Capitolo 43

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Il principe aveva pianto tutte le sue lacrime quella mattina. Nessuno era riuscito a smuoverlo dalla sua postazione vicino al letto di Filomena e chi si avvicinava per farlo, veniva sommerso dai suoi singhiozzi disperati al punto che pure il suo cuore si spezzava e anziché chiedergli di andarsene, gli dava due pacche sulla spalla e si allontanava in silenzio. Ricorderete che Soccante aveva le ore contate per trovare Dimitrea e farla uscire dal regno e, avendo letto che i licantropi alla fine attaccarono Plantea, sarete sicuramente saltati alla conclusione che non era riuscito nella sua impresa, ma lasciate che vi racconti come andarono realmente le cose e lasciatemi cominciare dal principio.
Quando la reggente aveva detto a Bisante che Soccante le sembrava malato, la cosa non si era rivelata essere del tutto falsa. Appena entrato a regno, quando era salito sulla carrozza, il principe aveva avuto il primo attacco di febbre e da quel momento, più il tempo era passato, più i sintomi erano peggiorati. Innanzi tutto, era molto stanco perché da quando viveva coi lupi aveva dovuto cambiare le sue abitudini, ora dormiva di giorno e marciava la notte. Questo, oltre a essergli ostile perché di giorno è difficile dormire a meno che non si abbiano gli occhi bendati o a meno che non si è molto stanchi, lo aveva scombussolato. Inoltre, quel giorno non poteva permettersi di riposare e andava pericolosamente incontro a quella che noi chiameremo una notte in bianco, ma che probabilmente lui avrebbe chiamato un giorno in bianco, visto che aveva marciato tutta la notte e ora che i raggi del sole illuminavano il regno, doveva rimanere sveglio fino al tramonto per cercare la veggente. La stanchezza e la vita nella foresta avevano indebolito la sua salute, per non parlare del fatto che Soccante si fosse da poco disintossicato dai funghetti e che per quanto lo negasse, a volte gli veniva ancora da tastarsi le tasche per accertarsi che fossero effettivamente finiti e che non ne avesse più.
Perciò eccolo, con la febbre e la testa che girava dalla stanchezza, a piangere ai piedi del letto della principessa. Certo, vedere la sua amata Filomena con la pelle nera come il carbone, piombata in un sonno da cui non si destava era stato per lui un duro colpo, ma non era solo quello il motivo delle sue lacrime. Questa spiacevole visione era quella che in gergo comune viene chiamata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, un vaso già saturo di emozioni contrastanti nell'animo di Soccante. Si può dire che in quel pianto, era presente l'esaurimento di tutto quello che aveva vissuto nell'ultimo mese. Ora che era di nuovo nella civiltà, si rendeva conto delle orribili cose che aveva fatto insieme ai lupi, delle disonorevoli avventure avute con Vanitea e della stupidità con cui era quasi morto di fame prima che Cleopas lo trovasse. Il suo onore era stato intaccato e vedendo Filomena più di là che di qua, si rese di come questo fosse avvenuto per nulla. Capiva ormai che avendo perduto il suo onore non poteva certamente esigere la mano della principessa e che se anche avesse trovato la lira avrebbe dovuto rinunciare a suonarla perché Filomena non meritava di stare con un uomo che aveva commesso le atrocità che lui stesso aveva commesso. Soccante tremava tutto, non sapeva bene se per colpa della febbre, dei pensieri maligni che lo pervadevano, oppure per la sorte della povera principessa, ma era preso da convulsioni e stava male.
"Oh grande Zeus, se ella deve morire, fa che questa febbre mi sia fatale e che io la raggiunga perché non posso vivere sapendo di non essere riuscito a salvarla" pregò in ginocchio col volto infossato tra le lenzuola del letto della principessa.
Il suo unico desiderio era quello di accasciarsi lì per terra e aspettare di morire di crepacuore perché mai nessun uomo avrebbe potuto sopportare tali sofferenze dell'animo. A destarlo dal suo stato di depressione furono le campane della città che suonarono annunciando che era mezzogiorno. In quel momento, come si trattasse di una risposta da parte del Signore dei Cieli, il principe capì cosa gli restasse ancora da fare prima di morire e prese la decisione più dura della sua vita, quella di abbandonare definitivamente Filomena.
