Marea Nera ~ Will

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Io e la puntualità nelle pubblicazioni siamo due entità distinte e separate. Però dai, anche se ci ho messo solo tre mesi e quasi tutte le vacanze di Natale, qualcosa per intasarvi le notifiche sono riucita a buttarla giù.
Ora mi dispiace, ma ho una certa quarta puntata uscita ieri di una certa serie TV da vedere. Vi lascio alla lettura!

Non li avevo mai visti insieme. O almeno, non da soli.

Eppure eccoli lì. In piedi, vicini.

E non stavano cercando di uccidersi.

Nel buio della notte, priva di stelle, i miei occhi non percepivano altro che due figure d’ombra sullo sfondo di un mare d’ombra, entrambe girate di spalle. Paradossalmente, l’elemento più facilmente distinguibile era la spada nera che uno dei due portava appesa dietro la schiena. La parte della lama che usciva dal fodero riusciva ad essere perfino più scura della notte.

Sembrava volermi avvertire di stare lontano, perché nemmeno tutta la luce che avevo nell’anima sarebbe bastata ad illuminare quell’ombra senza fine.

E così io mi tenevo lontano. Nascosto all’ombra di un edificio, tentavo di ascoltare i loro respiri coperti dallo sciabordio dell’acqua nera che si infrangeva lungo la spiaggia. Era strano: di solito qualche rumore c’era sempre. Eravamo al Campo Mezzosangue, dopotutto. Che fosse un ritardatario, o qualcuno che decideva di farsi una passeggiatina notturna in barba alle regole, o uno spirito della natura affetto da sonnambulismo, o un’arpia delle pulizie, c’era sempre qualche altro suono a rompere il silenzio. Quella notte no; quella notte, c’era solo il mare ad impedirmi di percepire ogni respiro di quel ragazzo che osservavo, poco distante, mentre fissava l’orizzonte. C’era solo il mare, tra me e i suoi pensieri; e quel rumore di acqua che si afflosciava pigramente sulla riva stava diventando assordante, man mano che il tempo passava.

Non so dire se passarono secondi, minuti o ore, prima che il mormorio lento dell’acqua si condensasse in una voce, altrettanto lieve, come se avesse paura di farsi sentire. Era la voce della seconda figura, quella più alta, che si stagliava su quella landa d’acqua quasi ne fosse il padrone assoluto.

- Perché sei venuto qui, Nico? – potei sentire distintamente il battito del cuore dell’altro, mentre si preparava a rispondere. Due, tre, cinque battiti, come se lo stessi ascoltando con lo stetoscopio. Quando si decise a parlare, la voce di Nico parve scendere dal cielo, dalla notte stessa che incombeva su di loro, oscura e senza luna.

- Dovevo parlarti. –

Parole schiette, fredde. Eppure tremolanti, incerte, per chi avesse ascoltato davvero.
Passò un’altra manciata di secondi, senza che venisse proferita parola. Eppure, anche senza rumori, si cominciava a intuire la tensione elettrica che si stava generando tra i due.

Alla fine, intervenne di nuovo la figura alta. – Stai… cercando di comunicarmi tutto telepaticamente? Perché non funziona. –

Nico sbuffò, ma c’era una nota divertita in quel piccolo suono. Davvero bastava così poco per sdrammatizzare e farlo ridere?

- Piantala – intimò, come se lo sbuffare non fosse stato sufficiente. – Io… io dovevo solo… ecco… - ora il tremolio della voce si intuiva a chilometri di distanza. Il ragazzo fece un respiro profondo, e continuò d’un fiato: - … Dovevo solo chiederti scusa. –

Altri istanti di silenzio imbarazzato.

- Per… scusa per cosa, Di Angelo? – fece il ragazzo alto, un tantino incerto. Lo immaginai che inarcava un sopracciglio.

- Per tutto – se ne uscì l’altro. – Perché ti ho visto in difficoltà, quando eri all’altro Campo, e ti ho lasciato solo. Perché ti ho trattato male per tutti questi anni, con la scusa di una rabbia che non ti meritavi. Perché non sono riuscito ad aiutarti, in nessun modo, mentre cadevi nel… -
La voce gli si strozzò del tutto.

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⏰ Last updated: Jan 07 ⏰

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