Capitolo 2

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La vita al regno di Plantea era diventata strana, d'un tratto tutte le donne, comprese quelle sposate perché sì, anche gli uomini maritati speravano di ottenere la dolce ricompensa della compagnia di Filomena, si ritrovarono a svolgere lavori a cui non erano abituate. Le ancelle del re, ad esempio, divennero guerriere che pattugliavano la città giorno e notte con una spada al fianco, cosa che stranamente si addiceva a loro. Non che ci fosse bisogno di qualcuno che mantenesse la pace e la tranquillità, dato che il rancore delle donne rimaste in città si riversava soprattutto sugli uomini, che le avevano abbandonate loro e i loro figli con la speranza di ottenere la mano della bella principessa. Tali donne si erano organizzate in gruppetti per occuparsi dei loro bambini più piccoli e si suddivisero così il lavoro tra madri casalinghe e cittadine. Così le signore poterono finalmente provare al mondo intero, ma soprattutto a loro stesse, che erano in grado di fare lo stesso lavoro che facevano gli uomini, con uguale, se non in alcuni casi con maggiore, maestria di essi. Alcune divennero macellaie, altre mercanti, cacciatrici, pescatrici, contadine, scultrici, artigiane, mediche, intrattenitrici, costruttrici, consigliere, notaie, ...  
Quanto agli uomini rimasti al regno, erano perlopiù troppo giovani o troppo vecchi per partire alla ricerca della lira, malati, o, in rari casi, non interessati alla bellezza e alla ricchezza di Filomena. Che fosse perché erano innamorati di un'altra fanciulla, o più semplicemente perché avevano gusti ed interessi diversi, questi uomini avevano deciso di continuare le loro solite vite senza badare troppo ai cambiamenti avvenuti in città.
Ma un altro uomo era rimasto a Plantea, un uomo che aveva deciso di stare più tempo possibile con la figlia malata. Si trattava di re Bisante, comunque troppo vecchio per affrontare un viaggio così lungo e pericoloso. La verità è che non mancava di coraggio e avrebbe fatto di tutto per salvare Filomena, ma dopo aver pensato un po' alla situazione, aveva deciso di rimanere al regno con lei. Infondo, erano davvero scarse le probabilità che se anche fosse partito pure lui, sarebbe mai sopravvissuto in quell'insidioso bosco. Poi, se lui, il re, fosse morto, sarebbe diventata Filomena la regina in quanto sua unica erede. La principessa però era malata e, a meno che qualcuno non fosse riuscito a riportare la lira in tempo, sarebbe morta pure lei entro la fine del mese.
Con un brivido che gli aveva percorso la schiena, Bisante si era chiesto cosa ne sarebbe stato di Plantea se sia lui che sua figlia fossero periti e quali potessero essere le alternative. In un primo momento aveva pensato ad un regno a loro avverso che avrebbe approfittato dell'instabilità della monarchia per attaccarli e impadronirsi della città. Probabilmente però sarebbe stato suo fratello, l'attuale re del regno di Animalia, i loro vicini insomma, che avrebbe approfittato per primo della situazione. Ma forse i nobili del regno si sarebbero opposti e sarebbero riusciti a respingere il suo fratello cattivo (soprattutto perché ora che anche gli uomini del regno di suo fratello avevano lasciato tutto per andare alla ricerca della lira, nemmeno lui aveva più un esercito). Dunque, pensò che probabilmente i cittadini più poveri si sarebbero uniti come una mandria di bestie e avrebbero rovesciato la nobiltà eleggendo uno di loro come nuovo re. Oppure, peggio ancora, instaurando una specie di governo anarchico che aveva lo scopo di dare a tutti quanti le stesse ricchezze, le stesse libertà e lo stesso potere del sovrano. Bisante si soffermò un attimo su quest'ultima riflessione, pensando a quanto fosse stupida l'idea di dare alcuni privilegi regali, quale quello di decidere le leggi, a un contadino analfabeta qualunque.
Mentre suo padre stava pensando a tutto questo, Filomena giaceva distesa in un letto, nella stanza più lussuosa dell'intero palazzo. Era sempre vestita di tutto punto e il trucco non le mancava mai, nemmeno ora che era in convalescenza. Ogni mattina si alzava all'alba per mettersi in tiro, ma quando il padre le recava visita, sembrava aver perso tutte le energie e, moribonda, si lamentava dell'impetuoso dolore che sentiva, causa dell'infezione che l'aveva colpita. Filomena non aveva più a disposizione le sue ancelle, che erano diventate guardie; ma il re l'aveva affidata alle esperte mani di tutte le infermiere del castello che, dandosi dei turni, non la lasciavano mai da sola.
Una mattina, Bisante fece visita alla figlia e, con tono triste e sconsolato, le disse:
"Oh Filomena, dolce figlia mia, ancora mi chiedo perché gli Dei se la siano presa con te!" la principessa, apparentemente troppo debole per muoversi, rispose con una debole voce:
"Devo aver fatto qualcosa che ha recato loro dispiacere, padre" Bisante la guardò con le lacrime agli occhi.
