Capitolo 7

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Senza dedicare nemmeno un pensiero a Pirenea o al suo esercito, che aveva dato la vita per proteggerlo, Soccante continuava dritto per la sua strada, tenendo d'occhio le alte cime innevate che vedeva a Nord. Camminò a lungo e riposò poco, perché la foresta era un posto insidioso e persino qualcuno di inesperto come lui sapeva che era sempre meglio dormire con un occhio aperto. La caccia non era il suo forte e finì col dover fare una dieta di sole bacche, funghi e, se gli andava bene, anche di insetti o ragni. Le sue nuove abitudini gastronomiche gli permettevano a malapena di sopravvivere e gli crearono non pochi problemi di salute. Lasciate quindi che io vi offra un esempio del motivo per cui è meglio non avventurarsi in una foresta senza conoscere le nozioni basi su bacche e funghi.
Passò davvero poco tempo prima che il nostro povero Soccante si trovasse privo di forze a patire la fame. Gli si deve riconoscere che nonostante questo, non perse mai di vista l'obiettivo e si spinse fin dove le forze lo reggevano. Il principe era tanto affamato quanto innamorato della bella Filomena e doveva ringraziare Eros se ogni giorno riusciva a trovare la forza di continuare il suo cammino verso Nord.
Un giorno però, capitò che la fame vinse l'amore e Soccante crollò a terra senza forze. Capì che non sarebbe riuscito a sopravvivere se non avesse trovato svelto qualcosa da mettere sotto i denti, allora iniziò a cercare disperatamente qualcosa di commestibile. Un po' gattonando e un po' strisciando, accadde che trovò un luogo che in seguito mi avrebbe descritto come una radura incantata. Si trattava di un piccolo spiazzo erboso privo di alberi, ricoperto da funghetti variopinti. I loro colori variavano dal blu elettrico al giallo brillante, ma ce n'erano anche di turchesi, indaco o lilla e tutta una vasta gamma di pigmenti ricercati. Alcuni si arrampicavano addirittura sui tronchi degli alberi circostanti e sembrava che emanassero una luce propria.
Non avendo nemmeno le forze di chiedersi se fosse una buona idea o no quella di mangiarli, ne agguantò una manciata e li divorò. Qui posso inserire la mia lezioncina personale su cosa fare e cosa non fare quando si vaga per una foresta, perché è buona cosa sapere che mangiare dei funghi che non conoscete non è una buona idea in nessun caso. Soprattutto se tali funghi sono colorati, perché spesso in natura vige la legge secondo cui più qualcosa è variopinto, meglio vale stargli alla larga.
Inizialmente il nostro principe si trovò piacevolmente sazio, decise dunque di riprendere il proprio cammino, ma prima di partire si riempì le tasche di funghetti colorati per essere sicuro di non rimanerne a corto. Il primo sospetto di una possibile intossicazione gli venne dopo pochi minuti.
Soccante iniziò a sudare freddo e sentì una strana sensazione di leggerezza pervadergli tutto il corpo. Una specie di debole ma piacevole formicolio nelle gambe lo fece sorridere. Si guardò attorno e non poté fare a meno di essere felice di trovarsi in quella magnifica foresta. Era come se i suoi sensi fisici, come il tatto, avessero smesso di funzionare e lui con la mente riuscisse a fare astrazione del suo corpo. Una dolce sensazione che gli permise di rilassare tutti i muscoli del corpo. Soccante sorrise come un ebete agli alberi circostanti e chiuse gli occhi per assaporare la tranquillità del momento, ma una vocina fastidiosa gli disse che qualcosa non andava, che per quanto piacevole non era normale sentirsi in quel modo e che avrebbe fatto meglio a riprendersi.
