❧Mentire è un modo per sopravvivere.

3.6K 435 204
                                    

Siete mai stati investiti da un'auto? O, non so, siete mai caduti da una rampa di scale atterrando di petto? O, ancora, siete mai stati massacrati a sangue? Piú o meno, il dolore che stavo provando in quel momento, era quello di tutte e tre le cose messe insieme. Nella mia vita ho sofferto tanto, diamine: ho perso mio padre, ho sofferto di ansia e depressione, sono stato massacrato di botte ogni giorno, ma, cavolo, il dolore che stavo provando in quel momento, era superiore a tutti quelli. Che poi non riuscissi neanche a spiegarmi perché stessi soffrendo tanto, quello era un caso a parte. Perché soffrivo tanto? Forse per le parole che mi aveva detto? Ma perché? Infondo mi aveva semplicemente detto la verità, anzi, forse avrei dovuto ringraziarlo, perché mi ha fatto capire come stavano le cose... Certo, l'aveva fatto senza un minimo di ritegno, e chiamandomi 'puttanella' ma almeno l'aveva fatto. Non era in sé, non era sobrio, ma almeno aveva detto la verità.

E allora perché soffrivo tanto? Perché quella notte non avevo fatto altro che piangere e piangere e ancora piangere senza riuscire a fermarmi neanche un attimo? Perché mi ero a fatica trascinato nel mio letto e mi ero stretto in un angolo, pregando si sparire dalla faccia sella terra? Non lo sapevo proprio spiegare. Non riuscivo proprio a capire cosa stesse accadendo, cosa mi stesse accadendo. Sapevo solo che, in quel momento, ho desiderato tanto la morte. Forse era solo una delle mie ricadute: in passato ho subito periodi interi in queste condizioni per molto meno. Non avevo neanche le forze di rialzarmi dal letto, non volevo neanche guardarmi nello specchio, perché sapevo che ero in condizioni pessime e non volevo vedermi, non volevo vedere la faccia di un perdente, depresso, sfigato ragazzo. Respiravo a fatica, perché ero ancora in preda ad una crisi di pianto molto pesante, e sapevo che non mi sarei fermato in poco tempo. L'unica cosa che avrebbe potuto calmarmi, anzi, l'unica persona, era, in quel momento, l'ultima che avrei voluto vedere. Ero messo proprio male, se il mio veleno era anche la mia medicina.

Era giorno, questo potevo intuirlo benissimo, perché i primi raggi di luce iniziavano ad entrare nella mia stanza. Non sarei andato a scuola quel giorno. Avrei finto di sentirmi male, che poi non era del tutto vero, date le mie condizioni. Non volevo vederlo, non sarei riuscito a fingere che non era successo niente, e non avrei resistito per cinque ore di scuola senza scoppiare. Mi avvolsi ancora di più nelle coperte e nascosi il viso nel cuscino. Volevo davvero sparire dalla faccia della terra.

Sentii bussare e sobbalzai.

"C-chi è..?" chiesi biascicando flebilmente

"Jin" riconobbi subito la sua voce "farai tardi a scuola" disse semplicemente.

"O-oggi... non vengo... a scuola" dissi asciugando alcune lacrime che ancora mi rigavano il volto.

"Cosa?! Perché?" avrei giurato di averlo potuto immaginare mentre si accigliava.

"Non sto molto bene... Puoi... Puoi dirlo a mia madre?" chiesi.

"Che significa che non stai molto bene? E perché diamine è chiuso a chiave?" lo sentii agitare la maniglia "insomma, Jin, apri o apri questa maledetta porta?" si stava irritando, potevo sentirlo dalla voce.

"N-Nam, non mi sento bene, ma non è grave... Davvero, non voglio venire a scuola oggi... Dillo a mia madre per favore" pregai con tutto me stesso di restare calmo mentre gli parlavo.

"Va bene" si arrese "ma quando torno voglio vedere come stai"

No.

Fu la prima cosa che pensai. Non volevo davvero vederlo. Avevo paura.

"N-non preoccuparti, sto bene" dissi.

"Non mi interessa. Aspettami, io vado.." rispose "Riposati" aggiunse poi.

Non è il riposo, quello di cui ho bisogno, Nam.

Appena sentii che se n'era andato caddi con il viso nel cuscino e mi ricoprii. Dopo un po' mi addormentai. Ero distrutto, dopo aver passato una notte insonne a piangere. Quando mi svegliai in camera non c'era più tanta luce. Mi chiesi per quante ore avessi dormito, e quando controllai l'orologio quasi mi spaventai. Erano le cinque del pomeriggio. Sentivo la bocca impastata e avevo anche fame, ma di uscire dalla stanza non se ne parlava. Mi alzai e andai in bagno, per sciacquarmi il viso. Quando mi specchiai lanciai quasi un urlo. Ero ridotto davvero malissimo. Le occhiaie padroneggiavano sotto ai miei occhi, che erano anche gonfissimi per il pianto, e avevo ancora un rivolo di sangue ormai secco sotto al labbro spaccato. Mi sciacquai in fretta viso e collo, rimuovendo il sangue, ma non avevo proprio il coraggio di guardare la cicatrice. Avrei ricominciato a piangere, e non mi andava poi così tanto. Sotto al labbro si era formato un livido non molto bello, che avrei dovuto nascondere in qualche modo, ma non me ne preoccupai, perché non sarei uscito da lí per un bel po'. Dopo essermi sciacquato mi sedetti nuovamente sul letto, incrociando le gambe e iniziando a torturarmi le mani per l'ansia. Ansia per cosa, non lo sapevo. Continuavo a pensare e a pensare e a pensare senza trovare tregua. Ero davvero stanco della mia mente. Improvvisamente mi vennero in mente delle parole, che suonavano più che altro come il pezzo di una qualche canzone che a me sembrava sconosciuta. Mi alzai e presi in fretta un foglio, prima di dimenticarle tutte e scrissi in fretta e furia.

Yuanfen [NamJin.]  Where stories live. Discover now