Capitolo 13

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Soccante si girava e rigirava il bracciale rubato attorno al polso. Quel misterioso oggetto lo attirava come un'ape è attratta da un fiore, ma in questo caso il fiore apparteneva probabilmente alla famiglia delle piante carnivore, e la povera ape stava per cadere nella sua seducente trappola.
Il principe giaceva disteso e pensieroso, riposava ai piedi di un albero, ripensando alle avventure che aveva vissuto. Una parte di lui non vedeva l'ora di riprendere il cammino, di muoversi verso Nord, affrontare mostri e nemici e tornare vittorioso con la lira tra le mani. Ma ogni tanto una certa vocina insorgeva e gli diceva di tornare indietro, di sventolare bandiera bianca e lasciarsi per sempre alle spalle quella dannata foresta. Quando questa voce prorompeva, risultava difficile metterla a tacere perché si trattava di paura e la paura, in quanto tale, non la si può affrontare con la semplice decisione di ignorarla.
Finora gli era andata piuttosto bene in quella foresta, ma è anche vero che era stato aiutato molto e persino lui sapeva che la sua fortuna non potesse durare in eterno. Quel pensiero lo metteva a disagio, lo faceva sentire inadatto al compito che si era prefissato di raggiungere. Decise dunque di prendere due funghi dalla tasca e se li mise in bocca. Subito si sentì più rilassato e la vocina che aveva in testa diminuì di volume. Riuscì a fare astrazione di quello che erano i pensieri che lui definiva demoni che cercavano di sviare la sua attenzione da ciò che era la sua missione.
Tocca e ritocca il bracciale dai rubini incastonati, Soccante non si accorse che un paio di occhi dal colore della corteccia lo guardavano da dietro un cespuglio. O almeno finché non si alzò, pronto a riprendere il cammino e ad affrontare nuove peripezie, al che la figura acquattata dietro all'arbusto fece un passo indietro intimorita, facendo frusciare le foglie.
Soccante, udito il rumore, estrasse la spada e rivolto al cespuglio disse:
"Chi va là?" non ci fu risposta "uscite allo scoperto, chiunque voi siate, e affrontatemi a duello lealmente oppure Ares, Dio supremo della guerra, vi punirà per la vostra codardia."
A quelle parole, la figura si rialzò e, spaventata, uscì dall'ombra, al cospetto del principe Soccante. Una fanciulla si fece largo attraverso le foglie della siepe e il principe non poté fare a meno di ammirarla in tutto il suo splendore. Aveva lunghi capelli scuri e lucidi, tant'è che se solo qualcuno avesse cercato di intrecciarli, ne avrebbe probabilmente tratto un lucente olio dalle proprietà benefiche. Gli occhi, grandi e tondi, lo scrutavano con paura a intervalli irregolari, prima l'uno e poi l'altro, a dipendenza di come la donna girava il volto, perché guardavano in direzioni opposte e non si muovevano coordinatamente. Il naso e i denti mostravano di aver vissuto una lunga vita in quei selvaggi boschi e il colore della pelle era simile a quello di un'oliva che ha passato tanto tempo a sole.
Chiunque al braccio non portasse un bracciale magico, avrebbe probabilmente detto che Afrodite aveva trascurato la sua parte nella creazione di questa fanciulla, ma chi di amore è pervaso, spesso dagli occhi è ingannato e Soccante di inganno ne portava uno al polso. La spada gli cadde di mano e si avventò sulla povera ragazza, inginocchiandosi ai suoi piedi e prendendole le mani piene di croste tra le sue.
"Permettetemi di presentarmi, io sono Soccante, principe del regno di Animalia, in missione in questi boschi. Vogliate voi, ve ne prego, dirmi come vi chiamate e come mai, vista la vostra inopinabile bellezza, vi aggirate tutta sola senza protezione in questi insidiosi boschi" la ragazza non si era mai sentita dire cose tanto carine e divenne rossa di vergogna.
Nessuno le aveva mai dato del voi né le aveva mai fatto i complimenti per il suo aspetto. Dovette infatti guardare Soccante due volte per convincersi che non fosse un sogno: una volta con il suo occhio destro e una volta col sinistro, perché era così strabica che le era impossibile vederlo in modo nitido con i due occhi contemporaneamente.
"Oh, principe, non inginocchiatevi ai miei piedi, io, piuttosto, povera contadinella rimasta orfana in giovane età, dovrei prostrarmi ai vostri di piedi e baciarveli in segno di rispetto."
"Di baci potrete darmene quanti ne vorrete, non riesco però a credere che voi, la creatura più bella che io abbia mai visto, non siate una donna di corte."
"Posso assicurarvi invece che nonostante la mia inopinabile bellezza, parole vostre e non mie, non ho mai visto nemmeno da lontano una corte reale."
