Capitolo 30

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Il sole stava sorgendo sull'oscuro bosco e il suo riflesso brillava sul grande fiume che lo attraversava. Ambrosio si svegliò per primo grazie al cinguettio degli uccellini e quando aprì gli occhi, vide che le naiadi avevano fatto quello che aveva chiesto loro.
"Oh grazie mille fanciulle delle acque!" esclamò, entusiasta.
Il satiro poté giurare di aver sentito delle fanciulle sghignazzare da qualche parte nella corrente del fiume. Svegliò Neofante immediatamente, che si mise seduto stropicciandosi gli occhi.
"Che cosa succede?" chiese, sbadigliando.
"Guarda" gli disse l'amico "ora sì che possiamo dare inizio all'inseguimento di quella diabolica ragazza!"
Neofante guardò verso il fiume e rimase senza parole. Davanti a lui, ancorata ad un grosso masso che sporgeva dalle acque, c'era la zattera più bella che avesse mai visto. Poteva ospitare due persone ed era fatta con tronchi legati assieme da corde, tutte ricavate da elementi naturali quali fibre di foglie, alghe e altro ancora. Aveva anche un piccolo parapetto, anch'esso fatto di tronchi, per proteggersi dagli spruzzi dell'acqua, e delle maniglie a cui attaccarsi in caso di ripide. Neofante si avvicinò e guardò meglio l'interno: c'erano dei remi, delle corde (sempre utili), una postazione al centro della zattera fatta interamente di sasso con dei rametti sopra, che ad altro non serviva se non ad accendere un fuoco; e una sacca, che conteneva pesce d'acqua dolce, frutta e alghe che, secondo Ambrosio, erano le più buone che si potessero trovare in quella zona.
Neofante era estasiato, senza parole.
"Le naiadi, le driadi e i satiri sono amici di lunga data" spiegò Ambrosio "si pensa che questa amicizia duri dai tempi delle feste che faceva Dioniso, Dio del vino, qui sulla terra. Ma io penso che ad accumunarci sia il rispetto che portiamo verso la natura e verso il nostro Dio: Pan."
I due amici salirono sulla zattera, presero in mano i remi e tolsero la cima che la teneva ancorata. La corrente non era molto forte in quel punto e questo li aiutò a far pratica coi remi. Era più difficile di quel che potesse pensare, ma dopo un'oretta i due iniziarono a prenderci la mano.
"Questo fiume passa esattamente in mezzo ai due regni tra Plantea ed Animalia, il vostro piano è quello di arrivare fin lì, e non oltre, e di fermarsi, giusto?" domandò Neofante, che di geografia un po' se ne intendeva.
"Esattamente" confermò il satiro "anche perché secondo le naiadi dopo aver superato i due regni c'è solo una grande cascata che precipita in mare, proprio sopra degli scogli, quindi meglio scendere prima."
I due navigarono e mangiarono un po' della frutta che le naiadi avevano dato loro, ma ahimè si sa che le cose peggiori avvengono sempre quando meno te l'aspetti. I due amici stavano assaporando il loro pasto, quando dal folto della foresta, con un balzo esagerato, un'enorme figura nera atterrò di fronte a loro. Per un attimo Ambrosio pensò si trattasse di nuovo del drago-serpente a cui avevano soffiato la lira, ma poi, guardando meglio, vide che la creatura non aveva squame, ma solo la pelliccia. L'acqua nel punto in cui era atterrato era profonda qualche metro, ma la creatura era talmente grande che il fiume gli sfiorava la pancia. Si ergeva su quattro zampe, aveva un corpo grande e scuro, ma a preoccupare i due amici non era tanto quello, quanto ciò che stava più su.
"Perché quel cane ha tre teste?" Domandò Ambrosio, preoccupato.
"Quello è Cerbero, distruttore del passato, del presente e del futuro. È uno dei servitori più fedeli di Ade, deve aver seguito il nostro odore fin qui."
I due marinai cercarono di remare in senso inverso, ma la corrente era più forte e li dirigeva inesorabilmente tra le fauci del mostro, che li aspettava poco più avanti. Neofante disse ad Ambrosio di suonare il flauto. Il satiro, che aveva una paura tremenda del mostro, iniziò a suonare una melodia veloce e stressata che riempì il cuore di Neofante di angoscia.
Come al solito, la natura intorno a loro cominciò a muoversi e ad agire di conseguenza. Le piante si agitavano senza che ci fosse un filo di vento, gli animali iniziarono a correre disperati per la foresta, i pesci si nascosero, le ninfe si guardarono attorno preoccupate, le nuvole coprirono il sole e Neofante poté giurare di aver visto perfino alcune pietre rotolare via, spaventate. Solo Cerbero, che viveva negli inferi ed era abituato a quel sentimento, si crogiolava con quella melodia. Ma il flauto ebbe l'effetto inverso desiderato da Neofante, perché la corrente iniziò a farsi più forte e a spingerli sempre più vicini alle zanne delle tre teste del cane.
"Fate qualcosa Ambrosio!" gridò il ragazzo, disperato.
