IL PRIMO GIORNO

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Ho una manciata di minuti di anticipo e sono riuscita anche a trovare un parcheggio decente giusto di fronte all'edificio. Mi butto nel bel mezzo di quella giungla tra veicoli che sfrecciano alla velocità della luce, persone affannate e nervose che corrono da una direzione all'altra accompagnate dal medesimo ed insistente concerto per clacson. Le mie gambe slanciate attraversano di corsa la grande strada urbana cercando di farmi arrivare il più in fretta possibile a lavoro ma rimanendo incurante dei pericoli che corrono i pedoni mentre provano ad attraversare una strada infernale come quella; la mia borsa a tracolla sta sballottando su uno dei miei fianchi impedendomi un giusto movimento e alcuni tizi maleducati mi passano accanto dandomi spallate, facendomi quasi cadere a terra e senza chiedermi scusa e per una ragazza come me, che ha vissuto per anni in un piccolo paesino della Carolina del Nord, questo è davvero raccapricciante. In questo momento, il mio umore è nero e se ci penso di dover fare ogni mattina così... Benvenuta nella Grande Mela del business, Sarah!

Dopo la maratona di New York, sudata, stanca, ansiosa ed affannata, mi ritrovo faccia a faccia con l'imponente palazzone a vetri che ora è eretto davanti ai miei occhi. Tiro solamente una rapita e distratta occhiata in alto, forse per rendermi conto di essere davvero li e prontamente decido di entrare; le porte automatiche a vetri si aprono in mia presenza.

Entrando, rimango sulla soglia immobile e a bocca aperta, meravigliata dalla bellezza di quell'ampio, spazioso, pittoresco salone moderno e luminosissimo; è pieno zeppo di quadri contemporanei e di foto con tantissimi personaggi famosi dello spettacolo e della musica posti molto ordinatamente sulle pareti. Riconosco una vecchia foto di Harry Styles e vado in estasi, non riesco ancora a credere ai miei occhi, ma sono intimorita da tutto questo che si sta realizzando. Adesso, dopo aver capito di essere entrata a far parte di un mondo del quale avevo aspirato tanto, ne ho una grande paura, terrore di non esserne in grado, di non esserne all'altezza.

Tutt'intorno regna un silenzio assurdamente professionale che sembra di star immersa sott'acqua dopo il bagno di folla impazzita lasciata dietro di me.

Dei dirigenti, vestiti accuratamente nei loro abiti formali, laccati e profumati, camminano a passo calmo non facendo caso alla mia presenza, non mi degnano di uno sguardo, anzi risulto essere un fantasma e forse ciò mi rende un po' più tranquilla ma probabilmente è un piccolo effetto placebo.

A passo indeciso, mi dirigo al centro del salone e andando oltre, percorro uno dei tanti lunghi corridoi principali dirigendomi verso l'ufficio informazioni.

Davanti al vetro dell'ufficio, che ha posto al centro in basso un oblò per poter comunicare, mi do una leggera e veloce scrollata alla gonna ed inizio a tamburellare nervosamente con le dita di una mano sul grigio davanzale di quell'area di sosta, cercando distrattamente con lo sguardo qualcuno ed in attesa che qualche buona anima venga al centro del vetro, mi veda e mi dica qualcosa di utile. Ci sono solamente io, un oblò ed alcune sedie vuote dietro di me.

Qualche secondo più tardi, un uomo di mezza età, paffuto e tracagnotto e mezzo stempiato ma con uno sguardo simpatico, compare improvvisamente di fronte a me, seduto sulla sua sedia girevole, e mi sorride bonariamente, <<Buongiorno signorina, ha bisogno?>>, ha un tono davvero gentile per quella voce roca. Decido di contraccambiargli il sorriso di cortesia e mi schiarisco la gola parlando attaccata a quel piccolo buco, <<Buongiorno, mi chiamo Sarah Rodgerson. Oggi sarebbe il mio primo giorno di lavoro.>>, la mia voce appare leggermente tremolante.

<<Oh! Signorina Rodgerson, la stavamo giusto aspettando!>>, la guardia tossicchia ed arrossisce, sbottonando un bottone in più della sua camicia bianca, un po' troppo stretta per il suo fisico, <<Molto piacere, Natan Smith, sono la guardia di sicurezza, ma tu puoi chiamarmi pure Nat.>>, Natan mi strizza l'occhio mostrandomi un pacifico sorriso, mi mette subito a proprio agio e ciò mi rende contenta.

Fruga rapidamente sulla scrivania apparentemente disordinata e tira fuori un cartellino con sopra inciso il mio nome e cognome e con la sua mano tozza dalle dita sproporzionatamente corte, me lo porge trascinandolo al di fuori del vetro. << Ecco il suo cartellino, lo appunti pure sulla camicia e benvenuta alla Stumphone Enterprise!>>. Sorrido alla sua alzata di tono amichevole e mi accingo ad appuntare con cura il cartellino a destra, nella parte superiore della camicetta.

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