Capitolo 29

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Re Bisante era disperato. Erano almeno due giorni che la sua dolce bambina non si vedeva. Aveva lasciato tutto nelle sue stanze, quindi non era fuggita, doveva essere stata rapita! Nessuno l'aveva vista uscire o aveva visto movimenti sospetti. Un giorno il re entrò addirittura di prepotenza nella stanza di Smarrante, che giaceva beatamente sdraiato nel letto a leggere un libro, e iniziò a vomitargli addosso la sua preoccupazione per la figlia, chiedendogli perché ultimamente lui non andasse più a trovarla e se sapesse dov'era. Magari si nascondeva nel tempio? Oppure gli Dei l'avevano rapita? Insomma, per tutti gli Inferi di Ade, dove si trovava sua figlia? Ma quel poveraccio non fece altro che guardarlo ed annuire, sorridendo ogni qualvolta, come un ebete. Bisante pensò che la malattia gli avesse fritto il cervello così lo insulto (strappandogli un altro sciocco sorriso) e se ne andò.
Il re cercò Filomena ovunque a palazzo, ma per il momento evitò di far sapere al popolo che la loro principessa era misteriosamente scomparsa. La sua preoccupazione era alle stelle, al punto che si recò addirittura a chiedere aiuto a Dimitrea. Quella lo attendeva calda come un tizzone di fuoco ardente, ma quando lui le confessò il problema e le chiese il suo aiuto lei si ricompose.
Dimitrea sapeva benissimo dove fosse la ragazza, ma non glielo confessò. Quella vecchia megera aveva mandato apposta la principessa al pozzo perché sapeva che era abitato da un demone. Malvagia e vendicativa, la donna odiava Filomena perché l'aveva rinchiusa nelle segrete del castello senza una ragione valida. Ma non era tutto, perché pian piano stava iniziando a capire meglio tutta la storia che riguardava la battaglia che sarebbe esplosa di lì a poco a Plantea. Voleva dunque prendere la palla al balzo e aveva iniziato ad architettare un altro piano, ben più diabolico di qualsiasi altro piano avesse mai architettato, e la morte della principessa era necessaria per il suo compimento. Così azzardò un compromesso col re:
"Sire, se mi liberate, io vi aiuterò a ritrovare vostra figlia, ma chiusa qui dentro non posso fare nulla per voi" Quando però Bisante, che era troppo preoccupato per Filomena, aveva capito che nemmeno lei potesse aiutarlo, aveva smesso di ascoltarla, le aveva dato le spalle ed era partito.
Povero il nostro re, non sapeva più che fare, così fece l'unica cosa logica che faremmo tutti se un nostro caro sparisse e noi non sapessimo dove cercarlo. Pianse. E pianse molto, andò addirittura a rintanarsi nella camera della figlia, dove ogni oggetto gliela ricordava e gli faceva versare una lacrima in più.
Arrivati a questo punto, il re non aveva più idee su dove potesse essersi cacciata Filomena; quindi, vi propongo di fare un passo indietro, di tornare alla notte in cui lei scomparve, e scoprire cosa successe realmente. Perché quella notte le cose non andarono proprio come lei le aveva architettate uscendo da palazzo, ma in realtà non andarono nemmeno come Dimitrea avrebbe voluto che andassero.
La bambina, o meglio, il demone, si era aggrappato con tutte le sue forze alla principessa per farla cadere nel pozzo. Voleva la libertà e se fosse riuscito a trascinarla dentro, l'avrebbe avuta. Filomena, le cui forze erano molto diminuite negli ultimi tempi a causa della sua malattia, aveva ceduto quasi subito, ma proprio mentre stava per cadere, da dietro sentì una possente mano afferrarla per la spalla e vide una grossa bottiglia di vino calarsi sulla testa del demone. La bottiglia si ruppe in mille pezzi e la bambina, sorpresa e sporca di vino rosso, allentò un po' la presa. Così la possente mano tirò indietro la principessa con più forza e il demone perse la presa, cadendo nel pozzo con un urlo di sconfitta.
Filomena cadde a terra, aveva il fiatone e le mani che tremavano per quello che era appena successo. Inoltre, ma di questo se ne accorse solo in un secondo momento, aveva anche i vestiti zuppi di vino.
"Tutto bene ragazzina?" sentì domandare un vocione.
"Bada a come parli, a chi hai dato della ragazzina?" rispose lei, senza il minimo segno di gratitudine.
Si alzò in piedi per fronteggiare il suo salvatore, ma quando levò lo sguardo per vedere chi l'avesse salvata, si accorse che non era un salvatore, bensì una salvatrice. Era alta quasi due metri e aveva dei muscoli da far paura. I suoi lineamenti non erano graziosi come quelli della principessa, ma burberi, come fossero stati scolpiti da un artigiano ubriaco. Il donnone sfiorava forse la mezza età e la guardava con un sopracciglio alzato, aveva ancora i cocci della bottiglia di vino in mano.
