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Appena entrata, mi accorgo che la musica proviene da una stanza che non avevo mai notato prima. Mi avvicino lentamente e sporgo la testa quanto basta per vedere; sono quasi certa che Michael sia proprio qui! Attratta da questa eccitante scoperta, scopro che qui dentro c’è una vera e propria sala da ballo. Il pavimento è in parquet, con profondi segni a causa di tutte le innumerevoli piroette provate nel corso del tempo, e su di esso sono proiettate le luci di tanti faretti che illuminano dall’alto. All’angolo della stanza c’è un dipinto, posato su un cavalletto e un’intera parete è ricoperta di specchi. Dall’altra parte sento il rumore dei passi procurato dai mocassini sul legno e mi sporgo pochissimo per sbirciare all’interno. Michael preme il tasto di uno stereo e cammina fino al centro della stanza. Rimane un secondo in ascolto e poi comincia a ballare. I movimenti non sembrano studiati, ma fatti al momento sulla base musicale. Alterna mosse robotiche a movimenti fluidi e scivolati. Insomma, semplicemente Michael! Mi emoziona ogni volta vederlo. Si guarda allo specchio e continua ad accennare il movimento finché non esce come vuole lui, poi va avanti. Si calca il cappello Fedora sulla testa, si aggiusta il colletto della camicia e fa il Moonwalk, studiando altri passi scivolati in direzioni diverse: destra, sinistra, sul posto… Sidewalk. E’ incredibile, non so come fa, ma ci riesce! Mi torturo il labbro mordicchiandolo con i denti e mi siedo su una panca lì accanto, sempre con la testa sporta verso l’apertura. Non saprei descrivere l’emozione che si prova ad assistere ad una cosa del genere! Porto una mano al petto. Non so perché, ma il cuore mi batte in un modo pazzesco. Intanto Michael continua a ballare, ignaro che io sto osservando e studiando ogni suo movimento. Perché lo starà facendo? Deve montare una nuova coreografia? Si deve allenare? O perché non riesce a vivere senza ballare? Mi piacerebbe saperlo… In ogni caso non mi va di rimanere nascosta, non sarebbe una cosa giusta. Faccio qualche timido passo verso il parquet di legno. Lui continua a ballare, non se ne accorge, finché non fa un giro su sé stesso e mi vede. Mi blocco. Si blocca. Gli sorrido. Mi sorride. E ora? L’avrò disturbato? Era meglio se uscivo a fare una passeggiata… Abbassa il volume della musica, così mi sento costretta a dargli una spiegazione del perché mi trovo lì. Sfodera sempre il suo magnifico sorriso.
-Mi dispiace, ho sentito della musica, così sono entrata e… WOW!– spiego tutto d’un fiato.
Sinceramente non è una spiegazione molto convincente, ma a lui sembra bastare.
-Questa è la mia palestra. Mi alleno per creare nuovi passi e coreografie. Ti… ti è piaciuto veramente?
-Che domande! Mi hai lasciata a bocca aperta!
-Sto preparando una coreografia più elaborata per le prossime date dei concerti. Ah!– esclama afferrandomi le mani, eccitato, come se dovesse dirmi qualcosa di importante. –Tra pochi giorni ci sarà la premiazione degli American Music Awards, a cui parteciperò anche io, e verrai con me.
Rimango sconvolta dalle novità che mi sommergono. Ho sentito parlare di eventi simili solo nei libri e li ho seguiti qualche volta alla televisione. Già il nome altisonante annuncia che ci saranno persone famose.
-Davvero? Fantastico! Che giorno sarà?
-Il 29 Agosto– mi risponde andando ad alzare di nuovo il volume, ma io lo blocco allarmata.
-Non puoi! Insomma… è il giorno del tuo compleanno.
-E allora?– chiede apparentemente tranquillo.
-Pensavo che almeno il giorno del tuo compleanno non avessi impegni…
-Tranquilla, non è la prima volta che succede. Ci sono abituato. E poi sono stato io ad accettare. Sarà bello, ci saranno anche tante altre persone famose, ti piacerà.
Vorrei fargli notare che non mi interessano le persone famose e, allo stesso modo, non sono attratta da lui per la sua fama ma per la persona che è, ma rimango in silenzio. Raggiunge finalmente lo stereo e alza il volume, così io decido di non disturbarlo più e andarmene. Immagino non gli piaccia avere attorno gente che continua a fissarlo mentre lavora. Anche io sono così mentre scrivo libri. Certo, vorrei rimanere per studiare nei dettagli tutti i suoi passi e imparare cose nuove, proprio come faceva lui da bambino con i suoi miti, ma non me la sento.
-Dove stai andando?– mi chiede.
-Fuori– dico indicando la porta. –Ti lascio lavorare.
-Allora ci vediamo dopo.
Proprio mentre sto per uscire, noto che c’è una piccola stanzetta buia, direi un’anticamera, con una panca e della roba sparsa un po’ ovunque. Per la maggior parte sono fogli con dei disegni. Dato che Michael è di nuovo immerso nelle prove, ne afferro uno: è disegnata una giacca e dei pantaloni con tanti strani ricami. Accanto freccette e scritte indicano di che colore devono essere le singole parti del vestito e di che materiale. In un angolino del foglio c’è anche il disegno di un guanto di paillettes proprio come quello usato per Billie Jean. Il tutto è completato con l’ordinatissima firma di Michael in basso a destra. Trovo tanti altri fogli con tanti altri completi, ma questa volta le firme sono diverse: Versace, Michael Bush... Roba da pazzi, non immaginavo minimamente che alcuni capi d’abbigliamento fossero una sua idea! Ecco perché è sempre così bello ed elegante. Si imparano sempre nuove cose… Lo lascio con un sorriso, mentre lui è tutto concentrato sul Moonwalk, e mi ritrovo in un attimo fuori, sommersa dai pensieri.

