Vise-à-vise

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Dopo giorni, finalmente Alice e Clelia erano sole in casa. Giorgio, Nat e Luca si ostinavano a non volerle lasciare sole e ogni giorno c'era una buona scusa per rimanere a casa loro. Quel giorno invece Alice aveva detto che era a lavoro e che aveva lasciato Clelia da una sua amica, il che fece accigliare un po' Giorgio che le aveva detto numerose volte che avrebbe potuto benissimo tenerla lui la bambina.
"Finalmente sole!" Esclamò la donna, togliendosi le scarpe e i vestiti e lasciandoli accantonati da una parte. Clelia sorrise e la imitò, poi entrambe si misero sul letto con i capelli a colorare quelle lenzuola bianche.
"Mamma?"
"Dimmi, tesoro."
La bimba, sentendosi chiamare così, si accoccolò sulla pancia della madre ed intrecciò le loro gambe. "Oggi sei proprio felice!"
"Lo sono sempre."
Clelia storse leggermente il naso dopo aver sentito la bugia di Alice. "Posso farti una domanda?"
"Sì."
"Prometti che non ti arrabbi?" Chiese con voce piccola.
"Sì."
"Giurin giurello?"
Alzò gli occhi al cielo, le porse il mignolo e la figlia lo strinse col suo. "Giurin giurello."
"Mi racconti la storia d'amore di te e papà?"
"Non c'è una storia d'amore..."
Assottigliò gli occhi e sbuffò. "Perché mi dici le bugie? Papà ti guarda così" si alzò leggermente e gonfiò le guance per poi fare gli occhi storti, facendo ridere l'altra. "c'è stata per forza una storia d'amore. Magari adesso non c'è più ma prima c'era."
"Papà non mi guarda così, scema." Disse e rise, nonostante chiamare Giorgio in quel modo le avesse lasciato uno strano gusto in bocca. Era certa fosse quello il sapore del rimpianto.
"Me la racconti o no la vostra storia d'amore?"
"E va bene... io e tuo papà ci siamo conosciuti tanto tempo fa, quando andavamo alle elementari. Era un gran rompiscatole, sai? Mi dava fastidio tutto il tempo e mi chiamava Belfiorellino, come fa Paolo adesso con te, mi faceva la linguaccia e i dispetti. Non lo sopportavo. Alle medie non l'ho più visto, non frequentava la mia stessa scuola e io pensavo che si fosse ritirato perché dove vivevo io era normale non finire gli studi e cominciare subito a lavorare. Quando ho cominciato le superiori non me lo ricordavo nemmeno, ma lui a quanto pare si ricordava di me ed infatti mi ha riconosciuto e ha continuato ad infastidirmi. Ci azzuffavamo di continuo, per ogni piccolezza, arrivavamo facilmente alle mani e di solito vinceva lui perché barava. Gli è sempre piaciuto vincere facile... quando abbiamo preso il diploma io sono andata a vivere con Bea, la mamma di Paolo, e intanto frequentavo l'università. Solo che era troppo lontana e quindi ho cercato un appartamento qui a Roma e, quando l'ho trovato, non immaginavo minimamente che Giorgio fosse il mio inquilino."
"E poi?"
"E poi mi sono innamorata, ma è durato poco siccome Beatrice era incinta e Giorgio era il padre."
"Ma poi sono arrivata io. Perché non glielo hai detto?"
"Lui poi sarebbe venuto da noi. Si sarebbe preso cura solo di noi, dimenticandosi di Bea e Paolo. Io sapevo che da sola potevo farcela, potevo crescerti, e sapevo che Bea non ci sarebbe mai riuscita. Quindi l'ho allontanato da me e lui si è avvicinato sempre di più a lei."
"Non sei stata male?"
"Sono stata malissimo. Quando poi hai cominciato a crescere e gli somigliavi sempre di più avevo voglia di piangere tutto il giorno, rifugiarmi fra le coperte e non uscire per nessuna ragione al mondo."
"Però non l'hai mai fatto." Clelia aggrottò le sopracciglia, pensierosa. Quando lo faceva somigliava più alla madre che al padre.
Alice sorrise, con le dita toccò la pelle in mezzo le sopracciglia della bambina facendole togliere quel broncio. "Certo che non l'ho mai fatto, avevo te. Ho te. Sei la ragione per cui io mi alzo la mattina."