Il satiro però non sapeva cos'altro fare, quindi soffiò ancora più forte nel flauto, col risultato di rendere la corrente ancora più forte, ma così forte che la zattera fu sollevata da un'onda gigantesca, grande come quelle che si vedono quando il mare è in tempesta. Un tuono rimbombò nell'aria e iniziò a diluviare. Di animali non se ne vedevano più e gli alberi ora erano mossi non dalla magia del flauto, bensì dal vento che li frustava violentemente.
L'onda si fece sempre più grande tant'è che anche Cerbero indietreggiò intimorito, ma non fece in tempo a scappare, che venne investito dal muro d'acqua. Neofante esultò e si guardò intorno, loro erano sulla cresta dell'onda e dietro poteva vedere un'altra decina di giganteschi muri d'acqua che si erano alzati. Un fulmine atterrò su un albero lì vicino, distruggendolo e accecando i ragazzi. Un altro tuono, questa volta più vicino, fece tremare l'aria.
"Ambrosio, smettete di suonare, Cerbero è sconfitto!" gridò il ragazzo all'amico.
Il satiro, che per tutto il tempo aveva tenuto gli occhi chiusi, finalmente smise di suonare e li aprì. Ma fu un grave errore. Le onde caddero una dopo l'altra come nel gioco del domino, a cominciare dalla prima, che era quella cavalcata dai due amici. Aggrappati al bordo della zattera, quelli si ritrovarono sommersi sott'acqua. Non fecero in tempo a tornare in superficie che la seconda onda si infranse loro addosso, poi la terza e la quarta e così via. Gira e rigira, portati dalla corrente che li spingeva ovunque sott'acqua, Neofante e Ambrosio credettero di morire.
Neofante sentì le mani scivolargli e senza che potesse fare nulla, mentre l'ennesima onda cadeva loro addosso e la corrente lo spingeva in tutte le direzioni, perse la presa e venne sballottolato ovunque nelle acque torrenziali del fiume. Andò a sbattere contro un masso e sentì un dolore tremendo alla gamba. Poi sentì la roccia sotto i suoi piedi e con un calcio si diede una spinta verso la superficie. Poté finalmente prendere una boccata d'aria, ma durò solo pochi istanti perché un'altra onda gli cadde addosso, schiacciandolo e mandandolo di nuovo in profondità.
Neofante d'un tratto sentì qualcuno prendergli le mani e tutto quanto si fermò immediatamente. Pensava fosse Ambrosio, ma quando aprì gli occhi vide solo una bella ragazza, con i capelli scuri e un lungo vestito verde, che lo guardava sorridendo. La corrente era ancora molto forte e in superficie c'era ancora il diluvio universale, ma Neofante e la ragazza erano immobili sospesi sott'acqua. Era una naiade e lo guardava sorridendo. Poi, piano piano, senza che Neofante capisse quello che stava succedendo, la ninfa si avvicinò a lui e lo baciò. O almeno così pensò Neofante, ma quando le loro labbra si toccarono, i suoi polmoni si riempirono d'aria. La naiade si staccò dalle labbra del ragazzo e vedendo la sua faccia rossa come un peperone, rise genuinamente e con una forza che mai Neofante avrebbe potuto immaginare, gli diede una spinta che lo fece risalire in superficie e lo fece volare in aria fino ad atterrare sulla sponda Ovest del fiume.
Il ragazzo tossì a carponi per un bel po'. Aveva male ovunque, specialmente alla gamba perché aveva il ginocchio sbucciato, ma fortunatamente nulla di rotto. Poi volse lo sguardo verso il fiume. Le onde si erano dissipate, ma la forte corrente era ancora presente (Neofante non lo volle mai ammettere, ma nelle acque del fiume cercò di scorgere ancora la naiade che gli aveva salvato la vita, però non la vide). Nonostante il flauto avesse smesso di suonare, la tempesta infuriava ancora e il ragazzo non riusciva a vedere a più di un paio di metri davanti a lui.
Chiamò a gran voce Ambrosio, ma non ebbe risposta. Cercò di scorgerlo attraverso la fitta pioggia, ma niente da fare. Neofante stava proprio pensando che sarebbe stato più saggio rimanere lì e aspettare che la pioggia si calmasse per cercare l'amico, quando si ricordò che anche Cerbero doveva essere lì nei paraggi. Così, decise di muoversi, sperando che la pioggia cancellasse il suo odore. Si disse che Ambrosio doveva essere stato trascinato più a valle dalla corrente, ma che se anche non fosse stato così, se i due amici avessero continuato a seguire il fiume, prima o poi si sarebbero comunque ritrovati.
Così, senza perdersi d'animo, Neofante, infreddolito e fradicio, si diresse a piedi cercando di seguire il corso d'acqua, ma ben presto si rese conto che tra piante e massi scivolosi non riusciva ad avanzare, quindi piegò un po' a destra, addentrandosi nel fitto del bosco e perdendo di vista il fiume. Ma quando cercò di ritornare verso sinistra, non riuscì proprio a trovare il corso d'acqua e con un briciolo di panico decise che era meglio fermarsi e aspettare che la tempesta terminasse. Si distese quindi sotto un albero dal folto fogliame e aspettò.

La lira di ApolloWhere stories live. Discover now