Strani Istinti Di Battaglia ~ Percy

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Le parti scritte in corsivo sono flashback

Strinsi la presa sull'elsa della mia spada. Quante battaglie avevo combattuto così, tenendo stretta Anaklumos in una mano e tendendo l'altra per attivare i miei poteri? Non lo sapevo, ormai avevo perso il conto. Ma di sicuro erano state tante, troppe. Alla fine, mi ero quasi abituato a quella stretta familiare allo stomaco, all'acqua che tutt' a un tratto pareva pronta ad obbedire ai miei comandi. Mi ero abituato alle stoccate, le parate, gli affondi, mentre la luce rassicurante del bronzo celeste brillava fulgida come ad indicarmi che, ancora una volta, c'è l'avrei fatta. Mi ero abituato al senso di pericolo, all'adrenalina e all'eccitazione da battaglia, che mi scaldava il sangue nelle vene e mi acuiva i sensi, mentre tutti i miei pensieri scivolavano via. Il movimento dei muscoli, la perfezione dei colpi, portavano via ogni cosa attorno e dentro di me; ogni ricordo, ogni emozione si dissolveva nel movimento fluido della spada, nel gorgoglio dell'acqua che mi obbediva ciecamente. Mi ero reso conto di aver raggiunto questo equilibrio, questo brio perfetto in battaglia, solo qualche giorno dopo la mia ultima impresa.

Era il primo mostro contro cui combattevo dalla guerra contro Gea e i Giganti, incrociato per caso mentre tornavo da mia madre per festeggiare il mio diciassettesimo compleanno con lei. Sceso dalla metro, mi ero ritrovato faccia a faccia con una di quelle cose storte comunemente chiamate empuse. Il mostro non aveva nemmeno fatto in tempo a lanciarmi un po' del suo fuoco, che avevo già sguainato Vortice ed ero partito all'attacco. Era stato allora che, per la prima volta, avevo sentito davvero quella forza, quell'eccitazione da battaglia che ora accompagna ogni mio colpo. Effetti collaterali dal Tartaro? Benedizioni divine varie? Non lo sapevo. Ma mi piaceva.
L'empusa, appena avevo tentato un affondo con la spada, era saltata indietro di tre metri e mi aveva lanciato una palla di fuoco come fosse un giocattolo, sicura di colpirmi. Io non mi ero sprecato nemmeno a muovermi: in meno di un istante, l'acqua delle tubature della metro era schizzata fuori dai suo condotti per estinguere l'incendio, sostituito da un muro di liquido abbastanza putrido. I liquami erano tornati nelle tubature velocemente come erano arrivati, e io mi ero goduto per qualche secondo l'espressione scioccata della giovane empusa. Poi avevo deciso che era ora di muovermi. Mi ero ritrovato davanti al mostro con un balzo, e avevo cominciato a giocare tirando di scherma contro quell'essere come un gatto faceva col topo, il tempo che pareva rallentato. Para, schiva, affondo, tondo, schiva, rompi le difese, affondo sul fianco. In pochi secondi, l'empusa non c'era più.

Ora, tenendo in mano quella spada, sentivo la stessa eccitazione nelle vene. Peccato che la spada non fosse Anaklumos. Quella che tenevo in mano era più minuta, più corta e apparentemente più fragile. La lama di cristallo bianchissima avrebbe potuto essere fatta di vetro, leggera e maneggevole. L'elsa era di un verde intenso, quasi fosse stata riempita con la clorofilla, e aderiva perfettamente alla mia mano. Mi fidavo di quella spada, perché dopotutto la sentivo davvero mia, come se la impugnassi da sempre. Chiusi gli occhi, e partii all'attacco, mentre gli eventi degli ultimi tempi mi riempivano la mente come una valanga al ricordo di quell'empusa.

Finalmente tornavo da mia madre. Non la vedevo da otto mesi, anche se di sicuro non sentivo la stessa mancanza che sentiva lei (per parte di quei mesi avevo dormito, dopotutto). Non osavo nemmeno immaginare come si sentisse. Ero perfino un po' spaventato dall'idea del rivederla, di lei che mi abbracciava e piangeva. Avevo paura di vedere sul suo volto il dolore covato per mesi, avevo paura di vedere coperto dallo shock, dalla tristezza o anche solo dal sollievo il suo sorriso di sempre. Avevo paura (o meglio, sapevo) che il nostro rapporto non sarebbe stato più lo stesso, che qualcosa sarebbe cambiato per sempre, in meglio o in peggio che fosse. In sostanza, avevo paura di ritrovarla come avevo ritrovato Annabeth. Per quanto il rapporto tra me e la mia Sapientona fosse più migliorato che peggiorato, non avrei mai scordato quello che le avevo fatto passare, l'espressione di dolore sordo e rabbia sul suo volto mescolata alla gioia di rivedermi...

La Nuova Generazione // I più grandi Eroi - libro 1Where stories live. Discover now