CAPITOLO 28

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VICTORIA

«Tu verrai con me. Fine della storia, Victoria.» la voce squillante della mia migliore amica mi fece allontanare il telefono dall'orecchio «Non ti permetterò di passare le vacanze di natale da sola.»

Quest'anno sarebbe stato un natale diverso, senza Trent e i miei genitori. Dicembre era ormai arrivato e tutti stavano iniziando a programmare le proprie vacanze. Di solito partivamo insieme alla famiglia Cooper ma quest'anno sarebbe stato tutto completamente diverso. Nemmeno mi importava sapere cosa avrebbero fatto i miei genitori. Io sarei rimasta a New York, da sola, e immersa nella mia pace.

Pur volendo partire con Eloise, non avrei potuto. La seconda seduta dallo psicoterapeuta era qualche giorno dopo natale e quindi ero obbligata a rimanere in città a prescindere. «Terence e Carly rimarranno a New York» dissi, anche se sapevo non fosse vero «Quindi non sarò proprio da sola.»

«Sì ma tu potresti venire lo stesso con me» ero certa che avesse messo il broncio.

«Ti voglio tanto bene, lo sai» entrai in azienda dirigendomi direttamente verso il bar per prendere qualcosa da bere. Avevo troppa voglia di un cappuccino. «Purtroppo sono anche impegnata con una campagna pubblicitaria che devo uscire entro la fine dell'anno.»

«Lavori anche durante il periodo natalizio?» sembrò quasi un rimprovero da parte sua «Tu sei davvero pazza, amica mia.»

«Non posso fare altrimenti, purtroppo» feci un sorriso alla signora Sally che mi accolse con buongiorno quasi sussurrato. Sussurrai la mia ordinazione e tornai a parlare con Eloise che stava ancora cercando in qualche modo di convincermi. Quando si impuntava, era davvero infattibile contestarla.

«Promettimi che ci sentiremo ogni giorno.»

«Certo, ti chimerò così tante volta che inizierai a detestarmi» dissi, ridendo.

Smisi di ascoltarla non appena vidi entrare dalla porta Richard. Si salutò con alcuni colleghi, dandosi delle pacche sulle spalle e strette di mano, e si diresse proprio nella mia stessa direzione. Non era normale che mi sentissi così agitata.

Sebbene ci fossimo incontrati di tanto in tanto, non parlavamo veramente da quando eravamo tornati da Londra. Rimasi molto sorpresa quando si rivolse a me, salutandomi. Ordinò un caffè e mi limitai a ricambiare e guardarlo. Aveva qualcosa di diverso.

«Ti senti bene?» domandai, vedendo il suo viso pallido. Non potevo negare di essere preoccupata per lui, sembrava stare male ma avevo capito che non voleva mostrarlo a nessuno. Come al solito, cercava di tenere i propri problemi per sé.

Strappò la bustina di zucchero, piegandola all'interno della tazzina. «Scusami, cosa?» mosse il capo come per risvegliarsi dal suo stato di paralisi. I suoi movimenti erano meccanici, automatici, somigliava ad un androide.

Con cautela, mi avvicinai a lui e poggiai il gomito sul bancone. Spontaneamente passai il pollice sotto i suoi occhi, dandogli una carezza che fece socchiudere le sue palpebre. «Sei stanco» ammisi.

Riaprì gli occhi. «Ultimamente sto dormendo poco.»

«C'è qualcosa che...» mi fermai, avvertendo la voce di suo fratello chiamarlo. Richard strinse la tazzina tra le mani e guardò Terence camminare verso di lui.

«Dobbiamo parlare, per favore.»

«Sono impegnato, Terence.»

Lo sorpassò non dandogli nemmeno il tempo di replicare. Questa tensione tra di loro mi faceva stare molto male. Erano sempre stati sempre uniti ma ultimamente avevo notato che anche il loro rapporto si stesse complicando.

Anima di GhiaccioWhere stories live. Discover now