La Figlia Di Atena ~ Karl

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Strinse i pugni sulle ginocchia, e la frustrazione aleggiava attorno alla sua figura, più densa dell’afa di quella notte estiva. Mi sarei quasi aspettato di vederle comparire una piccola nuvola scura in testa.

Eppure, lo sapevamo. Sapevamo che sarebbe stato difficile. Sapevamo…

- Sapevamo che avrebbe fatto di tutto per non farsi trovare – tentai. – Per quanto ne sappiamo, potrebbe aver cambiato tutto di se, dal nome all’aspetto: sono passati più di vent’anni da quando tua madre l’ha visto l’ultima volta, Dio solo sa cosa può essere successo in tutto questo tempo. Ma questo non significa che ci arrenderemo. Non l’abbiamo mai fatto, o sbaglio? –

Mi guardò, e io le presi una mano. Rimanemmo per qualche istante così, ad osservarci, a parlarci con lo sguardo, senza dire nulla. Non serviva.

Alla fine, lei sorrise. – Grazie, Karl. Mi… mi dispiace per tutto quello che ti sto facendo passare. – Il suo sorriso divenne triste, amaro. – Avvolte, mi chiedo se non sia solo uno stupido desiderio infantile. –

- La voglia di conoscere il proprio padre? Tanto stupida non mi sembra, come cosa. E poi, sei la persona migliore che esista su questa terra. Se tuo padre ha almeno in una piccola parte i tuoi stessi geni, vale la pena conoscerlo. –
- Non ci sai proprio fare con le cose sdolcinate, eh? – scossa la testa, il bel sorriso sempre stampato sul volto. – Ti amo, Karl. -

E poi mi baciò, non dandomi il tempo di rispondere. Ma, in effetti, non era necessario. Con quel bacio ci stavamo già dicendo tutto, tutto il possibile. Stavo con lei da tanto, ormai, eppure, un semplice bacio riusciva ancora a farmi volare, quasi sorprendendomi ogni volta.

Senza allontanare troppo il volto dal suo, presi a sussurrare piano. – Amore, che ne dici se per stasera abbandoniamo le ricerche, e passiamo il tempo in modo un po’ più divertente…? –

Lei mi guardò, malevola. – Oh, ci sto! –

Ci fu un ultimo bacio, e poi ci avviammo verso la nostra stanza. Era un po’ che non succedeva, e mi mancavano quei momenti con la mia ragazza come nient’altro. I momenti in cui essere noi stessi, i momenti in cui stringere il nostro legame, ogni volta un po’ di più.
E finalmente, dopo tanto tempo, ci sedemmo alla scrivania e cominciammo a lavorare su quel nuovo tostapane a idrogeno.

Sì, d’accordo. Forse l’avevo un po’ contagiata con questa storia delle invenzioni assurde. Ma solo un po’. Poi si era autoalimentata da sola.

Chi l’avrebbe mai detto che la mia dolce, simpatica, gentile, timida metà avrebbe potuto sviluppare un attaccamento così forte per la costruzione di macchine sempre più bizzarre. Eppure, ormai quasi mi batteva. Quasi. E quando glielo ricordavo, spesso finivamo a scherzare e giocare con davanti cavi elettrici e vari componenti elettronici potenzialmente esplosivi. Il che, in effetti, avrebbe potuto proprio non essere la più brillante delle idee…

Quella sera eravamo alla terza esplosione evitata per un soffio, quando suonarono il campanello.

Ci guardammo. Lei alzò un sopracciglio. Chi mai poteva essere, all’una di notte?

Mi pulii un po’ di grasso dalla manica e mi avviai verso il salotto.

Mi fermai davanti alla porta. Non si sentiva nulla, non un rumore, non un segno d’impazienza. Guardai dallo spioncino: nessuno.

- Chi è? – ero così teso che, quando lei mi arrivò alle spalle, feci un balzo e lanciai un gridolino ben poco virile. Qualunque cosa ci fosse fuori, non reagì.

La Nuova Generazione // I più grandi Eroi - libro 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora