CAPITOLO 19

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VICTORIA

Amavo la domenica. L'unico giorno della settimana in cui potevo allontanarmi da tutto e tutti e dedicarmi un po' di più a me stessa e a ciò che amassi fare. Quando ero piccola odiavo rimanere sola, era un timore grandissimo, oggi invece era proprio questa solitudine a farmi sentire viva.

Novembre era arrivato già da una settimana e nonostante facesse parecchio freddo, decisi di andare a fare una lunga e rigenerate passeggiata a Central Park. Amavo camminare, ascoltando tutte le mie canzoni preferite con le cuffie nelle orecchie e il volume alto il più possibile.

Mi sentivo trasportare in un mondo diverso e privo di problemi.

Decisi di fermarmi solo quando i miei piedi iniziarono a chiedere pietà. Arrivai al JKO Reservoir, sedendomi su una delle tante panchine libera. Di solito c'erano molte più persone di domenica a Central Park.

Estrassi dalla borsa un pezzo di pane che avevo portato da casa e inizia a spezzarlo lanciandolo dentro il lago. Alcune papere si avvicinarono, mangiando con gran gusto.

«Oh no!» esclamò un'anziana signora, seduta proprio nella panchina accanto a me. Osservai a terra e vidi una bustina di mangime per papere caduta proprio accanto ai suoi piedi.

Mi alzai, raccogliendola e porgendogliela con un sorriso. «Tenga, signora.»

«Ti ringrazio, mia cara» ricambiò il sorriso «Sei stata davvero molto gentile.»

Mi risedetti sulla mia panchina ma rimasi a prestarle la mia attenzione. Aprì la bustina, si mise un po' di cibo sul palmo della mano e lo lanciò nel lago dove le papere nuotavano in simbiosi e attendevano con ansia il loro mangime.

«Sono belle, vero?» mi domandò tutta sorridente, mentre inclinava di nuovo la busta sulla mano. Lanciò tutto il resto del nutrimento e buttò la confezione nel cestino piazzato proprio accanto a lei. «Anche loro voglio essere amate e coccolate.»

Un po' come tutti, d'altronde.

«Concordo con lei» annuii, tornando a guardare quel paesaggio capace di mettermi tranquillità. In effetti, era proprio quello di cui avevo bisogno ultimamente.

Scrutai la mia immagine riflessa nel lago e mi domandai mentalmente se sarei riuscita, prima o poi, a tornare ad essere veramente felice. Sentivo di non star vivendo realmente e questo loop infinito da cui non riuscivo a intravedere nessuna via di fuga mi stava uccidendo.

Dopo quello che era successo con mio padre non ero più la stessa e dopo quell'attacco di panico avevo perennemente paura che potesse ricapitare. Non volevo più sentirmi in quel modo, era stato orribile. Mai e poi mai, avrei augurato a qualcuno di vivere tutte quelle orribili sensazioni che mi avevano oramai macchiata.

«È un piacere conoscerti, io sono Carmen» mi sorrise.

«Anche per me» ricambiai, voltandomi verso di lei «Victoria.»

Mi invitò a sedermi accanto a lei, battendo la mano sulla seduta di pietra. «Vieni spesso qui?» mi domandò, unendo le mani e poggiandole sulle sue gambe.

«Da piccola venivo molte volte insieme alla mia governante. I miei genitori erano sempre a lavoro e quindi mi veniva difficile, se non impossibile, passare del tempo insieme a loro» se solo avesse potuto, il mio cuore in questo momento starebbe piangendo «Lei, invece?»

«Ogni domenica ero qui insieme a mio marito» mi raccontò «Da quando è venuto a mancare non ero più riuscita a venire ma oggi, non so come e perché, sono riuscita a tornare per la prima volta dopo la sua morte.»

Anima di GhiaccioWhere stories live. Discover now