Sostanzialmente il tempo stringeva, la principessa sarebbe probabilmente morta entro la prossima alba, ma se non si fosse immediatamente messo alla ricerca di Dimitrea, lei non sarebbe stata l'unica a morire quella notte nel regno. Soccante aveva risolto il suo dilemma più grande: cercare di salvare l'amore della sua vita mettendosi sulle tracce della lira, oppure cercare Dimitrea e salvare l'intera città da un attacco di licantropi? Sapendo che per le ragioni descritte poco fa, se fosse riuscito a salvare Filomena non l'avrebbe potuta avere perché non la meritava, decise di provare a salvare Plantea, augurandosi che Zeus gli facesse la grazia di farlo espirare quella notte stessa per poterla raggiungere nei Campi Elisi.
Posò le labbra su quelle di Filomena e indugiò un istante sulla soglia della sua stanza, dandole un'ultima occhiata. Magari sperava che quel bacio la svegliasse o forse addirittura che la guarisse, non so, ma comunque non ebbe nessun effetto perché Filomena non mosse un muscolo. Perciò Soccante se ne andò col cuore che sembrava essergli stato trafitto da una spada. Con una mano sul petto che grattava quella parte dolorante e la testa pesante per la febbre e la stanchezza, decise di mettersi di nuovo alla ricerca di Bisante.
Per tutto il pomeriggio, Soccante girovagò per il castello senza una meta. Cercava disperatamente il re o qualcuno che potesse indicargli dove si trovasse, ma il posto sembrava essere deserto e per un bel pezzo non trovò nessuno. Gira e rigira per gli angusti corridoi, ad un tratto vide da lontano Agnesa, ossia la reggente che lo aveva accolto quando era arrivato quella mattina. Corse a perdifiato chiamandola.
"Vecchia... voglio dire, reggente, aspetta ti prego!" sì, Soccante aveva dimenticato come si chiamasse.
Benché quella corsa gli avesse fatto venire l'ennesimo attacco di emicrania, il principe lo ignorò, convinto com'era che ne sarebbe morto di lì a un paio d'ore. Agnesa inizialmente lo aveva volutamente ignorato quando lo aveva visto da lontano e aveva imboccato un altro corridoio, ma ora che lui l'aveva raggiunta, non poteva continuare a farlo; dunque, si voltò verso di lui con le braccia incrociate, aspettando di sentire cosa volesse.
"Devi portarmi da re Bisante" le disse.
"Il re è a conoscenza del vostro arrivo e mi ha detto che vi riceverà in un secondo momento, a meno che..."
"A meno che?" Domandò Soccante, speranzoso.
"Voi non avete la lira, vero?"
Ora, se in quella situazione ci fosse stata Pirenea, Filomena, o addirittura Smarrante, probabilmente a quel punto, pur di incontrare il re, avrebbero avuto la brillantezza di mentire e di dire che la lira la possedevano ma che la custodivano in un posto sicuro. Ma Soccante, nonostante le sue numerose qualità, non era una persona molto astuta, perciò rispose con un semplice:
"No, per gli Dei, se avessi avuto la lira l'avrei suonata appena messo piede in questo abominevole regno per salvare Filomena."
Le labbra della reggente si fecero molto sottili e la donna mise le mani sui fianchi.
"Però adoro le persone che ci vivono... nel regno intendo" si sentì in dovere di aggiungere.
"Comunque sia" ribatté la reggente con tono severo "il re ha preso un cavallo nelle stalle e si è diretto al galoppo in città senza dire a nessuno dove andasse, quindi temo che risulterebbe difficile ritrovarlo, ma se volete potete aspettare il suo ritorno" Soccante sbuffò e se ne andò, non aveva il tempo di aspettare il ritorno di Bisante.
Prima di allontanarsi, si accertò di essere ancora a portata d'orecchio per borbottare:
"Vecchia reggente inutile. Se volete potete aspettare il suo ritorno, ma chi si crede di essere, la regina? Mia parola che se quella donna lavorasse per me avrebbe già la lingua mozzata."
Ma ecco che d'un tratto, Soccante urlò di dolore e inarcò la schiena. Una specie di crampo lo aveva colto alla colonna vertebrale. 
