Svizzera

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Alice era in lacrime mentre stava al telefono con Natale, che cercava di consolarla inutilmente.
"Nat, come cazzo faccio?!" Stava bisbigliando per non farsi sentire da sua figlia. Si trovava in camera sua mentre lei era sul balcone, con una sigaretta spenta fra le dita (per l'agitazione non era riuscita ad accenderla).
"Vuoi che vengo da te? Così ti calmi un po' e ne parliamo." Propose, già prendendo dal tavolo della cucina le chiavi della macchina.
"No, Nat... io... non lo so. Ho perso il lavoro, fra poco è Natale. Come faccio?" Sospirò affranta. "Non è la prima volta che succede, da quando è nata Clelia. Non riesco a trovarne un altro, soprattutto in questo periodo!"
"Calma, ci sarà sicuramente una soluzione. Arrivo."
"No Nat!" Non fece in tempo a fermarlo, che attaccò. "Al Diavolo." Esclamò con voce stanca, prendendosi il ponte del naso fra le dita. Cercò l'accendino nelle tasche dei jeans ma non lo trovò, così si voltò per entrare dentro casa e si ritrovò Clelia davanti. Le sorrise, raggiante, ma la bambina non ricambiò.
"Mamma ma i soldi ci servono." Aveva sentito tutto.
"Lo so, tesoro... tu non ti devi preoccupare di queste cose." Clelia le porse il suo accendino.
"Te l'ho nascosto io perché sulle sigarette c'è scritto che il fumo uccide ed io non voglio che tu muori, mamma."
Alice lo prese e lo guardò, per poi osservare sua figlia: i capelli biondi e lunghi, leggermente mossi, e quegli occhioni verdi ereditati dal padre. Era la stessa di sempre, ma era in qualche modo cresciuta senza di lei.
Suonarono al campanello e la bambina andò ad aprire, ritrovandosi Nat con un cartone enorme di pizza in mano che le sorrideva dolcemente. "Ciao bellissima!"
"Ciao zio!" Gli sorrise. "Che ci fai qua?"
"Ah, non mi vuoi? Allora me ne vado con la mia pizza margherita..." le voltò le spalle e fece per scendere, ma Clelia lo rincorse ridendo e lo invitò ad entrare.
Nat posò la pizza sul tavolo in cucina e poi si diresse verso Alice, che stava di fuori. La trovò intenta ad osservare un accendino ed una sigaretta, ed aggrottò le sopracciglia. "Stai provando la telecinesi?" Chiese con un piccolo sorriso sul volto.
Quando la donna alzò lo sguardo e lo puntò negli occhi scuri dell'uomo, quest'ultimo si sentì quasi congelare. "Clelia è cresciuta, Nat. Non so come ma è cresciuta e io me lo sono perso."
"Ali, ma di che parli? Non può essere diventata grande da un giorno all'altro, è un processo lento quello della crescita, e tu le sei sempre stata vicino. Non puoi essertela persa."
"Nat," lo chiamò dopo due minuti in completo silenzio.
"Sì, dimmi."
"E io sono cresciuta?"
"Certo, Ali, ma che discorsi fai?"
Schivò la sua domanda, facendogliene un'altra. "Quando hai fatto l'ultima canna?"
"Boh, penso a ventitré anni... Forse ventidue."
"Io l'ultima l'ho fatta la settimana scorsa." Natale divenne di pietra, di certo non se l'aspettava. Perché da una mamma certe cose non te le aspetti, soprattutto da una mamma come lei che aveva sacrificato tutto per sua figlia. Pensava che certe cose, come la droga, se le fosse lasciate alle spalle.
"Quand'è stata l'ultima volta che hai rubato?"
"Da bambino, avevo preso in prestito una macchinina da un compagno di classe e poi non gliel'ho più ridata... tu, Alice, che diamine hai rubato?"
Alice puntò lo sguardo a terra, e anche Nat lo fece. Le vide ai piedi un paio di scarpe nuove e trattenne il respiro.
"Che diamine cerchi di fare?!" Sbottò.
La donna voltò leggermente il viso verso destra, come se l'avesse colpita, con un'espressione sofferente e gli occhi chiusi. "Non lo so." Singhiozzò. "Non lo so, Nat." Si portò le mani a coprirle la faccia mentre piangeva come una bambina.
Come la bambina che era.
Alice non era mai cresciuta.
"Non essere arrabbiato, ok?!" Esplose, asciugandosi le lacrime con rabbia. "Io... Io, Nat, non so come spiegarti come mi sento. Clelia è la cosa più bella che ho, non fraintendermi, però è come se..." fece vagare il suo sguardo in giro, alla ricerca delle parole che non riusciva a pronunciare. "Io non sono mai cresciuta. Sono cambiata, è vero. Ho ricevuto tante porte in faccia, ho fatto la mamma, però non ho fatto le stesse esperienze che hai fatto tu. Nemmeno gli stessi sbagli. Ho dovuto smettere di essere una ventenne qualunque, che va a feste ad ubriacarsi o all'università perché avevo Clelia." Prese un respiro e con la voce che tremava concluse: "Io ho dovuto fingere di essere forte per così tanto tempo. Io ho dovuto crescere una bambina da sola. Mentre Bea ne è uscita matta, io ho ingoiato tutte le cose negative. Potevo anche io puntarmi una pistola alla tempia e, bang, un giorno ci sono e l'altro non ci sono più. Ma io non sono una vigliacca."
Natale trattenne il respiro. Quelle rivelazioni lo stavano facendo sentire male. "Io vado." Alice allungò il braccio per afferrarlo, ma lui si scostò alzando le mani. "Ci vediamo, Belfiore." La guardò un'ultima volta, di sfuggita: le borse sotto gli occhi, le guance leggermente scavate che mettevano in risalto gli zigomi, le labbra screpolate e pallide, il trucco sbavato, i capelli spettinati, le sopracciglia aggrottate andavano a formare una piccola ruga sulla fronte. Sembrava più vecchia dell'ultima volta che l'aveva vista.
Uscì di casa senza salutare Clelia, che nel sentire la porta chiudersi si diresse dalla madre. "Dov'è andato zio Nat?" Chiese con le braccia incrociate, delusa: aveva preparato in camera sua un bellissimo gioco da fare con lui e i suoi fidati peluches.
"A casa, Clelia, è tardi." Disse e poi sospirò. "Dai, preparati per andare a letto."
La bambina entrò dentro casa senza più aggiungere nulla, capendo che era successo qualcosa di grave.
Era quasi mezzanotte quando Alice finì le sigarette e scese per comprarle alla macchinetta che stava a due passi da casa sua, per poi ritrovarsi chiusa in salone con le cuffiette nelle orecchie e cinque bottiglie di birra finite davanti a lei, nel posacenere si potevano contare venti cicche. C'era un odore disgustoso in quella stanza.
Sua figlia, la mattina dopo, la ritrovò addormentata seduta sul pavimento, con la schiena poggiata al bracciolo del divano e la bocca schiusa; in mano aveva un drum spento e fra le gambe la sesta birra, dimezzata. Storse la bocca prima di spalancare la finestra per far uscire la puzza di fumo, successivamente svuotò il posacenere nella pattumiera e mise le bottiglie nel lavello. Rimosse con cautela la sigaretta dalle dita della madre e la mise nel posacenere, per poi accovacciarsi vicino a lei e poggiando il viso sul suo seno.

