{you can save me.} Parte due

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"Pronto?" Risposi così a quella telefonata in arrivo. Avevo il tono calmo, come se non mi fosse importato nulla che mi aveva riattaccato il telefono prima.
"Hey..." Sentii la sua voce.

Aveva esordito con un semplice "Hey"?

"Avrei dovuto riattaccarti il telefono anche io, così impari!" Decisi di iniziare io la conversazione, smascherando la tranquillità del mio tono di poco prima. Lei sospirò al telefono in quel momento. "Non avrei voluto riattaccare il telefono. Non avrei neanche voluto impostare la modalità non disturbare." Mi disse, ed io la ascoltai in un primo momento. "La modalità non disturbare? Addirittura? Ecco perché non riuscivo a rintracciarti." Le parlai io, un po' innervosito dal suo comportamento.

"Mi-mi dispiace." Calò lei l'ascia di guerra di quel momento, aggiungendomi queste parole. "Solo questo?" Dissi io. Ero seduto sulla sedia vicino alla scrivania quando la feci ruotare verso la vetrata del mio ufficio, perdendo lo sguardo sulla vista che avevo davanti: gli immensi grattacieli di New York City.

"Beh...Mi dispiace averti riattaccato il telefono, ti ho già detto che non avrei voluto farlo." Mi disse di nuovo. Aveva un tono strano, come se fosse assente dalla conversazione e parlava giusto perché doveva.

"Ho capito che ti dispiace, Venere." Le aggiunsi io subito dopo, sempre con tono poco calmo. Ma quella fu la prima volta che la chiamai con il suo nome. Lei, come avevo detto, era assente. Non fece caso alle mie parole.

"Il fatto è che sono incasinata. Mi sto cacciando in un guaio così grande che non so come uscirmene." Iniziò a parlarmi, ora agitata. "Un guaio?" Le parlai io sopra, facendo un ghigno sul viso anche se lei non poteva vederlo. "Non mi sembra che questa notte lo chiamavi guaio mentre saltavi su di me." Le conclusi.

Lei per qualche istante smise di parlare, poi nervosamente scoppiò in una fragorosa risata.

"Mi fa ridere che pensi di essere il centro del mio mondo. Ma io non parlavo di te, Avvocato."  Pungente mi diede in risposta. Usò anche il termine Avvocato per definirmi. Non mi aveva mai chiamato così.

"Non chiamarmi Avvocato, Baby!" Esclamai io, ammiccando un sorriso a fine frase.
"Se non stavi parlando di me, a cosa ti stavi riferendo?" Le chiesi poco dopo, avendo suscitato in me della curiosità mista a della insensata preoccupazione.

"Ma cosa vuoi che ti spieghi." Mi diede lei in risposta. "È complicato e non mi va che tu le sappia." Continuò. Io stavo realmente iniziando ad innervosirmi, tanto che mi alzai dalla sedia, camminando avanti e indietro per il mio ufficio. "Questo cosa vuol dire?" Dissi con tono fermo. "Che non voglio che tu sappia le mie cose." Mi ripetè lei in tutta onestà, con tono diffidente nei miei riguardi.

"Però non faccio altro che pensare a questa notte. Mi tormenta il pensiero di te..." Mi disse, cambiando decisamente il suo tono, ancora una volta. "Prima mi distruggi dicendomi che non vuoi raccontarmi le cose e poi cerchi di addolcirmi con queste parole?" Le dissi io, un po' freddo. "Non sto cercando di addolcirti. Ti sto dicendo la verità. Da quando ci siamo separati questa mattina, non faccio altro che pensare a quello che è successo." Ora sembrava improvvisamente un'altra persona. Aveva quel tono dolce, quasi da bambina, che sapeva fottermi il cervello in un modo assurdo.

"Sto facendo un giro sulla Senna, ci sono milioni di cose da ammirare. Se sposto lo sguardo in alto, sai cosa vedo? La Torre Eiffel. Se guardo davanti a me, ci sono centinaia di turisti e migliaia di coppie di persone che si amano." Iniziò a straparlare senza un minimo senso. "Ed io sai a cosa penso? A te..." Concluse così il suo discorso.

Call me Daddy 3.Where stories live. Discover now