L'abbracciò stretta, non l'aveva mai fatto in quel modo e quasi pianse al gesto che aveva compiuto sua figlia. Aveva ascoltato tutta la storia e non era arrabbiata con lei per averla fatta crescere senza padre. "Tu l'avresti voluto un papà?"
"Sì."
La donna non rispose. Tenne la bambina stretta fra le sue braccia e l'accarezzò finché non si fu addormentata e, dopo poco, la seguì nel mondo dei sogni.
Purtroppo neanche dormendo riusciva a scappare dal suo passato, infatti sognò il suo incontro con Raffaella che era uno dei ricordi più dolorosi che conservava.

"Ciao mamma." Dalla voce si poteva intuire quanto fosse stanca e turbata in quel periodo. Era solo al secondo mese di gravidanza, quindi la pancia ancora non era evidente.
"Ciao Ali." Rispose Raffaella con un sorriso. "Era da un sacco che non ti vedevo, bambina mia. Come sei cresciuta!"
"È passato un anno."
"Già." La donna si strinse nelle spalle.
"Come... come va qui in carcere?"
"Non c'è male." Annuì per convincerla. "Non è come nei film e posso raccogliere la saponetta tranquillamente."
Alice sorrise, abbassando lo sguardo. "Perché mi sei venuta a trovare dopo un anno?" La madre cercò gli occhi della figlia, li rincorse quasi, per poi finalmente incontrarli; il colore era lo stesso, ma erano più spenti e delle occhiaie evidenti erano presenti sotto di essi. "Che ti succede?"
La ragazza si poggiò alla sedia e poi si massaggiò la schiena con la mano destra, le faceva dannatamente male. "Niente, mamma."
"Sei incinta." Esclamò Raffaella a bassa voce mettendosi le mani davanti alla bocca. Gli occhi le si riempirono di lacrime e quasi pianse, ma si trattenne. "Ti sposerai presto, quindi? Perché non mi mostri l'anello?" E mentre la donna con lo sguardo sul tavolo cercava la fedina al dito di Alice, quest'ultima mise le mani fra le sue gambe.
"Mamma, è... complicato." Alzò gli occhi al cielo cercando le parole da poterle dire. "Il padre non lo sa."
"Beh, diglielo! Cosa aspetti?!"
"Ha messo incinta Beatrice."
"Chi?"
"Il padre di mio figlio, ha messo incinta Bea."
Rimase senza parole. Boccheggiò un paio di volte ma sembrava che la sua voce fosse scomparsa.
"Non so cosa fare. Ti prego aiutami." E la ragazza cominciò a singhiozzare, sfogando tutto il suo stress, la sua rabbia e la sua tristezza. "Ti prego." Disse puntando gli occhi in quelli della madre.
"Il tempo è scaduto." La guardia avvisò le due donne.
"Non può darci altri cinque minuti, per favore?" Chiese Alice tremando.
"No, mi dispiace signorina."
Raffaella non disse nulla. Si alzò come fosse un automa e si fece accompagnare in cella dalla guardia, lasciando sua figlia in lacrime e senza risposte.

Alice si svegliò per via del suo telefono che squillava, e fu grata a chiunque la stesse contattando per averla fatta riemergere dal mondo dei ricordi. "Pronto?"
"Dormivi?" Era Giorgio.
"Sì."
"Clelia?"
"È qui con me."
Si alzò dal letto e si diresse in cucina, così non avrebbe svegliato la bambina. "Venite a cena da me stasera? Poi restate anche a dormire. Vengono anche Nat e Luca."
"Non lo so, Giorgio..."
"Eddai!" Sentì che stava sorridendo dall'altro capo del telefono, ed il suo sorriso era così contagioso che sorrise anche lei.
"Va bene."
"Anche perché ti volevo parlare."
"Di cosa?"
"Ci vediamo stasera, un bacio." E attaccò.
Quando bussò a casa Maffei, un bel vestito le abbracciava il corpo ed aveva un velo di trucco sul viso, insieme alle sue scarpe preferite. Non seppe perché si era conciata in quel modo, ma era troppo tardi per cambiarsi ed era troppo tardi per autoconvincersi che non le piaceva come si era vestita.
Aprì Luca, sorrise ad entrambe e la prima ad entrare fu la piccola Clelia che lo abbracciò all'altezza della pancia. Lui la strinse a sé con un sorriso e poi la lasciò andare verso il suo compagno di giochi, Paolo. Guardò la donna più bella che avesse mai conosciuto con ammirazione ed un sorriso stretto. "Sei bellissima."
