Capitolo 11

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«La cena è davvero ottima, Silvia», mi complimento con la padrona di casa, la quale mi mostra un sorriso a trentadue denti. «Ti ringrazio, Cassie», risponde, poi, lei gentilmente.
«Sul serio, devi darmi la ricetta di questo dolce» e mi lecco i baffi; la crema si scioglie in bocca.
«Con piacere, cara. Magari la prossima volta potremmo preparare qualcosa insieme. È bello vedere che qualcuno mostra interesse per la mia cucina», dice, mandando frecciatine non tanto velate al marito, seduto a capotavola.

«Ehi, io non ti avrei sposato se fossi stata una pessima cuoca», interviene il diretto interessato masticando avidamente un boccone, facendo, così, roteare gli occhi alla moglie e ridere gli altri presenti; noto con piacere che le cene a casa Evans non sono cambiate affatto.

«Aaron, come va con la squadra? Vincerete questo campionato?» interviene mio padre; ama veramente lo sport ed è per passioni come questa che a volte dubito di essere sua figlia. Fin da piccola mi ha sempre incoraggiato ad intraprendere qualche attività sportiva, ma io, accomodante come poche, preferivo rifugiarmi in qualche buon libro, piuttosto che correre dietro una palla o fare qualsiasi altra attività fisica.

«Ci puoi scommettere! Silver ci sta facendo lavorare molto proprio per questo», esclama entusiasta il ragazzo.
«Silver, eh? Non è ancora andato in pensione quel vecchio?» Non mi stupisce che mio padre conosca il coach; anche lui ha frequentato la nostra scuola e ciliegina sulla torta: era il capitano della squadra di football. Al solo sentire nominare il nome del suo vecchio allenatore gli occhi blu dell'uomo si illuminano, probabilmente per i ricordi legati a quel periodo del suo passato glorioso e spensierato; prima che dovesse abbandonare il campo per iniziare a cambiare pannolini.

Aaron annuisce in risposta. «Questo sarà il suo ultimo anno come coach e portare a casa l'ennesima vittoria sarebbe un buon modo per concludere la sua carriera», finisce di spiegare; io, annuisco e sorrido in silenzio fingendomi interessata per essere cortese, però lo sport mi ha sempre annoiata a morte.

Il padre del ragazzo gli mette una mano sulla spalla con fierezza; lo so perché è l'unica espressione con cui Robert Anderson raramente ha guardato Tyler. «E non sarebbe l'unico a beneficiarne: molti scout assisteranno alle partite per l'assegnazione delle borse di studio e una di quelle sarà sicuramente del nostro Aaron».
«Questo è ancora da vedere, papà», commenta il figlio con un filo di imbarazzo.

«Sono sicuro che la riceverai, te la meriti», aggiunge mio padre, un velo di malinconia nel suo sguardo. Probabilmente, avrebbe desiderato un primogenito maschio, magari un calciatore o un giocatore di basket, invece di avere una figlia che a malapena riesce a camminare senza andare a sbattere da qualche parte. Ma ha pur sempre Tyler ed in fin dei conti la speranza è l'ultima a morire.

«E voi, ragazzi? Come vi trovate a scuola?» chiede Silvia, intromettendosi nella conversazione.
«Piuttosto bene, direi», rispondo io per entrambi lanciando un'occhiata ad un Tyler disinteressato che per poco non si addormenta sul tavolo.
Lei mi rivolge un altro dei suoi sorrisi raggianti. «Aaron ci ha detto che sei tra le prime della classe in tutti i corsi».
«Beh, forse "tutti i corsi" è un po' eccessivo...» dico leggermente imbarazzata, scoccando un fugace sguardo al ragazzo dagli occhi di ghiaccio, seduto di fronte a me, al quale non ho rivolto la parola per tutta la sera; non ci parliamo da quando abbiamo avuto l'ennesima discussione a proposito di Justin. Non voglio difendere il biondo, dato che è indifendibile visto il suo atteggiamento, ma non voglio nemmeno sentire le continue raccomandazioni di Aaron, specialmente perché non vuole dirmi nulla sul suo conto, stuzzicando sempre di più la mia curiosità e, al tempo stesso, facendomi sentire una bambina di cinque anni.

«Che programmi hai dopo il diploma?» chiede Andrew, il capofamiglia.

Mi volto verso di lui, proprio quando gli occhi azzurri di Aaron incontrano i miei, «Mi piacerebbe entrare in un buon college e magari seguire un corso di scrittura creativa; e poi da lì chissà...», la bocca parla ancor prima che il cervello possa elaborare un discorso: ormai, sono anni che lavoro duramente per progettare il resto della mia vita, lontano da tutto e tutti. Ho già pianificato tutto nei minimi dettagli e non sono ammessi ripensamenti.

DisasterWhere stories live. Discover now