"Per tutta l'ira di Zeus" gridò infuriato, una volta che il crampo fu passato "uccidimi sì, ma almeno aspetta che io sia riuscito a salvare il regno!"
Torna a girovagare per il castello semi deserto ed ecco che ad un tratto sentì delle voci provenire da una delle stanze del castello, Perciò senza indugiare, spalancò la porta e fece irruzione della stanza.
"... è partito, non so dove sia, ma noi abbiamo il dovere di... e tu chi sei?"
Cinque vecchietti erano in piedi in una stanza circolare al cui centro era posto un tavolo su cui fogli di pergamena e monete d'oro erano posati.
"Dammi ancora una volta del tu e assaggerai la mia furia" lo minacciò Soccante, ma le sue parole non ebbero l'effetto che avevano di solito perché il suo viso pallido e sudato e il suo sguardo leggermente vacuo, non intimorivano più di tanto i suoi interlocutori.
"Chi sei? Ti senti bene?" Si preoccupò uno degli anziani.
"Io sono principe Soccante di Animalia e voi chi siete e perché complottate in questa stanza?"
"Vi porgiamo le nostre scuse principe, non l'avevamo riconosciuto conciato così" disse l'anziano che aveva parlato per primo, additando i vestiti sporchi e sgualciti di Soccante.
"e non stavamo complottando, noi stavamo solo..." aggiunse un altro dei cinque.
"Errore mio" lo interruppe Soccante "il tempo stringe e non ho il tempo di ascoltare le vostre noiose storie da vecchi."
"Siete sicuro di stare bene?" si sentì domandare.
"Sto meravigliosamente" sibilò lui a denti stretti, incassando un'altra scarica di dolore lungo la spina dorsale "ditemi solo dove posso trovare re Bisante, vecchi nobili decrepiti" quelli si guardarono l'un l'altro, sconvolti da quel comportamento tanto grottesco, ma infine gli risposero:
"Il re risulta per noi introvabile, sappiamo solo che è montato a cavallo ed è sparito" Soccante li guardò con veemenza.
"Questo lo so poveri imbecilli con la gotta" rispose.
Questa volta i cinque nobili, oltraggiati come non mai, inveirono dicendogli di regolarsi e di smettere di insultarli, ma il principe non li ascoltò.
"State zitti, sto pensando" si limitò a rispondere, premendosi le mani sulle tempie mentre un sentiva che l'emicrania peggiorava.
"Perché state cercando re Bisante, se ci è dato saperlo?" domandò uno degli anziani, che pareva essere più preoccupato per la salute del principe che per il suo atteggiamento scontroso.
"In realtà non sto cercando lui, ma una donna e la mia speranza è quella che lui la conosca."
"Forse possiamo aiutarti noi" gli rispose allora l'anziano "come non avete mancato di ricordarcelo, siamo vecchi e conosciamo molte persone."
Soccante li squadrò un istante, chiedendosi se potesse fidarsi, infine, si disse che valeva la pena tentare e domandò se conoscessero una certa Dimitrea. Con sua sorpresa li vide rabbrividire a quel nome e i cinque anziani si scambiarono sguardi preoccupati.
"Perché la state cercando?" domandarono, circospetti.
"Ecco" sussurrò Soccante, velenoso "questo non vi è dato saperlo e ora rivelatemi dove si trova o mozzerò la testa al più giovane di voi" Soccante li vide scambiarsi un'altra occhiata, infine, uno di loro rispose con voce piatta:
"Si trova nelle segrete del castello, ma vi avverto: quella donna è malvagia e pericolosa, l'impiccagione sarebbe la scelta più ovvia per una donna come lei."
"Non è per ucciderla che ho fatto tanta strada" ringhiò Soccante e se ne andò, sbattendosi la porta alle spalle.
Ci mise un po' a trovare la porta che conduceva alle segrete, ma infine ci riuscì e si incamminò lungo le ripide scale che scendevano nei sotterranei. Intanto, sentiva un terribile dolore al petto, come se centinaia di formiche rosse gli stessero mordendo la pelle. Con una mano si grattò come un forsennato finché non sentì il sangue colargli sotto i vestiti
"Oh Zeus ti prego concedimi ancora un po' di tempo!" esclamò, con la testa che gli scoppiava.