Quando la donna vide Filomena, la riconobbe subito e rimpianse immediatamente di averle dato della ragazzina. Fece dunque ciò che all'epoca faceva la gente del popolo per farsi perdonare dai reali, si inginocchiò e le baciò l'orlo del vestito, domandando perdono.
"Alzati donnaccia" Filomena non voleva essere scortese, ma si accorse che quelle parole non erano proprio carine, così aggiunse:
"Tu mi hai salvato la vita e io non posso fare altro che perdonarti e ripagarti la bottiglia che hai rotto."
La donna si alzò e la ringraziò per la cortesia.
"Ora parla, chi sei tu?" disse Filomena.
"Mi chiamo Ercolea e sono la moglie del uomo che gestisce il pub qui accanto" la principessa si domandò se la stesse prendendo in giro, ma l'altra sembrava serissima.
"Ercolea hai detto? Come Ercole, ma al femminile?"
"Esatto principessa, quando nacqui pesavo come un cucciolo d'orso; perciò, i miei genitori mi diedero questo nome" la principessa fu divertita dal racconto.
"Principessa" disse Ercolea "io sono piuttosto povera e non ho molto da offrirvi. Capirei se non accettasse, ma posso invitarvi nel pub a bere qualcosa, così che vi rimettiate in sesto dopo la vostra avventura?" Filomena volse lo sguardo verso il locale che Ercolea le stava indicando, le sembrava squallido, fatto per la gentaglia del posto.
D'altro canto, però aveva ancora la tachicardia dopo che il demone l'aveva attaccata, così accettò, ma si calò il cappuccio sugli occhi. Non che la cosa servisse, perché quando entrò c'erano solo bambini che correvano in giro e un paio di clienti che dormivano ubriachi su un tavolo.
"Non pensavo che i bambini potessero frequentare posti come questo" commentò, sedendosi dietro al bancone, mentre Ercolea le preparava qualcosa da bere.
"Questo posto non è più molto frequentato da quando tutti gli uomini sono partiti e questi bambini sono i miei figli."
"I tuoi figli?" domandò Filomena stupita "e tu li porti al lavoro qui con te?"
"Ormai da quando mio marito è partito io devo occuparmi sia del lavoro che dei bambini" Ercolea mise davanti alla principessa una bevanda gialla e schiumosa "bevete, vi sentirete subito meglio."
Filomena obbedì, la bevanda era fredda, gasata e un po' amara, ma le piacque.
"Cos'è?" chiese.
"Birra" rispose Ercolea "qui piace a tutti così ho pensato che potesse piacere anche a voi."
Filomena non l'aveva mai assaggiata prima d'ora, così iniziò ad annusarla e farla roteare nel bicchiere come si fa col vino quando lo si sorseggia. Ercolea si voltò un attimo per non far vedere alla sua ospite che stava sorridendo.
"E così questo locale è di tuo marito" Filomena volse lo sguardo intorno a sé.
Il pub era interamente fatto di legno e sulle pareti c'erano molte teste impagliate. La principessa riconobbe cinghiali, cervi e orsi e sentì un certo disagio nel guardare quelle orribili teste. Vide che c'erano anche delle scale che conducevano ad un secondo piano e indovinò che Ercolea dovesse vivere lì col marito e i figli.
"Sì" confermò lei "in genere questo posto non è frequentato dalle donne... o meglio, ci sono anche loro, ma sono tutte prostitute" a Filomena andò la birra di traverso e tossì.
"Come hai detto?" domandò, sconcertata.
Vedete, Filomena aveva vissuto tutta la sua vita a palazzo e non esistevano quel genere di cose, perché le persone che fanno certi lavori, definiti da molti come "squallidi", venivano tenuti lontano dalla corte reale. Certo, la principessa sapeva cosa fosse una prostituta, ma non avrebbe mai pensato che quelle lì potessero essere così vicine a lei, o anche solo che esistessero nel suo regno.
"E anche tu sei una pros... voglio dire, una di quelle?" domandò a Ercolea, sconcertata.
"Come? No, assolutamente no! Per chi mi avete presa, io ho un marito e dei bambini." rispose la donna, offesa.
"È solo che hai detto che le donne che lavorano qui appartengono a quella categoria lì."
"Sì, ma non io, io non lavoravo qui finché mio marito non è partito a cercare la lira."
"E perché è partito, se aveva moglie e figli?" domandò Filomena.
Ercolea la guardò e incrociò le possenti braccia sul petto.