"Allora dovete essere certamente una discendente di Pandora" ribatté il principe, con gli occhi pieni d'emozione.
"Sembrate convinto delle vostre parole mentre me le proferite."
"Lo sono" affermò lui con sicurezza.
"Magari avete ragione, discendo da Pandora..."
"...oppure da Afrodite" rincarò la dose lui.
"Oppure da Afrodite!" esclamò lei "mi chiamo Vanitea, lasciate che vi conduca alla mia fattoria, dove potremo conoscerci meglio."
Il principe, sicuro di essere capitato sulla donna dei suoi sogni, raccolse la spada, la infilò nel fodero e seguì la ragazza fino a casa sua. Gli era bastata la vista di quella bellissima contadina per dimenticare la missione e la principessa Filomena, che, lo ricordo ai nostri lettori, giaceva ancora in pericolo di vita.
La fattoria comprendeva due mucche, tre maiali e sei polli. C'era anche un giardino che bastava appena alla sopravvivenza di una sola persona. La struttura era stata rozzamente costruita col legno e il tetto era fatto di paglia, quindi ben poco resistente alle intemperie.
"Vivete qui dà sola?" domandò il principe.
"Ogni tanto ospito dei forestieri che si perdono in questi boschi, come voi, ma per la maggior parte del tempo sì, sono sola con i miei animali" risposte Vanitea.
I due entrarono nella casa, composta da un solo piano e da poche piccole stanze.
"Non è molto grande, voi sarete sicuramente abituato a enormi castelli" disse lei.
"È più che sufficiente" rispose lui, senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso "sarà anche piccolo, ma almeno potremo passare più tempo uno vicino all'altra."
"Potete riposarvi sulla cuccetta che uso per dormire nella vecchia stalla dei cavalli ormai abbandonata. Nel mentre io vado al fiume a pescare la cena" gli propose Vanitea, diventando subito rossa, dopo essersi resa conto di aver offerto ad un principe di dormire su una cuccetta malandata. Soccante non sembrò però accorgersi dell'errore da lei commesso.
"Non se ne parla, non vi lascerò andare al fiume da sola, con tutti i pericoli che si aggirano in questo posto. Verrò con voi."
"Non è necessario, davvero."
"Insisto e non demorderò, mai vi lascerei passeggiare indifesa in questo demoniaco bosco" Vanitea si trovò dunque obbligata ad accettare la compagnia del principe e i due uscirono dalla fattoria, diretti al fiume.
Limpido e reso aureo dalla luce del sole che tramontava, il fiume scorreva tranquillo e indisturbato in quel punto. La contadina condusse il principe su una sponda fatta di bianchi sassi ovali. Il luogo, idilliaco si potrebbe definire, rispecchiava forse in qualche modo la serenità che Soccante provava nello stare in compagnia di Vanitea, oppure, come nel caso della bellezza della ragazza, il principe vedeva solo ciò che gli piaceva di vedere. Sta di fatto che decise di farsi avanti, le prese una mano e le disse:
"Voi siete la creatura più bella che io abbia mai visto e vorrei parlarvi di una cosa" si schiarì la voce, come alla ricerca delle parole giuste, ma le parole le aveva già, gli si erano formate nella mente sin dal loro primo incontro "lasciate che io vi riporti nel mio regno, ad Animalia, e che le nostre vite si congiungano di fronte alla benedizione degli Dei."
"Mi state chiedendo di sposarvi?" chiese lei, stupita e lusingata.
"No, io non ve lo sto chiedendo. Io vi sto implorando di accettare di unirvi a me perché sento di amarvi più di qualunque altra cosa al mondo e se mai voi doveste rifiutare, io mi getterò in questo fiume e ci annegherò perché una vita senza di voi risulterebbe per me essere una vita futile e senza ragione. Preferisco la morte a una vita di dolore."
"Mi conoscete appena, come fate a dire di amarmi?"
"Perché siete la donna più bella che io abbia mai visto in vita mia, la più umile che possa esserci al mondo e non mi serve altro per decretare che sareste la donna perfetta per me, un piccolo principe dal cuore che strabocca di amore per voi."
Vanitea, ignara della stregoneria del bracciale, sembrò pensare che il principe non avesse detto altro che la verità e accettò dunque di buon grado di concedergli la sua mano. Infondo era sempre stata sicura che col suo bel aspetto avrebbe finito con lo sposare un principe.
Fu così che quella sera, sulla sponda di quel tranquillo fiume e sotto gli ultimi raggi del sole, i due innamorati si baciarono appassionatamente e, spogliatosi di ogni centimetro di stoffa che li divideva l'uno dall'altra, si unirono. Soccante si sentiva come l'ape che stava assaporando il delizioso nettare di un fiore mai visto prima, non sapendo però che quel nuovo e delizioso gusto era il gusto del veleno.

La lira di ApolloWhere stories live. Discover now