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-… e grazie di aver scelto la nostra compagnia!
La hostess dai capelli rosso fuoco è di nuovo al microfono. Ha appena annunciato qualcosa, ma me la sono persa. Uno scossone fortissimo mi ha fatto sobbalzare e ora ho davanti a me l’immagine confusa di Alessandra che dorme rannicchiata sul sedile. Poverina, dopo così tanti giorni di lavoro con il caldo asfissiante di Roma è normale che sia così stanca. Stropiccio gli occhi con le mani per abituarli all’improvvisa luce e le figure assumono lentamente un contorno più nitido. Perché l’hostess ha parlato ma non l’ho sentita? Ah, ho ancora le cuffie sulle orecchie. Ci metto poco a realizzare cosa sta succedendo quando i passeggeri, uno ad uno, cominciano ad allacciarsi le cinture di sicurezza. Faccio lo stesso, imitandoli, e poi la allaccio anche alla mia amica che è troppo stanca per rendersi conto di quello che sta succedendo. L'aereo scende di quota sempre di più e avverto di nuovo quella sensazione di vuoto allo stomaco che avevo anche alla partenza. Dopo qualche minuto di folle attesa, un forte scossone mi scuote comunicandomi che siamo finalmente atterrati! Rimango ferma al mio posto nella speranza che Alessandra si svegli da sola, ma lei rimane impassibile e non si muove.
-Non ci posso credere, siamo arrivate! Ti rendi conto? ARRIVATE! Questo è l’aeroporto di Londra.
Ma Alessandra ancora dorme. Mi dispiace svegliarla così di botto.
-Svegliati, dai! Oddio, non sto più nella pelle…
Qualcuno mi guarda di traverso. Per sbaglio le tiro una gomitata e lei sobbalza sul sedile. Mi guarda, poi scoppia a ridere capendo la situazione (fortuna che è così paziente con me) e si rende conto che in questo momento più che dell’appoggio di un’amica ho bisogno della compostezza di una madre.
-Siamo arrivate?– chiede con calma accompagnando la domanda con uno sbadiglio.
-Sì!!! Sì, siamo arrivate!
La capirei benissimo se in questo momento stesse pensando “Ma chi me l’ha fatto fare!?”
-Okay, adesso stai calma e non ti agitare che altrimenti ci prendono per pazze.  Da quanto tempo siamo atterrate?
-Ora, ma penso che se non mi fanno scendere subito inizio a diventare matta.
La sua calma mi inquieta.
-Ma ci pensi? Andremo al concerto di Michael Jackson! Io e te!
-Beh, Londra è bella anche per…- cerca di convincermi lei, ma non la lascio finire.
Anche se per le strade trovassimo una statua d’oro o dei vestiti scontati al 90%, nulla ormai potrà distrarmi dal mio obbiettivo.
-Ecco, possiamo scendere!– esulto.
-Prendi i bagagli e, mi raccomando, fa quello che faccio io– mi ammonisce Alessandra -Non voglio farmi subito conoscere da tutto l’aeroporto di Londra– ride di gusto.
Io non ci trovo nulla da ridere, non sono esperta di queste cose.

Quest’aeroporto sembra una città per quanto è grande e, come sempre, ci sono moltissimi poliziotti. La gente corre indaffarata da una parte all’altra: chi parla a telefono, chi controlla l’orologio per non perdere l’aereo... La cosa brutta? Tutti parlano lingue straniere e mi sembra di essere una formichina in mezzo a tante persone.
Ecco, lo sapevo! Mi sono distratta un attimo e non trovo più Alessandra. Dove si è cacciata? C’è troppo trambusto, se gridassi non mi sentirebbe. Fortunatamente la vedo da lontano. Si è già diretta al controllo del passaporto, convinta che fossi dietro di lei. Capisco che devo seguirla passo dopo passo, ma è lecito guardarsi intorno per capire in che razza di posto siamo… La grandezza delle cose, tutta questa gente che viene da ogni parte del mondo e le novità mi entusiasmano e spaventano allo stesso tempo. Faccio controllare anche io il mio passaporto e poi sono finalmente libera. Quell’aeroporto mi sembrava tale e quale a una prigione.
-Hey, qui! Frena, per favore.