"Grazie." Alice gli diede un bacio sulla guancia e Luca la fece entrare per poi chiudere la porta dietro di sé.
"Ecco la mia bellissima Belfiore!" Nat le andò incontro con un sorriso sornione in volto e la prese dai fianchi per poi farle fare una piroetta in aria. Giorgio stava sulla soglia della porta della cucina che guardava la scena con le sopracciglia aggrottate. Alice, una volta toccata terra, salutò anche lui con un bacio leggero sulla guancia.
Il biondo fece cenno ai suoi due amici di dileguarsi per lasciarlo solo con lei e loro andarono a giocare con i bambini.
"Cosa vuoi?" La domanda venne fuori dalle labbra rosee della donna forse un po' ostile, ma lei non voleva porgergliela in quel modo; era abitudine.
"Voglio che mi saluti per bene." Ignorò completamente il tono usato da Alice e si avvicinò al suo viso, con l'intenzione di baciarla. Lei però si scansò, voltandosi e mordendosi le labbra. "Che c'è?"
"Non ti voglio baciare."
"Non dicevi così al Pincio." Ribatté Giorgio duramente.
"Mi hai dato per caso il tempo per farlo?"
"Avevi detto di amarmi." Lo disse fra i denti, con astio, perché sennò Alice avrebbe sentito la sua voce incrinarsi e lui era troppo orgoglioso per permetterlo.
"Ti amavo anche otto anni fa, Maffei, ma me ne sono andata ugualmente."
Giorgio strinse i pugni ed abbassò lo sguardo, sembrava fosse ritornato quel ragazzino che a Tevi si presentava sotto casa sua per regolare i conti. Alice gli mise le mani sulle spalle e con delicatezza gli accarezzò le braccia, fino ad arrivare le mani; le prese fra le sue ed aprì i pugni di Giorgio senza sforzarsi troppo. Lui, da quando aveva cominciato ad accarezzarlo, si era rilassato. "Ma non lo vedi cosa mi fai, Belfiore?" Chiese retoricamente. "Io ho bisogno di te e tu di me."
La donna davanti a lui alzò gli occhi dalle loro mani ancora unite e li puntò nei suoi. "Io non ho bisogno di te, Giorgio. Non ho più vent'anni." Tolse le mani da quelle dell'avvocato e incrociò le braccia sotto il seno.
"Non dire così, tu mi ami."
"In questi otto anni io sono cresciuta, ma tu sei rimasto lo stesso ragazzino presuntuoso e possessivo di tanto tempo fa."
"Ti sbagli. Non mi conosci affatto. Anche io sono cresciuto, ho fatto le mie scelte..."
Alice posò lo sguardo su quello che indossava Giorgio: una camicia, una cravatta abbinata alla giacca e ai pantaloni; era l'abbigliamento che usava per andare a lavoro. Prese la cravatta fra le dita e, tirandola, lo fece avvicinare a lei. I loro nasi si toccavano e l'uomo deglutì, facendola sorridere. "Il guinzaglio del duemila." Citò Mezzosangue. "Forse è un bene che tu non sia cambiato più di tanto, così quando ti guardi allo specchio puoi renderti conto degli ideali che avevi che hai mandato a farsi benedire per un po' di soldi."
L'occhiata di fuoco che ricevette le fece venire un brivido e stette in silenzio, aspettando la controbattuta. "Tu non devi proprio parlare, spogliarellista."
Mollò la cravatta ma rimasero comunque faccia a faccia. Alice lo spinse. "Dov'è finita la mia rondine?"
"L'hai ammazzata tu."
Forse non erano poi così cambiati, ancora avevano quell'odio che gli scorreva nelle vene al posto del sangue; entrambi pensavano di essersi disintossicati e ripuliti da quel sentimento ma dalle loro parole evidentemente non era così.
Si guardarono negli occhi e tutti e due scorsero una scintilla, un luccichio nelle iridi dell'alto che non vedevano da tempo e che speravano di non rivedere più. Si stavano sbranando a vicenda senza toccarsi minimamente.
Quell'odio che entrambi possedevano sembrava peggiorato, più forte; sembrava si fosse rafforzato col passare del tempo e che fosse cresciuto insieme a quel bizzarro duo.
La spiegazione, ovviamente, la si poteva trovare all'interno di una canzone: "Il male sulla punta della lingua, si arroventa in bocca, si affila tra i canini e gli incisivi, si cova, si nutre fino a quando non scoppia."

Eravamo ReOn viuen les histories. Descobreix ara