Capitolo 42

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«Ti rendi conto?» gli domando indignata, una volta poggiatami agli armadietti.

«Credevo fossi in comunità», osservai senza alcun entusiasmo nella voce. Vederla di fronte a me dopo tutti i mesi passati e le cose che erano successe mi aveva provocato una gran confusione, che presto si era trasformata in rabbia verso la donna che mi aveva messa al mondo e che, però, mi aveva anche lasciata andare alla deriva.
«Ci sono stata», disse incurvando in un debole sorriso le labbra coperte da una leggera passata di rossetto. Fece un passo verso di me ed io, come di istinto, mi ritrovai ad indietreggiare; non perché temessi che potesse farmi del male, quello me lo aveva già fatto abbastanza, ma perché non mi sentivo pronta a starle troppo vicino e volevo mettere più distanza possibile tra noi due.

Lei parve accorgersi della mia riluttanza. «Ne sono uscita, sono pulita adesso».

Non dissi niente, semplicemente perché non bastava, non bastava affermare di essere cambiata, -sempre ammesso che lo fosse-, per cancellare dalla mia memoria tutti i torti subiti sulla mia pelle e su quella di mio fratello e probabilmente niente sarebbe mai bastato.

Restai ferma, immobile, avvolta in una sorta di apatia apparente mentre la mia mente correva alla velocità della luce.

Mi voltai verso mio padre che era rimasto in silenzio dietro di me. Potevo leggere la preoccupazione nei suoi occhi azzurri; probabilmente si stava aspettando un qualsiasi segnale da parte mia. Entrambi lo stavano aspettando.

Deglutii a fatica, prima di ritrovare la forza per parlare, «Voi due state...»
«No», mi interruppe lui ancor prima che finissi la frase, «Io e tua madre non siamo più legati da alcun sentimento, non di quel tipo, almeno».

Mi sentii sollevata sentendo quell'affermazione. A differenza di molti altri figli di persone divorziate, non avevo mai desiderato vedere i miei genitori stare insieme a tutti i costi, non se questo avrebbe significato ributtarsi a capofitto in una relazione tossica. Volevo che soprattutto mio padre trovasse una persona che potesse renderlo felice sul serio.

E sapevo che quella persona non era lei.

«C'è solo un profondo rispetto tra di noi», asserì mia madre ed io mi chiesi come una donna che non aveva mai avuto rispetto neppure per se stessa potesse provarlo nei confronti di qualcun altro.

Arricciai il naso. «E allora, che ci fai qui?»

«Una madre non può voler passare del tempo coi propri figli, adesso?»
Avrei voluto dirle che la sua affermazione era inattaccabile... Se avesse parlato di un'altra madre, perché, purtroppo, io la conoscevo fin troppo bene per capire che non erano quelle le sue intenzioni. Ma, ancora, tacqui.
Mi scrutò attentamente da sotto le lunghe ciglia, folte come le mie. «Dio, sembri così... Diversa».

«Sono diversa, ma tu questo non puoi saperlo perché non ci sei stata», questa volta non potei fare a meno di replicare.

«Cassie», mi chiamò con tono severo papà, ma tutti, in quella stanza, sapevamo che avevo detto la cruda verità.

«No, Robert», lei gli fece un cenno e si avvicinò di nuovo a me. Mi convinsi a restare ferma ed impassibile sul posto, senza allontanarmi, perché non gliela volevo dare vinta nuovamente. Quando giunse a una distanza ravvicinata, parlò: «Hai ragione, non sono stata un buon modello per te e Tyler. Ho fatto tanti, troppi sbagli e per questo sono qui a chiederti scusa», confessò e a quel punto gli occhi le divennero leggermente lucidi. Mi afferrò le mani cogliendomi alla sprovvista e quasi volli ritrarmi dal suo tocco freddo. «Mi dispiace per tutte le cose che vi ho fatto subire, ma ti assicuro che non sono più quella persona».

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