Successivamente l'uomo torna a prestare l'attenzione sulla mia figura, «Cassie, vuoi dirmi cosa è successo?»
Serro le labbra e «Non è successo niente, è stato solo un malinteso» mi difendo, dicendo nient'altro che la verità.
«Si fa sempre più interessante», borbotta Tyler come uno spettatore intento a vedere il suo show preferito.
Sia io che papà lo ignoriamo e «Malinteso? Sul serio Cassie? Questa è la tua scusa?»

Alzo le spalle. «Beh, che altro vuoi che ti dica?»
Aggrotta la fronte. «Non lo so, ma tu non fai queste cose, tu sei la prima della classe, quella dalla condotta impeccabile».
Ed ecco che incomincia; l'etichetta della figlia perfetta, quella che non può permettersi nemmeno uno sbaglio. È davvero frustrante dover soddisfare sempre le aspettative altrui. Io non sono così, non mi avvicino neanche lontanamente all'ideale di "perfezione"e né voglio farlo. Voglio poter fare tutti gli errori, invece, che si fanno alla mia età ed imparare da essi, voglio vivere senza che il passato influenzi il mio futuro, voglio essere libera dal fardello che mi opprime nel petto.

«Una volta mi raccontavi tutto», osserva con una certa nota di delusione nella voce.

«Anche tu», dico con acidità alzandomi dal tavolo e decretando di averne avute abbastanza per questa sera. «Quando capirai che non sono più una bambina, papà?» gli chiedo puntando i miei occhi nei suoi azzurro cielo che mi guardano come se non sapessero chi abbiano di fronte.

E forse non lo so nemmeno io chi sono, adesso, ma fa male, fa male essere guardata in quel modo da lui.

Non posso sopportarlo ancora, perciò, senza permettergli di replicare, mi dirigo verso l'uscita del ristorante, seguita dal richiamo della sua voce che alle mie spalle diventa sempre più un flebile sussurro.

Una volta giunta all'aria aperta realizzo di non essere venuta con la mia auto e maledico me stessa per non aver previsto che la cena potesse rivelarsi una vera catastrofe. Non ho alcuna intenzione di chiamare un taxi, anche perché non saprei dove farmi portare, di certo non a casa; quello è l'ultimo posto in cui vorrei essere al momento. Spengo il telefono per evitare che mio padre provo a chiamarmi, estraniandomi dal mondo. Decido così di camminare, senza una vera meta, sperando che una passeggiata al chiaro di luna possa calmarmi.

Cammino sul ciglio della strada per venti minuti, fino a quando non incappo in un locale dall'insegna grande ed abbagliante che attira la mia attenzione.

Normalmente eviterei un posto simile, ma il freddo che mi attraversa le ossa e, soprattutto, la rabbia e la frustrazione che mi attraversano il sistema nervoso mi spingono a cercare rifugio al suo interno.

Una vasta sala con numerosi tavoli si apre di fronte a me, non appena varco la porta. L'arredamento è rustico, ma non vi manca certo il lusso della modernità, come il maxi schermo al plasma che trasmette una partita di basket di non so quale squadra. Alla mia destra, invece, si trova il bancone degli alcolici, rigorosamente di legno, dove i camerieri sono impegnati a servire alcuni clienti.

Mi siedo su uno degli sgabelli attendendo il mio turno. Un ragazzo dai capelli castani si avvicina a me «Cosa ti porto?» chiede. Potrei ordinare una cola o una sprite, niente di moralmente compromettente o illegale, ma per non so quale ragione mi ritrovo ad ordinare della vodka andando contro ad ogni mio principio ed abbracciando la filosofia del "sono giovane e me ne infischio".
«Hai un documento?»

Cazzo, il documento.

Ci metto un po' prima di rispondere con la scusa più banale del mondo: «L'ho dimenticato».
Allora il tipo si mette a ridere. «L'unica cosa che posso darti è un succo di frutta», asserisce, prendendosi gioco di me.
«Ehi, quanti anni pensi che abbia?» gli domando, accigliata per i suoi modi.
«Sicuramente non ventuno», sghignazza, però, che occhio che ha.
«Infatti, ne ho ventidue», dico e lo faccio mostrandomi falsamente offesa. «Mi sono laureata quest'anno».
Il ragazzo mi guarda squadrandomi dalla testa ai piedi, forse per valutare se credere o meno alle mie cavolate; ma alla fine, convinto dalla mia credibile recitazione, o forse spinto dalla pietà che gli suscito, non lo so e non mi interessa, mi porta il drink che ho richiesto.

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