Ormai siamo in strada. L’ennesimo taxi che ci sfreccia indisturbato davanti agli occhi senza curarsi dei miei richiami.
Alessandra ha una cartina del posto e la scruta con attenzione, mentre io chiamo disperatamente un mezzo che ci porti a destinazione. Cavolo, non c’è nessuno che ti ascolti qui? Sembra più affollato dell’aeroporto. Sinceramente non me l’aspettavo così… caotica e sconfinata. Forse è questa l’idea che ti dà un posto che non conosci. Inoltre sembra che il tempo scorra ad una velocità doppia! Tutti vanno di fretta.
-Facevamo prima a prendere un pullman!– sbuffo sedendomi sul ciglio della strada, con l’unico risultato di inumidirmi i jeans per la pioggia che aveva bagnato i marciapiedi.
–Mh-mh– annuisce Alessandra senza capire un accidenti di quello che ho detto.
-Allora?– mi agito spazientita, perdendo le speranze.
-Scusa, scusa. Ma è che non trovo questa strada sulla cartina–
Richiude quella che ha in mano e ne sfila un’altra dalla cerniera del trolley. Lo sapevo, va sempre a finire così: troppa organizzazione e il risultato è un cervello in fumo.
Alzo gli occhi al cielo.
-Fa vedere un attimo… Allora, noi dovremmo essere qui, vedi che c’è l’aeroporto qua?– e indico col dito una stradina parallela all’aeroporto.
-Sì, ma vedi che…
-Aspetta, aspetta!– esulto. –Taxi! Taxi! Ci aspetti!
Un taxi è parcheggiato di fronte ad un bar, vicino al ciglio del marciapiede, apparentemente fermo. Attraversando di corsa la strada riesco a pararmi proprio di fronte ad esso. Dopo qualche gesto disperato il finestrino si abbassa lentamente e appare un uomo dalla pelle scura con labbra rosee che spiccano sulla carnagione abbronzata, orecchie a punta simili a quelle di un elfo, barba brizzolata e la testa pelata, con una sottile striscia di capelli dello stesso colore della barba che gli corre da un orecchio all’altro ricoprendo la testa per metà. Nonostante sia seduto, si capisce che è molto esile e sicuramente più basso di me. Al collo ha una spessa collana di plastica marrone, come quelle che tentano di propinarti i venditori ambulanti sulla spiaggia, e in mano un panino iniziato da poco. Sul cartellino appuntato sul petto c’è scritto: DWAYNE.
-Scusi, ci potrebbe dare un passaggio?– chiede gentilmente Alessadra.
-Spiacente ragazze– Ci comunica il tassista, rivelando una voce bassa, ma che scandisce bene le parole. -Sono in ‘break’. Dovete aspettare un’ora e mezza circa.
-Però, dev’essere scomodo pranzare in macchina…- biascica Alessandra.
-Infatti, lo è! Ma non pagano gli extra per questi “inconvenienti”, ragazzina.
-La prego! Dobbiamo solo andare a casa di mia nonna. Dovrebbe essere qui dietro l’angolo –assume un’aria supplichevole, ma capisco che è una bugia perché la sua casa è ben più lontana.
-Mi dispiace, ma è indifferente se dovete andare a trovare vostra nonna o un buon ristorante.
Scoppia in una risata. La cosa mi irrita un po’, ma mi diverte anche. Sembra proprio uno di quei tassisti americani un po’ matti che si vedono nei film. Mi sta simpatico, devo provare a convincerlo.
Faccio segno ad Alessandra di lasciar fare a me e mi faccio posto davanti al finestrino, mettendo le mani giunte.
–Senta, è da una settimana che non dormo perché questo weekend dobbiamo andare al concerto di Michael Jackson, non so se ha presente, quindi non sono più nella pelle. Potrebbe fare uno strappo alla regola per favore??? Per due ragazze come noi? La prego!
Sfodero il sorriso migliore del mio repertorio e lo fisso dritto negli occhi.
Lascia il panino sospeso a mezz’aria, poi lo posa sul sedile accanto alzando gli occhi al cielo, arreso.
-Aah, va bene. Salite. Dove dovete andare?
