CAPITOLO 26

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VICTORIA

Questi giorni erano veramente passati subito. Ci trovavamo ancora nella stanza a sistemare le nostre valigie. Non ero per niente felice di tornare a New York ma la mia vera vita mi stava purtroppo aspettando. Già, purtroppo.

Avevo persino sperato che il maltempo si progredisse, rimandando il volo di almeno un altro giorno. Ma invece mancavano solamente pochissime ore al decollo e il mio umore si stava incupendo minuto dopo minuto.

Scendemmo nella hall con tutti i nostri bagagli, restituendo la chiave della stanza. D'un tratto, mi accorsi di una mano poggiarsi sulla mia spalla. Mi voltai spontaneamente e sorrisi. «Ciao, Robert.»

«Stai tornando a New York?» mi chiese, vedendomi stringere il manico della valigia.

«Sì, abbiamo il volo tra un paio di ore.»

«Be', fate buon viaggio» mi diede un abbraccio, udendo improvvisamente qualcuno schiarirsi la gola alle mie spalle. Finsi di non notarlo e continuai a prestare attenzione a Robert. «Ci sentiamo presto» concluse.

Questa volta Richard non rimase dietro ma si mise al mio fianco, porgendo una mano a Robert. «Tu saresti?» gli chiese, facendo saettare lo sguardo di Robert su di me.

«Io sono Robert, è un piacere conoscerti» ricambiò «Tu sei Richard, non è vero? Victoria mi ha parlato molto di te» in questo attimo volevo uccidere Robert per ciò che aveva detto alla fine.

Richard sogghignò, beffardo. «Ti ha parlato di me, ma davvero?» mi guardò, sollevando un sopracciglio. Che vergogna, volevo sotterrarmi.

«Cavolo, è proprio tardi» finsi di guardare l'orologio in tutta fretta «Noi dobbiamo andare, Robert. Ci sarà tantissimo traffico e rischieremmo di perdere il volo.»

«Ancora buon viaggio» ci sorrise a entrambi, dandoci la possibilità di andare via e attendere il taxi che ci avrebbe direttamente portati all'aeroporto.

Salimmo in macchina e voltai il viso verso il finestrino. Speravo che Richard non mi chiedesse niente ma, ovviamente, questo mio desiderio non venne nemmeno minimamente ascoltato.

«Dove vi siete conosciuti?» il suo tono era diverso dal solito ma cercai di non darlo troppo a vedere. Si era avvicinato a me e sfiorava la mia gamba con la sua. Non si allontanò ed ebbi la sensazione che volesse provocarmi di proposito.

«In hotel» dissi semplicemente, non guardandolo e continuando a puntare gli occhi verso l'immensa città che stavamo per lasciare «Perché ti interessa saperlo?»

«Pura e semplice curiosità» batté la mano sinistra sul ginocchio, frequentemente.

«Sicuro di stare bene?»

«Ovvio. Sì, certo» borbottò.

Bugiardo. Richard era proprio come me, non riusciva a mentire. Non sapevo nemmeno se considerarlo un pregio o un difetto ma si stava fregando con le sue stesse mani.

Quando vidi il cartello stradale con scritto aeroporto mi resi conto che il ritorno a New York fosse oramai imminente. Non ero pronta a tornare in quella città e a rivedere determinate persone che non facevano altro che deludermi.

Il viaggio durò molte ore. Imboccammo la strada del quartiere in cui abitavo, raggiungendo il mio appartamento. Richard mi aiutò a prendere la valigia dal bagagliaio e rimanemmo in silenzio alcuni secondi, guardandoci intensamente negli occhi.

Volevamo dirci qualcosa ma nessuno dei due aveva il coraggio di farlo.

«Ci vediamo in azienda» indietreggiò sostenendo il mio sguardo e aprendo la portiera della sua auto. Entrò, stringendo il voltante e rimanendo fisso su di me mentre mi dirigevo verso il cancello di casa.

Anima di GhiaccioWhere stories live. Discover now