Capitolo 15

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«No!» un grido mi sveglia nel cuore della notte ma, immaginando che sia solo il frutto della mia immaginazione, mi volto sull'altro lato del letto senza dare molta importanza alla cosa, questo fino a quando altre urla non giungono alle mie orecchie seguite da un imperativo «Va' via!» che mi costringe a scattare all'istante, lo stomaco contorto e la preoccupazione che mi scorre nelle vene.

Non può essere, mi ripeto mentalmente per convincermi, ma quasi sempre la realtà è ben diversa da ciò che una persona possa sperare.

Dannazione.

Era da tempo che non succedeva; che non aveva quegli incubi. Credevo fossero solo una fase passeggera, che ce ne fossimo liberati lasciandoci la nostra vecchia vita alle spalle, ma a quanto pare era troppo ingenuo da parte mia pensare una cosa simile.

Dai ricordi non si può scappare.

Quando un «Lasciala stare!» si propaga per tutta la casa, senza indugiare più del necessario mi decido a balzare fuori dal letto e quasi inciampo sui miei stessi passi rischiando di rompermi il collo per questa mia mossa repentina, ma non mi interessa; le mie attenzioni sono adesso rivolte altrove; precisamente verso la stanza di fronte alla mia.

Tyler.

Irrompo nella sua camera dove, accorso prima di me, trovo nostro padre accanto a lui che cerca in tutti i modi di svegliarlo. «Tyler?» Lo richiama, scuotendolo più volte. «Tyler, mi senti?» chiede alzando la voce.

«Va' via!» grida il ragazzo dimenandosi incoscientemente; la fronte imperlata di sudore, gli spasmi che attraversano il suo corpo. Alla vista di tale reazione vedo la paura sul volto di papà, la paura di non riuscire a capire e non sapere cosa fare per porre rimedio alla crisi di suo figlio.

«Papà, lascia fare a me». Lo invito a spostarsi per farmi spazio e cedermi il posto; lui mi guarda perplesso ma acconsente, convinto, forse, dalla mia fermezza. Dopotutto so quel che faccio e non è la prima volta che mi trovo in questa situazione, purtroppo.

La cosa fondamentale è mantenere la calma e il sangue freddo: non devo dare alcun segno di agitazione, altrimenti il panico si impossesserebbe di me e non riuscirei ad aiutarlo e papà finirebbe con l'avere due figli da soccorrere al momento. Mi posiziono sul ciglio del letto accanto a Tyler stringendo a me il suo corpo il più forte possibile; ha bisogno di sentire calore, sentire che sono qui. «Ty» sussurro dolcemente, accarezzandogli i capelli, un effetto calmante che su di lui ha sempre funzionato. «Ty, svegliati, per favore» dico, adesso alzando leggermente il tono.

«Cassie...» mormora mio padre preoccupato, alle mie spalle, nello stesso istante in cui il ragazzo sussulta, svegliandosi di soprassalto e cercando di regolarizzare il respiro, dopo essere finito quasi in iperventilazione.

Si guarda intorno spaesato, non del tutto conscio di essere tornato alla realtà. «Cassie?» dice solamente, la sua voce esce debole, spezzata.
Sorrido per rassicurarlo, stringendolo più a me, mentre lui poggia la testa nell'incavo del mio collo ancora scosso. «Va tutto bene Ty, era solo un incubo».
«Mi dispiace. Mi dispiace così tanto» mormora in stato confusionario, anche se so bene a cosa si riferisce: i ricordi di quella sera restano indelebili nella mente, come cicatrici sul cuore.

La verità è che nonostante quella facciata da adolescente ribelle e menefreghista, mio fratello nasconde un animo buono, fragile, mentre anche se non si direbbe affatto a vedermi, io sono sempre stata quella forte tra i due. Dovevo esserlo. Per entrambi. Ma ho fallito.

È tutta colpa mia.

Mi si spezza il cuore a vederlo così; se ci fosse un modo per impedirgli di rivivere nuovamente quel momento, se ci fosse un modo affinché io potessi prendermi anche il suo dolore, giuro, non esiterei a farlo.
«Non preoccuparti, è tutto finito» sussurro dolcemente, anche se, dentro me, mi chiedo se sarà mai davvero tutto finito.
Nostro padre resta lì, ad osservare la scena quasi impietrito, lo sguardo confuso, come se cercasse di capire ciò a cui ha appena assistito, ma non può farlo; non può capire ciò che non ha vissuto sulla sua pelle, però non gliene faccio una colpa. Mi limito a scoccargli un'occhiata, la più rassicurante che riesca a fare ed a mimargli un «È tutto okay» mentre Tyler è ancora sulla mia spalla a cercare di riprendersi, le sue lacrime scorrono copiosamente, bagnando la maglietta del mio pigiama. Solo quando smette di singhiozzare e, con enorme fatica riesce a riaddormentarsi di nuovo mi decido a scivolare via dalle sue braccia che, per avere solo sedici anni, sono grandi e muscolose e per questo è un'impresa ardua per me riuscire a liberarmi della sua presa.

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