Saltiamo su in un lampo ringraziando infinitamente e la mia amica mi rivolge un’espressione compiaciuta, come per dire “Non sapevo ci sapessi fare così tanto!”
Gli mostro la cartina.
–Ecco, dovrebbe gentilmente portarci qui. Ci dovrebbe essere una villetta…
-Col tetto rosso!– aggiunge Alessandra.
-Ragazze, ce ne sono molte di villette col tetto rosso qui. Come faccio a sapere qual è quella che cercate se non mi date un indirizzo esatto? –Il suo strano accento mi fa ridere. Sembra venga da qualche isola caraibica. Di sicuro inglese non è!
-Allora ci porti in questa strada, poi la troveremo da sole.
Fa un cenno con la testa e parte a velocità supersonica. Affondo completamente il corpo nel sedile e mi aggrappo con le mani alla fredda pelle color crema che li riveste. Ogni tanto, quando il semaforo è rosso, il tassista frena di botto e dà un morso al suo pranzo.
-Allora, dite un po’, che cosa ci fanno due belle ragazze come voi nella caotica Londra?
-Come fa a sapere che non siamo della zona?– chiediamo incuriosite.
Mi appoggio con i gomiti al sedile anteriore. Sì, mi sta decisamente molto simpatico.
-Andiamo, non avete il nostro accento, si capisce subito! E non sapete neanche dove andare… girate in pieno centro con una cartina in mano. A chi volete darla a bere?–
Scoppia in un’altra risata.
-Siamo italiane– risponde Alessandra. –Siamo qui per il concerto di Michael Jackson e a lei- mi punta l’indice contro –piace tanto Michael Jackson.
-Un’altra fan?– chiede ironico il tassista, ma con espressione compiaciuta.
-Esattamente!
-Ne ho già accompagnate una decina negli ultimi due giorni e quasi tutte ragazze. Appena chiudevano la portiera cominciavano ad urlare impazzite “Siamo a Londra! Michael! Michael!” e via dicendo per tutto il tragitto!–
Il tassista non sa che ne ha trovata un’altra così oggi, ma non sembra affatto dispiaciuto.
–Comunque siete state fortunate ad aver trovato i biglietti.
Io e Alessandra ci scambiamo una rapida occhiata.
-Io non ci potrò andare– continua -perché lavoro anche nel weekend, ma mi sarebbe piaciuto molto. Quel ragazzo è formidabile!–
Questa frase accresce ancora di più la stima che provo verso il tassista. Chi poteva capitarci di meglio?
-Mi raccomando… arrivate il più presto possibile sul posto. La gente arriva dai luoghi più remoti del mondo per sentirlo cantare.
Frena improvvisamente.
-Ecco qua, ragazze. Ora non vi resta che cercare… Buona fortuna!
-Grazie mille.
Io e Alessandra stecchiamo i soldi per il taxi (scontati con molta gentilezza da Dwayne per “la nostra simpatia”) e facciamo per andarcene, ma il tassista ci blocca affacciandosi dal finestrino.
-Oh, dimenticavo!– mi porge un bigliettino da visita. –Questo è l’albergo dove alloggerà Michael. La gente di solito lo attende sotto il balcone dopo il concerto perché esce spesso mandando messaggi di affetto ai suoi fans. Fateci un salto, sarà emozionante.
-Caspita, grazie ancora! E’ stato veramente gentilissimo.
Osservo il taxi sparire lentamente dalla strada. Chissà se lo rincontreremo. Mi piaceva il suo sarcasmo e l’accento straniero.
Bene, ora non ci resta che cercare una villetta con il tetto rosso e che abbia il nome “Hilary” scritto sulla targhetta della buca delle lettere. La vedo proprio dura!
Dunque, vediamo… Kate, Alan, Betty, Peter, John… Stiamo passando in rassegna quasi tutte le villette. Come diceva Alessandra sono abbastanza piccole, ma vedendole da fuori sembrano stupende. Hanno dei giardini favolosi di color verde smeraldo, con i fili d’erba che sembrano quasi tagliati tutti alla stessa altezza, e qualche fiore nelle aiuole.
-Ma come avevi detto che fa di cognome tua nonna?
-Collins. Hilary Collins.
