Capitolo 6

17 3 0
                                    

"Lì c'è una scorciatoia se vuoi andare al gazebo"
Dico, vedendolo spaesato.

Sicuramente Adrian è quel tipo di persona che segue le vie principali, dove può incontrarsi con gli altri più facilmente.

Tempo fa io disegnavo, nulla di che, una sorta di mia terapia.
Mettevo le cuffie, alzavo la musica e coloravo.
Mi piaceva mettermi tra gli alberi ed i cespugli, isolata dalla folla.
Altre volte mi lasciavo semplicemente cullare dalla luce, dalla dolcezza della natura e dei suoi animali.

"Ci sei?"
Domando, vedendolo indietro.
Non riesce a mantenere il passo, ho fatto tante volte questa salita abbastanza ripida.

Annuisce, senza sprecare fiato.
Sorrido e decido di continuare.

Una volta arrivata mi siedo sulla panchina bianca.

"Hai perso un polmone o è tutto apposto?"
Chiedo ironica osservando con gusto la sua stanchezza.
Ha l'affanno e poggia le mani sulle ginocchia.

"Divertente"
Prende posto vicino a me, continuando a prendere fiato.

"Di solito sto a casa a studiare, oppure sto all'università"
Tradotto, non faccio molta attività fisica.

"Io sto bene a casa, ma tempo fa necessitavo di un mio spazio, della solitudine e venivo qui, oppure camminavo tanto.
Giuro, anche tre o quattro ore senza sosta"
Ricordo perfettamente.

"Sei solo egoista, altrimenti non ti comporteresti come una stronza"

"Ti invidio, i miei credono che per il momento devo dedicare anima e corpo allo studio. Il punto è che non potrò mai uscire da questo ciclo, poiché il lavoro che dovrei fare mi ruberà il novanta per cento della mia vita"
Perché?
Perché continua a seguire il disegno pianificato a regola d'arte della sua famiglia?
Lui, non è suo fratello, non è suo padre, lui ha altri desideri, ha altre ambizioni.

Fui colta da una forte tristezza, si era depositata sul petto, come una nuvola.
Svanì in poco tempo.

"Se non ti piace, perché non rinunciare?"
Domandai schietta.
Chi tiene a lui dovrebbe chiederlo.

Io tenevo a lui?
No, semplicemente detestavo vedere qualcuno buttare la sua vita.
Per poi cosa?
Accontentare persone che hanno già una vita?
La vita, il tempo che ci è dato a disposizione, non ci viene restituito e se dobbiamo compiangerci addosso, tanto vale che sia stata causa nostra, che sia farina del nostro sacco, piuttosto che l'idiozia di seguire il sogno di qualcun altro.

Mi guardò torvo.

"Hai detto in qualsiasi modo che non ti ritrovi in ciò che fai. Se qualcosa ti piace, non lo reputi un sacrificio. Hai dato una visione così pessimista della tua vita futura"
Feci un mezzi sorriso, fra le labbra.
Mi sembrava assurdo che non se ne fosse accorto.

Fece un sospiro, chiuse per qualche secondo gli occhi.
Li riaprì e si mise col sedere per terra, il palmo della sua mano sfiorava l'erba, distese le gambe, poggiò le mani per reggersi e l'aria che si innalzò di poco fece muovere i capelli.

Il calore emanato dai raggi del sole, in quel frangente, non era più insostenibile, anzi, il tutto era molto più piacevole, più dolce, ideale, quasi perfetto.

Senza guardarmi aprì gli occhi.
Attendevo con ansia qualsiasi altra mossa.

"Rinunceresti alla tua esistenza?
Ci riusciresti? Abbandonare ogni cosa, certezze, abitudini, idee oramai per forza di cose, ben fisse e sogni, anche se non tuoi? Per me significherebbe rinunciare alla mia esistenza, la mia vita fino ad oggi è stata svolta in funzione di un qualcosa già pensato"
Espose con tranquillità.
Non avrei saputo rispondere.

Rimasi in silenzio e lui probabilmente ebbe le sue conclusioni.

Non ero in grado di risolvere i problemi altrui.

"Non fare la saputella con me, non puoi aiutarmi"

Mi alzai e buttai fuori la rabbia e l'angoscia che ritornava quando avevo quei flash.

Adrian ebbe uno sguardo tra l'imbarazzo ed il "questa è pazza" forse vidi un pizzico di invidia.

"Anche io mi vergogno, ma alla fine, non dovremmo essere liberi di esprimerci?
Di fare ciò che ci fa stare bene?
Dai su, è liberatorio.

Gli afferrai un braccio e provai a tirarlo su, sembrava non dare segni di vita.

"Guarda, ci guardano tutti"
Mi indicò una signora, infondo alla salita.

"Sai cosa si fa in questi casi?"
Sperava che non facessi un'altra cazzata.
Troppo tardi.
Sono quasi attratta da loro.

"Salve signora, vuole unirsi?
È terapeutico!"
Gridai per farmi sentire, visto che la distanza era notevole.

Adrian si tirò una manata sulla fronte, in totale disappunto con il mio atteggiamento.

La signora sorrise, rifiutò l'offerta agitando la mano e se ne andò proseguendo dritto.

"Ora tocca a te"
Continuai.
Posai le mani sui fianchi, in attesa di un suo urlo.

"Tu sei matta"
Disse incredulo, stava per farlo.

Alzai le spalle e sorrisi.

Pochi secondi dopo, gridò, fu incerto all'inizio, ma non appena sentì dei benefici, provò un'altra volta.

Venne fuori la sua frustrazione e rabbia che covava.
Restò qualche minuto a guardare il cielo, a prendere fiato e a pensare.

Non mi intromisi, sorridevo e basta.

"Voglio vederti ancora"
Sbottò, guardandomi.
Era arrossito.

Rimasi spiazzata, da dove veniva fuori quel coraggio.

"Sabato sera.
Ti vengo a prendere e ti riporto a casa, oppure no, come preferisci.
Dimmi dove vuoi andare, per me va bene"
Feci fatica a seguirlo, parlava veloce.

Avrei dovuto rifiutare, non poteva nascere nulla, io e lui avremmo fatto troppo rumore, ci saremmo schiantati presto.

"Questo è il mio numero"
Non ci pensai due volte, forse neanche mezza.
Spontanea, ecco come posso definirmi.

Volevo dargli il mio numero, volevo sentirlo.

Adrian prese a sorridere, fu dolce, caldo, tenero, gentile e felice.

Girl Power.Where stories live. Discover now