Decido di andare a cercare Frank. Voglio approfondire meglio questa storia del compleanno… Devo anche fare un regalo a Michael! Che cosa difficile! Quale sarà il regalo più adatto per il Re del Pop? Non ho neanche uno straccio di idea. Sarà meglio che chieda informazioni a qualcuno che è un amico stretto di Michael…

La sera ceniamo molto tardi perché Michael rimane a lungo chiuso nella palestra. Ho notato che non porta mai l’orologio quando siamo a Neverland e non guarda neanche quelli da ornamento. Ce ne sono veramente tanti e dappertutto: sparsi per i giardini, appesi ai muri della casa, eretti sui pali come alla fermata dei pullman… Ma lui non ne guarda neanche uno! Per lui il tempo è un concetto relativo, anzi, è come se non esistesse. Quando fa buio è sera, quando c’è la luce è giorno, senza nessuna distinzione. Il suo mondo è anche questo… Forse si ricollega sempre al fatto che si sente un eterno bambino; il tempo passa fuori, ma non dentro. Io lo aspetto su una poltroncina del salotto, ascoltando la musica con le cuffie. Si presenta solo verso le nove, indossando una delle sue numerose camicette e tutto profumato. Non gli faccio notare l’orario, né che praticamente stavo morendo di fame, ma mi siedo immediatamente a tavola. Lui mangia pochissimo e non so come faccia dopo aver lavorato così tanto! Mentre mangio, gli chiedo, spinta dalla curiosità:
-Michael, mentre ti cercavo, pensando che fossi in casa, ho notato una stanza in cui c’erano solo dei manichini. A cosa ti servono?
-Ah, quelli!– esclama con il suo sorrisetto. –Okay, ti spiego tutto. Come ti ho ripetuto molte volte, tranne quando vengono a trovarmi i bambini, io sono solo… Non posso fare altrimenti (per i fans intendo), ma odio con tutto il cuore la solitudine. Ho pochissimi amici, amici VERI, due o tre al massimo. Quando si è così famosi è difficile capire quali sono, delle persone di cui ti circondi, quelle che veramente riescono a vederti con gli occhi di un amico, che ti apprezzano come persona e non come artista o per i tuoi soldi… Non so se mi spiego.
Annuisco. Ho capito tutto perfettamente e anche troppo bene.
-Quindi mi circondo di statue, manichini… A volte- aggiunge ridendo –intrattengo delle vere e proprie conversazioni con loro. Gli dò persino dei nomi. E’ strano, ma ne ho veramente bisogno…
-Hai bisogno di amici veri e soprattutto sinceri, che non si interessino a te solo per la fama e i soldi e per il fatto che ti chiami Michael Jackson. Hai bisogno semplicemente di chi dica cose vere, sincere, dettate dal cuore, e non solo per adularti o diventare “l’amico di Michael Jackson”, di chi intrattenga una conversazione con te trattandoti come una persona come tante altre.
Abbasso lo sguardo. Non avrei mai pensato di dirgli tutto quello che penso su questa situazione.
-Esatto– esclama sgranando gli occhi.
Probabilmente non pensava riuscissi a capire così a fondo la questione dato che non la vivo direttamente.
Dopo cena la serata si conclude con la dolcissima voce di Michael che vola sulle note prodotte dal pianoforte. E’ bellissimo stare qui con lui e osservarlo, mentre preme i tasti con tocco leggiadro, ad occhi chiusi, con quell’espressione dipinta sul volto che vuole comunicare la fusione della sua anima con la musica. Con la luce della luna che filtra da una finestra, contornata da un’infinità di stelle, Michael decide di cantare per me Scared of the moon, fino a raggiungere delle note acute nel ritornello che solo la sua voce riuscirebbe a riprodurre in questo modo. Quando il pezzo finisce sorrido in silenzio, guardandolo, e lui sorride a sua volta abbassando lo sguardo sulla tastiera. Poi, posando un gomito sul pianoforte, si gira verso di me e chiede: -Vuoi provare?
Nonostante stia guardando la scena rapita e affascinata, non ho la più pallida idea di cosa fare o da dove cominciare. Notando il mio sguardo perplesso, come è suo solito fare, batte la mano sullo sgabello per farmi sedere accanto a lui e lentamente mi guida, mostrandomi i tasti da premere uno dopo l’altro. Quando sbaglio mi prende la mano, sorridendo, e con il suo tocco leggero me la trascina sul tasto giusto. Io arrossisco e continuo. Voglio cercare di fare del mio meglio per fare bella figura, ma l’idea di sbagliare per essere “guidati” dalla mano di Michael è allettante! Così, alla luce della luna, le nostre note danzano all’interno della casa, si diffondono piano in una terra senza confine dove ogni suono è magia e ogni sussurro è speranza e danno lentamente vita ad ogni singolo albero o roccia che ci circonda.

Dolcemente cullata dalle note, mi addormento con la testa posata sulla spalla di Michael, con il suo profumo che inebria l’aria, il petto che da sotto la camicia si alza e si abbassa al ritmo del respiro, e anche questa sera faccio dei sogni stupendi, più belli del solito.
La mattina dopo mi sveglio sul divano del soggiorno con una coperta di pile per ripararmi dal freddo della notte, una tazza di cioccolata calda sul tavolino e il biglietto di “Buongiorno!” accanto ad essa.

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