-Prima ero talmente emozionata che non sentivo tutto il freddo che sento adesso. Le temperature sono così basse anche in estate? Brr…-
Mi sfrego una mano sul braccio per riscaldarmi, con il risultato che mi viene ancora di più la pelle d’oca.
-Sì, qui fa sempre freddo e devi sempre avere un ombrello a portata di mano perché potrebbe venire a piovere da un momento all’altro.
Alessandra cammina spedita mentre parla e io, con la testa piena di nomi e un freddo che mi penetra le ossa, posso solo cercare di stare al passo, anche se mi sembra impossibile.
Ad un tratto esclama: -Eccola! L’ho trovata, ce l’ho fatta! Nonna! Nonna! Siamo arrivate.
Tiro un sospiro di sollievo e una nuvoletta di condensa svanisce leggiadra nell’aria.
La porta della villetta si apre di scatto e sull’uscio appare una vecchietta dall’aria simpatica, con i capelli bianchi raccolti in un ordinato chignon. Ha gli occhi verde smeraldo e indossa un allegro vestitino viola a fiori.
-Nipotina mia. Vieni qui, fatti abbracciare!
Apre il cancello. Alessandra lascia cadere tutti i bagagli sul vialetto e le getta le braccia al collo. Si scambiano qualche dolce parolina che non riesco a sentire, tranne qualche vago “Come sei cresciuta!” e ancora “Come è andato il viaggio?”
Sorrido, ma in realtà non so che fare, sembro quasi un’intrusa. Questa sensazione passa presto. La vecchietta mi abbraccia come se fossi la sua seconda nipote. Ha delle braccia molto morbide e profuma di lavanda.
-E tu devi essere Claudia, dico bene? Alessandra mi ha parlato spesso di te!– mi stringe ancora più forte.
Parla molto lentamente e scandisce bene le parole, così non faccio fatica a capire.
-Sì, esatto, sono io. Non volevo disturbarla, ma Alessandra mi ha invitata e visto che siamo molto amiche…
-Disturbo? Ma di quale disturbo parli?– esalta le parole meravigliata.
-Sono tutti i benvenuti nella mia casa. E’ un po’ piccola, ma spero che ti troverai bene! Su, ora venite dentro che non sarete di certo abituate alle temperature di qui.
Annuisco freneticamente e mi tiro dietro il trolley con una certa fretta.
Sembra quasi la casa di mia nonna, piena di oggetti strani e bellissimi, suppellettili e statuette, sistemati in ordine di altezza sulle mensole. Devo dedurre che è stata una viaggiatrice in passato: draghi cinesi in porcellana dipinta a colori vivaci, una collana con la bandiera americana, una vetrina piena zeppa di coppe vinte alle gare di ciclismo, ma soprattutto tante foto ricordo. Nella maggior parte delle foto c’è la vecchietta con un uomo (penso il nonno); ricordo che Alessandra una volta mi aveva detto che era morto, così decido di non fare domande.
Dopo avermi mostrato tutta la casa, Alessandra mi conduce nella nostra camera da letto. E’ abbastanza spaziosa, con due letti stracolmi di pupazzi e bambole di porcellana, al lato una vecchia sedia a dondolo di legno, una scrivania con una lampada e uno scrittoio. Sembra di aver fatto un tuffo nella storia con tutte queste cose che ci circondano! Nella stanza c’è anche una porta chiusa.
-E quella?– le chiedo indicandola.
-E’ il bagno.
-Mi stai dicendo che abbiamo il bagno in camera, proprio come negli alberghi?
-Sì, che c’è di strano?
-Mmh, niente.
Cerco di apparire il più normale possibile. Come fanno ad avere tutti questi privilegi? Mi sembra veramente di essere in un albergo.
-Posso farmi una doccia, allora?
-Certo, ma sbrigati. Tra poco sarà pronto il pranzo e poi dobbiamo scegliere dove andare questo pomeriggio. Insomma, siamo a Londra!
-Ricevuto.
Faccio l’okay con il pollice, afferro i vestiti puliti, l’accappatoio e mi immergo completamente sotto l’acqua per riscaldarmi e far uscire dal mio corpo tutto il freddo che è penetrato nelle ossa. La nostra avventura a Londra è appena cominciata e ho un solo pensiero fisso nella mente.

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