Era furioso, non ne capiva il motivo, ma lo era, probabilmente tutti quei dolori e la stanchezza lo stavano facendo innervosire. Inoltre, il fatto che non avesse la mente abbastanza lucida per elaborare un piano di fuga al fine di liberare Dimitrea, non aiutava.
Ma era talmente furibondo che quando con un calciò spalancò la porta delle segrete e con un ringhio domandò alla carceraria dove fosse Dimitrea, lei alzò un dito tremante e indicò una cella isolata poco lontano. Ma a Soccante non bastava, ribolliva ancora di rabbia e con due mani afferrò la guardia e la scaraventò contro il muro e quando cadde, le salì sopra e la riempì di pugni fino a farle perdere i sensi.
Ora si sentiva un po' meglio e quando si rialzò e si guardò le mani insanguinate, per un attimo, ma solo un attimo, riacquistò un po' di lucidità e si domandò perché lo avesse fatto.
"Non ho il tempo per queste cose" inveì; quindi, prese le chiavi delle celle e andò in direzione di quella della veggente, mentre tutti gli altri prigionieri esultavano e lo acclamavano, pensando che era venuto per liberarli tutti.
Si avvicinò alle sbarre indicatogli e subito si accorse che qualcosa non andava. Tutti i peli del corpo gli si rizzarono colti da una strana e macabra elettricità. Sentì la paura al suo stato più puro e capì che si trattava di magia nera. Si avvicinò ancora e vide una vecchia megera che, con le mani su una sfera di cristallo e i capelli e le vesti che sbattevano come fossero in preda a una tempesta, mormorava ad occhi chiusi una serie di incantesimi dall'aria terrificanti. Per un attimo ebbe voglia di tornare indietro, ma quando gli venne un altro doloroso crampo alla schiena, capì che di lì a poco sarebbe comunque morto e che doveva assolutamente dare le istruzioni necessarie a Dimitrea per raggiungere i licantropi prima del tramonto e salvare il regno.
"...pythonas éla se ména kai ypakoue!" esclamò la vecchia e l'incantesimo sembrò concludersi perché i suoi vestiti e i suoi capelli si afflosciarono e la malvagia elettricità percepita fino a poco prima scomparve.
Ciononostante, quando la vecchia aprì gli occhi, non si sembrò sorpresa nel trovarsi di fronte a Soccante, anzi si rivolse a lui come se lo stresse aspettando con impazienza:
"Sei venuto a liberarmi, finalmente" gli disse "ora dammi quelle chiavi."
Lui gliele lanciò attraverso le sbarre e le rispose:
"Sono principe Soccante di Animalia ed esigo che tu mi rispetti e..."
"So chi sei" lo interruppe Dimitrea, mentre raccoglieva la sua sfera di cristallo "e forse ti conosco meglio di quanto tu non conosca te stesso."
Lui la guardò sbalordito.
"Com'è possibile?" le chiese e una scarica di dolore gli attraverso la testa al punto che temette si potesse spaccare da un momento all'altro.
"Ho seguito ogni tua mossa attraverso la sfera di cristallo" rispose lei, senza preoccuparsi del suo aspetto moribondo.
"Perché?" grugnì lui.
"Ma è ovvio, per farti arrivare fin qui, per farmi liberare da te. Chi pensi che abbia fatto un incantesimo per farti trovare da Cleopas quando eri privo di sensi nella foresta?" gli domandò.
"Come è possibile che tu..."
"Magia" rispose semplicemente Dimitrea "la stessa che ho usato per mettere Licaone sulle tue tracce, ma quello fu più complicato."
"Perché?" Ripeté Soccante, che per colpa dell'emicrania capiva un po' a rilento quello che la vecchia gli stava dicendo.
"Perché con loro saresti stato al sicuro e non avresti rischiato di rovinare tutto perendo da solo nella foresta" rispose pragmatica Dimitrea.
"Ma perché io?" Ringhiò Soccante, aggrappandosi alle sbarre della cella nello sforzo di rimanere in piedi.
"Perché un giorno, mentre stavo rimuginando sui fatti miei, ho avuto una visione, ma non sempre tutte le visioni si rivelano essere corrette, perciò ho dovuto controllarti e manipolarti per farti arroivare sano e salvo fin qui."
"Questo è sadismo!" esclamò Soccante, più arrabbiato per i suoi dolori e il prurito che per quello che aveva fatto Dimitrea.