"Non temere, tutto il regno è alla ricerca della lira di Apollo, ti salveremo" subito la mente di lei si volse al futuro e immaginò già il ritorno trionfante di un qualche sporco e lurido cittadino del terzo mondo con la lira in mano. Filomena avrebbe dovuto sposare un tizio qualunque solo perché aveva recuperato uno strumento musicale da una caverna? Non esisteva! E se quel tale si fosse rivelato essere un burbero arrogante? O, peggio ancora, se fosse stato brutto? Che figura avrebbe fatto la bellissima principessa Filomena a sposare un uomo che magari era vecchio, gobbo e povero? Non sarebbe forse stato meglio morire che sopportare una cosa simile? Filomena pensò che a volte gli Dei potevano essere davvero molto crudeli.
"Padre, fatemi un piacere, ve ne prego, fate venire il sacerdote Smarrante nelle mie stanze per una preghiera" implorò la figlia.
A re Bisante non piaceva il sacerdote che, per quanto religioso potesse essere, aveva sempre un sorrisino da poco di buono dipinto sulla faccia. Certo, sapeva che quell'uomo aveva fatto molti sacrifici per poter diventare sacerdote di Plantea, ma aveva sempre avuto il sospetto che nascondesse qualcosa. Sospetto, se posso permettermi, che era del tutto infondato vista l'eccellente vita ecclesiastica vissuta da Smarrante.
Infatti, sin dalla più giovane età era stato uno dei ragazzi più bramati dalle fanciulle. Alto, biondo, con un fisico da guerriero. Alcuni pensavano che fosse figlio di Zeus, ma in realtà i suoi genitori non erano altro che due pastorelli che vivano in campagna. Smarrante era consapevole della sua bellezza e non erano poche le proposte di matrimonio che gli erano arrivate, ma a lui non interessava sposare una donna qualunque, perché il suo scopo era quello di farsi un nome e farsi amare e ammirare dall'intera città. Il ragazzo non voleva certo perdere di vista il suo obiettivo; perciò, decise di fare voto di castità per non farsi distrarre dalle giovani fanciulle che gli correvano appresso. Visto che era davvero negato nell'usare la spada, non poté puntare ad una carriera militare, ma non ce ne fu bisogno: la voce del suo voto iniziò a circolare per il regno e quel bel ragazzo che veniva dalla campagna iniziò ad essere ricoperto di elogi dai più anziani e saggi abitanti di Plantea. Questa sua decisione, in concomitanza con la sua bellezza, gli aprì le porte verso il mondo della sacralità e degli Dei. Smarrante non confutò mai le voci che giravano sul suo conto e che creavano un alone di mistero attorno a lui e ben presto fu eletto sacerdote della città e il suo indice di popolarità salì alle stelle. Le conseguenze furono che il neo-sacerdote non era capace di interagire con gli Dei come tutti pensavano e, a dir la verità, non sapeva nemmeno come si recitano le preghiere, visto che non aveva mai frequentato una scuola che glielo insegnasse. Ma nessuno sembrò mai accorgersi di questi suoi difetti perché con un sorriso smagliante riusciva a distogliere l'attenzione dalle sue imperfezioni. Così il sacerdote, da quando fu eletto come tale, dovette dimesticarsi nella volgare arte della menzogna per non perdere il suo titolo nobiliare.
Se ben ricordate, si era ammalato nello stesso periodo della principessa Filomena, ma, al contrario della ragazza, lui non passava le sue giornate a crogiolarsi nel dolore. Perciò, quando più tardi quel pomeriggio il re, a malincuore, lo convocò nelle regali stanze della figlia, lui vi andò fischiettando per i corridoi del castello. Aveva un sorriso che gli si estendeva da un orecchio all'altro e il suo passo deciso tutto suggeriva tranne che stesse soffrendo. Dopo aver bussato energicamente alla porta della stanza e dopo che un'infermiera gli aveva aperto, lui si parò davanti al letto della malata, e con allegria esortò:
"Come state principessa?" ella mugugnò "sono malato anch'io ma non mi sembra di soffrire tanto quanto voi."
"Sarà che sulle fanciulle i sintomi sono più forti" ipotizzò lei, giocando stancamente con uno dei suoi bracciali di cristallo.
"Oppure la commedia è il vostro forte" la stuzzicò lui.
"Non dite sciocchezze sacerdote!" inveì lei in uno slancio di energia che non aveva mai
mostrato da quando si era ammalata.
"Ah ah!" esultò lui "dunque, non state male quanto lo fate sembrare" Filomena lo guardò irritata, prima di ribattere:
"Il mio dolce padre mi ha tolto le mie ancelle; perciò, mi tocca provvedere da sola a me stessa. Pertanto, ho scoperto che maggiore è la pietà che egli prova nei miei confronti, maggiori sono le cure che mi vengono date" ebbene sì, superficiale lo era forse un po', ma in furbizia sarebbe stata una buona rivale per Smarrante.
"Mi avete fatto venire per una preghiera, se non erro" le disse il sacerdote, soddisfatto di aver scoperto le carte della principessa.
"Pensavo più a un rituale che mi ridesse un po' di vigore" disse la principessa e Smarrante sorrise malizioso.
"Come se ne aveste bisogno" Filomena lo ignorò, fece uscire dalla stanza tutte le infermiere che vi erano e il falso rituale improvvisato da Smarrante ebbe inizio.

La lira di ApolloWhere stories live. Discover now