"Alice non sta bene." Erano tutti a casa Maffei. Paolo stava giocando in camera sua, cercando di risolvere il cubo di Rubik.
"Ha l'influenza?" Stavano giocando a poker, a parlare era stato Luca che aveva una sigaretta spenta fra le labbra.
"No, coglione." Gli rispose Nat. "Sta impazzendo."
"Rilancio." Disse Giorgio, facendo finta di niente e mettendo tre fiches al centro del tavolo.
"Gio?" Lo guardavano entrambi con un'espressione spaesata in volto. "Stiamo parlando della tua Alice."
"Qu'a donna non vo' padroni. E manco mariti." Sibilò fra i denti, gettò le carte sul tavolo e fece strusciare la sedia in malo modo sul pavimento, per poi uscire a fumare.
In salotto, Natale e Luca si guardavano veramente confusi.

"Forse stanno passando un momento di crisi. Otto anni fa, quando litigarono, era più o meno questo periodo." Ragionò Luca ad alta voce, in ascensore. Stavano tornando a casa o, perlomeno, questo era quello che aveva in mente il più anziano.
"Questo non spiega quello che mi ha detto Alice sul suo terrazzo ieri sera. Era davvero fuori di sé, Lu'. Si è fatta una canna la settimana scorsa, lo sai questo? Ed ha rubato delle scarpe." Gli riportò più o meno quello che le aveva rivelato la rossa. "Mi sa che non sta mangiando da un po', ha le guance scavate. E non dorme; devi vedere che borse che ha sotto gli occhi."
"Che altro ti ha detto?"
"Che Clelia, in sintesi, le ha bloccato la crescita. Non ha avuto il tempo di crescere come noi, quindi in parte non l'ha fatto."
"Non ha tutti i torti, eh."
"Non mi sembra una buona ragione per ammazzarsi di canne o per rubare."
Luca aprì il portone e si strinse nella giacca: faceva freddo quella sera. "Non lo so, Nat. Hai fatto male ad andartene in quel modo, siccome lei ti ha aperto così il suo cuore..."
"Sei il solito pappamolle del cazzo."
Alzò gli occhi al cielo. "Parla quello che è scappato, letteralmente, da una donna confusa."
"Io ero più confuso di lei. Tutta questa situazione è troppo strana." Per un attimo si sentirono solamente i loro respiri, poi Natale parlò nuovamente: "Andiamoci a prendere una birra." e non era una domanda.
Al quarto calice di birra, Nat disse ad alta voce (per sovrastare la musica di quel buco di culo in cui erano finiti): "Sto pensando di partire, per sempre."
"Perché?"
Il moro alzò le spalle, noncurante. Le guance leggermente rosse per via dell'alcol che gli scorreva in corpo. "Non ho niente che mi lega qui!"
"Hai noi." Ribatté Luca.
"Pensavo alla Svizzera." Continuò, ignorando l'amico. "Perché nessuno pensa mai alla Svizzera."
Ridacchiarono un po', poi si fecero seri entrambi. "Potrei venire con te."
"Nah."
"Niente mi lega qui, in fondo." Ci ragionò su. "E poi sono curioso di vedere com'è la Svizzera." Disse con un mezzo sorriso.
Natale gli sorrise sghembo.
Non sarebbero andati da nessuna parte.
Dicevano di non aver niente che li tenesse legati a Roma, ma in realtà erano praticamente una sola cosa con quella città. Nelle loro vene scorrevano le acque del Tevere e non avrebbero mai avuto il coraggio di abbandonarla per sempre.
E poi, c'era Alice. Non potevano fare a meno dei suoi occhi cioccolato e dei suoi capelli rossi.

Eravamo ReWhere stories live. Discover now