"Ti ho probabilmente salvato la vita ragazzino, dovresti essermi riconoscente."
"Esci da questa cella, Licaone ti sta... aaaargh!" quella fitta alla schiena era stata più forte delle altre.
"Mi sta aspettando, sì so anche questo, ma non rientra nei miei piani incontrarlo nell'imminente futuro" sospirò la donna, mettendosi seduta contro la parete della cella, più lontano possibile dalle sbarre.
Quel gesto fece infuriare ancora di più Soccante, che ancora ribolliva di rabbia.
"Esci di qui" le gridò "esci vecchia o giuro che ti squarto viva!"
"Sai perché non esco?" gli domandò sermplicemente lei.
"Non mi interessa, voglio solo portarti da Licaone prima che sia troppo tardi e i licantropi attacchino Plantea!"
La vecchietta a quel punto rise.
"Oh ma un attacco di licantriopi è proprio il diversivo che mi servirebbe in realtà" gli disse "e ti dirò di più, io resto chiusa qui dentro perché almeno sarei al sicuro da quegli artigli affilati e quei musi diabolici."
"Sei nelle segrete di un castello" mormorò Soccante "anche se non fossi dietro le sbarre di una cella, saresti comunque al sicuro perché i lupi dovrebbero attraversare sia i muri della citta, che quelli della fortezza per raggiungerti, cosa che risulta essere praticamente impossibile."
"Accidenti, ma proprio non capisci allora" gli disse Dimitrea "uno dei lupi di Licaone si è già infiltrato nel castello."
"E come ha fatto?" esclamò Soccante.
"È nella sua forma umana, ovviamente" sospirò la veggente, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
"Infiltrarsi in città è un conto, ma infiltrarsi nel castello è tutt'altra cosa" Soccante sembrava sul punto di svenire dai dolori "ma comunque non mi interessa chi Licaone abbia mandato a sorvegliarmi perché io sto morendo e l'ultima cosa che voglio fare è salvare questo regno dalla distruzione."
"Tu non stai affatto morendo" gli disse Dimitre.
"Tu non sai come mi sento, ma ho fatto un patto con Zeus e tra alcuni minuti sento che espirerò e mi farò condurre dal traghetto di Caronte attraverso il fiume Stige."
"Quanto sei ingenuo" lo derise lei "ti credi davvero così importante da poter scendere a patti con l'onnipotente Dio dei Cieli?"
Soccante non seppe cosa rispondere.
"Ora ascoltami, Licaone ha mandato qui uno dei suoi lupi più feroci, perciò io non ho intenzione di uscire da questa cella finchè questo licantropo non se ne andrà dal castello."
"Va bene, chi è il lupo? Chi devo cacciare per convincerti ad uscire da lì?" poi tra sé e sé mormorò "oh Zeus ti prego concedimi ancora la forza di fare questo e poi prenditi pure la mia anima!"
"Questo licantropo è lo stesso che poco fa in uno scatto di rabbia ha tempestato di pugni una povera ed innocente guardia carceraria" gli disse.
Soccante ci mise un po' a capire che la veggente si stesse riferendo a lui.
"Io non sono un lupo, non faccio parte della setta di Licaone" esclamò, oltraggiato "ho viaggiato con loro e ho commesso alcune impunità di cui mi pento amaramente, ma non per questo merito lo sporco appellativo di licantropo!"
"Tu menti principe, non rimpiangi proprio nulla di quello che hai fatto" sibilò la vecchia e Soccante si rese conto che aveva ragione, ma ecco che inarcò di nuovo la schiena gridando di dolore.
"Vedo che il tuo caro amico Licaone non ti ha detto nulla" continuò la veggente con un sorrisetto sulle labbra, ignorando di nuovo i dolori di Soccante "ti assicuro però che lui lo sa, lo ha capito il giorno in cui lo hai affrontato al fiume. Anche gli altri licantropi devono aver intuito qualcosa, ma non so quanto sappiano."
"Di cosa diamine stai parlando?" domandò il principe a denti stretti.
"Della tua licantropia, ovviamente" ripetè lei.
"Smettila" disse Soccante, che sentiva la rabbia montargli in corpo.
