano di sopra sotto al letto in preda al panico, ma non le permetto di prendere il sopravvento.

Vado verso la cucina ed è proprio dietro all'isola che vedo, nel buio, una figura indistinta, un'ombra voltata di spalle.

Okay, Cassie, è il momento di agire.

Armata solo di una mazza e di tutto il mio coraggio scatto immediatamente dal mio nascondiglio dietro la credenza per attaccare quello che ha tutta l'aria di essere un ladro, quando la sagoma non identificata infrange altri vetri e un ''fanculo'' esce dalla sua bocca, facendomi fermare con la mazza a mezz'aria.

Quella voce la riconoscerei ovunque.

Immediatamente, accendo l'interruttore della luce.

«Tyler!» esclamo come se avessi appena colto un bambino a rubare caramelle.
«Giuro, non sono stato io!» dice voltandosi con le mani in alto, colto sulla scena del crimine, «Sono ca-caduti», sghignazza e a malapena riesco a capire le sue parole.

Bene, è completamente ubriaco. Razza di irresponsabile, imbecille e coglione che non è altro!

Lo ucciderei se non fosse praticamente già andato ed ucciderei anche chiunque sia il barista incosciente che abbia dato da bere ad un sedicenne.

«Lascia stare, potresti tagliarti», mi avvicino a lui chinandomi ed iniziando a raccogliere i resti di quelli che presumo fossero bicchieri con molta attenzione. «Me ne occupo io, tu siediti», ordino e stranamente mi dà ascolto; se non altro devo riconoscere che il Tyler sbronzo è sicuramente molto più ubbidiente di quello sobrio.
«Volevi prendermi a mazzate?» chiede scoppiando a ridere nuovamente. Almeno ha la sbronza allegra e non rabbiosa come quella di nostra madre.
«Non sarebbe stata una cattiva idea» rispondo sarcastica -ma nemmeno più di tanto- continuando a sistemare il casino che ha combinato, raccogliendo pezzo dopo pezzo. È ironico e quasi poetico come i cocci di vetro forniscano una perfetta rappresentazione della mia vita: impossibile da poter aggiustare.

«Sei arrabbiata con me?» d'un tratto il suo tono si fa più serio, quasi malinconico.
«Oh, ci puoi scommettere!» esclamo, alzandomi di scatto dalla mia posizione; sospiro quando, però, incrocio il suo sguardo, tanto provato dai sensi di colpa «Ma mi passerà, proprio come la tua sbronza», ammetto successivamente, aprendo il frigorifero e porgendogli un bicchiere d'acqua appena riempito. Tyler alza un sopracciglio confuso, con tutto quello che ha bevuto mi sorprende che abbia ancora sensibilità alla faccia, «Bere molta acqua ti aiuterà», gli assicuro con un tono quasi dolce.

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