"Perché" disse "gli uomini sono tutti uguali, viscide serpi senza cuore. Ti fanno credere che ti amano e mettono su famiglia con te, promettendoti di esserci per sempre, ma non appena vedono l'opportunità di stare con una donna più bella e più ricca di te, scappano via, inseguendola come dei cagnolini."
Il marito di Ercolea aveva fatto esattamente la stessa cosa. Più vicino alla fine della sua vita che all'inizio, si era stufato della sua numerosa famiglia e della moglie, ma all'epoca il divorzio non esisteva. Così, appena aveva sentito parlare del premio di chi fosse tornato con la lira di Apollo, aveva piantato in asso tutto quanto, aveva fatto le valigie, lasciato un bigliettino sul bancone del pub per dare istruzioni a Ercolea, ed era partito.
"Quando è partito" raccontò la donna "ha osato guardarmi e dirmi cose come 'ma no cara, vado a cercare la lira per mio cugino, che è vedovo poverino' oppure 'ma vedrai che staremo tutti quanti meglio se la trovo, e vivremo insieme a palazzo' che ridicolo bamboccione."
"Mi dispiace" sussurrò Filomena, che si sentiva responsabile dell'abbandono del marito, ma non le venne in mente nient'altro da dire.
"Non è colpa vostra principessa" disse Ercolea, saggiamente "era una sua scelta e ha scelto di andarsene. Ma promettetemi solo questo: nel caso dovesse essere lui a tornare trionfante con la lira di Apollo, fategli rimpiangere di averla trovata" le due donne scoppiarono in una sonora risata, ma una di quelle risate che quando ti prende non riesci più a finire, che quando ce l'hai dimentichi tutto ciò che ti turba e ciò che ti dà sconforto e ridi talmente tanto e per così tanto tempo, che alla fine quando smetti non sai nemmeno più perché avevi iniziato a ridere.
Così, Filomena, finita la birra, le disse:
"Siediti qui con me per piacere e beviamo qualcosa insieme" Ercolea esitò per un istante, perché aveva davanti a sé la sua sovrana e si sentiva un po' in soggezione, così la principessa aggiunse:
"Dai offro io stai tranquilla" Ercolea sorrise, Filomena le piaceva, così mandò a dormire i suoi bambini, che corsero dirimpetto su per le scale di legno, facendo un baccano assordante.
Vedendo quella scena, i bambini che si spingevano su per le scale facendo a gara a chi arrivava prima, la principessa sentì il cuore scaldarsi e realizzò che infondo quella bettola non era poi tanto squallida. Mentre chiacchieravano, le due donne sorseggiarono una bottiglia di vino e ben presto la finirono, ridendo.
Erano due persone completamente diverse, nate in famiglie diverse: una era povera e alla mano, mentre l'altra era ricca e posata. Ciononostante, Il mistero della fede (o forse era solo il vino) volle che le due donne diventassero amiche e iniziassero a farsi confidenze. Così, Filomena finì con lo spiegarle tutta la storia, da Smarrante, al bambino maledetto, fino alla storia del pozzo e si soffermò almeno dieci minuti sulle ragioni per cui Ercolea doveva togliere le teste impagliate dai muri del pub.
"Non mi è mai piaciuto quel Smarrante" confessò Ercolea "è troppo bello per fare il sacerdote, io lo sapevo che nascondeva qualcosa!"
"Oltre al fatto che non conosce mezza preghiera?" domandò Filomena, ed ecco che le due donne scoppiarono ancora a ridere, sbeffeggiando Smarrante.
Una cosa tira l'altra e si era fatto tardi, tanto che addirittura i due clienti svenuti sul tavolo si erano svegliati ed erano tornati a casa loro. Filomena era stanca, così accettò di buon grado quando Ercolea le propose di rimanere a dormire.
Il giorno dopo, la principessa aveva un gran mal di testa e non voleva tornare a palazzo, dove si sarebbe senz'altro sentita sola, così chiese a Ercolea se potesse rimanere e le disse che se avesse accettato, l'avrebbe aiutata a tenere i bambini, mentre lei lavorava. Filomena voleva probabilmente solo fare pratica prima che il suo nascesse, questo era chiaro. Era anche stata una cosa carina quella di proporre a Ercolea di badare ai bambini, ma effettivamente di bambini lei non se ne intendeva per nulla. Così arrivò a fine giornata che era a pezzi e aveva la testa che le faceva ancora più male di quella stessa mattina. Era esausta perché, essendo anche malata, le forze le venivano a mancare, così l'amica le chiese se volesse passare un'altra notte lì. Non vi sorprenda che Filomena accettò di buon grado e rimase a dormire quella notte, la successiva, quella dopo ancora, eccetera eccetera.

La lira di ApolloWhere stories live. Discover now