"Però devi ammettere che è una bella coincidenza che i tuoi improvvisi scatti di rabbia, così come il dolore alle ossa, la febbre e il prurito, ti siano capitati proprio prima della luna piena."
"Io non sono un mostro" gridò e nel farlo allungò le braccia attraverso le sbarre, cercando di prendere Dimitrea, ma la cella era troppo vasta e non ci riuscì "io non mangio carne umana e non uccido per il semplice gusto di farlo!"
"Non ti è dispiaciuto tagliare la testa a quel nano, vero Soccante?"
"Non è vero" mentì spudoratamente lui "non mi sono mai fatto mordere o graffiare o qualunque altra cosa del genere da un lupo mannaro, non posso eserne uno!"
"Lascia che ti rinfreschi la memoria allora, va bene?"
Dimitrea strofinò per bene la sfera che ancora teneva in mano. Questa iniziò a brillare di luce intensa, una luce bianca e pallida. Soccante non vedeva più nulla, poi d'un tratto alcune ombre iniziarono a disegnarsi attorno a lui e il principe si ritrovò di nuovo nella foresta.
Vide qualcuno accasciato per terra in una strana posizione, sembrava privo di sensi. Il principe si avvicinò per aiutarlo, ma ecco che con orrore si riconobbe. Era lui il ragazzo svenuto e Soccante capì che Dimitrea doveva aver richiamato la visione di un suo ricordo. Si trattava della prima sera in cui aveva mangiato i funghetti e nel guardarsi in quelle pietose condizioni si sentì in imbarazzo.
Sentì qualcosa muoversi e dal nulla vide sbucare un grosso lupo dal pelo bianco. Quello guardò il corpo accovacciato a terra e con succulento appetito lo addentò alla gamba. Soccante, ebbe l'impulso di fare qualcosa, ma prima che potesse estrarre la spada, ecco che vide Cleopas arrivare di corsa con gli occhi lucidi di una scintilla stregata e il famoso bracciale maledetto al polso.
"Pethanei lykos!" esclamò e ci fu un lampo rosso che abbatté il lupo.
Lo stregone sollevò in aria il Soccante della visione e lo portò via, ma il nostro di Soccante rimase lì in piedi impalato a guardare il lupo steso a terra. Ormai aveva già capito, lo aveva già riconosciuto, ma fu sicuro della sua intuizione solo quando lo vide trasformarsi davanti ai suoi occhi. Licaone in forma umana giaceva sdraiato davanti ai suoi piedi là dove un attimo prima c'era stato il lupo dal pelo bianco.
Quando spalancò gli occhi di colpo, il principe si spaventò e fece un passo indietro. Inciampò e cadde, atterrando però sul pavimento duro delle segrete del castello di Plantea anziché sulle soffici foglie secche della foresta.
"No! No! Nooooooo!" e mentre Dimitrea rideva di gusto, lui aveva preso a trasformarsi.
Le ossa scricchiolavano, cambiavano forma e posizione. Lui gridava dal dolore mentre i suoi tendini si tiravano. Gli artigli gli crebbero dalle dita, il pelo gli spuntò sulla schiena e sulla faccia. Le sue dimensioni crebbero e i vestiti si lacerarono sulla sua pelle.
Da qui in poi Soccante non ricordò nulla di quello che successe quella notte; quindi, sta a me raccontarvi come andarono le cose. Il sole era calato, la luna piena aveva preso il suo posto su nel cielo e Soccante si era trasformato in lupo mannaro per la prima volta in vita sua. Ma non era un licantropo come lo sono gli altri, anche lui, proprio come Licaone, aveva la pelliccia bianca e, con la spada ancora appesa al fianco, fece la prima cosa che farebbe un qualsiasi lupo che si trova separato dal branco: ululò.
L'intero regno vibrò al suono di questo ululato e la polvere cadde dal soffitto delle segrete. La guardia carceraria, che era stata aggredita poco prima, si svegliò di soprassalto a quel terribile suono.
Al licantropo ora non interessava più Dimitrea, voleva solo raggiungere il suo branco e con uno scatto balzò verso gli scalini di pietra che lo conducevano fuori dalle segrete. Al passaggio tirò una zampata alla guardia, il cui sangue colorò le pareti e sparì al di là della porta, su per le scale.

La lira di ApolloWhere stories live. Discover now