Il principe ascoltò quella vocina e spalancò gli occhi, cercando di concentrarsi sulle singole cose che gli stavano attorno. Il tronco di un albero ad esempio. Ma non funzionava, più si concentrava più il mondo attorno a sé iniziava a ruotare dandogli la nausea. Al contempo però il ragazzo non osava distogliere la sua attenzione dal tronco dell'albero perché sentiva che se lo avesse fatto, sarebbe stata la fine. Ma anche così non andava e Soccante finì col perdere l'equilibrio e schiantarsi contro il tronco che stava fissando, abbracciandolo e chiudendo gli occhi, sperando che la terra smettesse di girare. Ormai non riusciva più nemmeno a ragionare e strisciò lungo il tronco fino a terra. Si sedette e appoggiò la schiena contro l'albero usandolo come sostegno, poi mise la testa fra le ginocchia e chiuse gli occhi. Sentiva che stava per vomitare. In quel momento sarebbe stato comodo rigurgitare i funghetti, ma il ragazzo ne aveva mangiati troppi, troppo in fretta e a pancia vuota; quindi, accadde la cosa peggiore che può capitare in queste situazioni e perse i sensi, cadendo di faccia, in una posizione scomoda e imbarazzante per una persona del suo rango.
Il principe rimase lì disteso almeno un paio d'ore. Non capiva nulla di quello che stava succedendo attorno a sé. Era a malapena cosciente di stare male, figuriamoci di comprendere alcunché. E proprio mentre destava in questo stato di semi-coscienza, un lupo molto grosso e affamato gli si avvicinò, annusandogli golosamente le caviglie.
Un gioioso ululato squarciò il silenzio e la belva prese ad addentargli voracemente un polpaccio. Soccante vedeva il lupo, e associava la sua immagine a quella di un lupo, ma non capiva davvero la gravità della situazione. Lo vedeva affondargli i denti nella carne e lacerarla, ma non sentiva dolore e non comprendeva che quella era una situazione di pericolo; anche volendo però, non sarebbe riuscito a muovere un solo muscolo per difendersi.
Per sua fortuna, proprio mentre il lupo si serviva in quello che per lui era un banchetto reale, qualcuno nascosto tra gli alberi decise di aiutarlo e urlò:
"Pethanei lykos!" a queste parole una luce di un rosso macabro illuminò il bosco e un istante dopo il lupo cadde a terra, morto.
I guai per Soccante erano ben lontani dall'essere finiti. Riprese conoscenza piano piano e quando si svegliò del tutto, si accorse che non si trovava più nella foresta, ma in una stanza buia che non conosceva. I suoi occhi fecero fatica ad abituarsi all'oscurità, ma quando finalmente ci riuscirono, si rese subito conto di essere nei guai perché quella non era una camera, ma una cella.
Non c'erano finestre e a giudicare dall'umidità, sembrava che si trovasse sottoterra. Il posto era molto simile alle classiche segrete di un castello: delle sbarre lo separavano da un corridoio buio e il letto su cui giaceva altro non era che uno scomodo giaciglio di paglia. Gli unici due oggetti presenti nella cella erano una brocca riempita d'acqua e un vaso da notte.
Si alzò in piedi con l'intento di uscire di lì, ma appena lo fece, gli venne la nausea e vomitò nel vaso. Tentò di camminare verso le sbarre, ma appena mise un piede a terra, un dolore lancinante gli percorse la gamba intera. Il principe cadde a terra con un gemito e si ricordò vagamente di essere stato aggredito da una bestia feroce. Volse lo sguardo verso il suo polpaccio, aspettandosi il peggio, ma l'unica cosa che vide era una stretta fasciatura riempita di una pasta blu.
Volse lo sguardo intorno a sé alla ricerca della sua armatura e della sua spada, ma non le trovo. Chiunque lo avesse curato e rinchiuso gliele aveva tolte. D'un tratto sentì una porta aprirsi da qualche parte in lontananza e dei precipitosi passi avvicinarsi alla sua cella. Soccante, col cuore in gola, stava per scoprire chi, o che cosa, lo stesse tenendo in ostaggio.

La lira di ApolloWhere stories live. Discover now