77. I PECCATI DEI PADRI PT.2

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«Possiamo saltare il dramma amoroso?» Mio padre rivolge a Ian una smorfia disgustata. «Per quanto mi riguarda, puoi ammazzarlo come preferisci. Anzi, mi risparmi la fatica di farlo. Ma non ti azzardare a posare un dito su mia figlia... e sul ragazzo, certo».

«Non ho cattive intenzioni verso tua figlia, non più. L'incolumità del ragazzo invece dipende da voi». Con un ghigno, Jason prende dalla tasca il coltellino blu e prosegue: «È proprio il tuo turno, Maxwell. Ti ricordi di quel giorno nel bosco vicino al vecchio circo, quando ti ho quasi catturato e tu mi hai conficcato questo in una gamba?»

«Sì, e ricordo anche che hai provato a spararmi. Se vuoi delle scuse, le tue dovranno essere migliori delle mie».

«Non mi interessano le scuse» sghignazza, per poi lanciare il coltellino ai piedi di mio padre. «Hai presente la legge del taglione, no? Occhio per occhio, dente per dente... pugnalata per pugnalata».

«Stai scherzando?» urlo incredula.

«E se mi rifiutassi?»

Jason punta la rivoltella su Klaus e preme il grilletto senza il minimo indugio. Il mio cuore manca un battito.

Un clic riecheggia nel silenzio e il sangue torna a fluire caldo nel mio corpo. Klaus rilascia un respiro profondo, le sue iridi ancora ostinatamente incatenate alle mie.

«Wow! Con la sfiga che hai avuto nella tua vita, bastardo, non me l'aspettavo... magari riesci addirittura a raddoppiare».

«Fermo! Okay! Lo faccio!» Mio padre si china, raccoglie il coltellino da terra e sospira. «Mi dovrai parecchi favori, caro genero» mugugna, e si conficca la lama nel ginocchio con un unico gesto deciso.

Sobbalzo, reprimendo l'istinto di girarmi dall'altra parte. Fiotti di sangue scuro cominciano a sgorgare dalla ferita mentre mio padre estrae il coltellino con una serie di gemiti e imprecazioni. Si toglie la giacca da cameriere e la avvolge a mo' di fasciatura per fermare l'emorragia.

Jason assiste compiaciuto alla scena. «Perfetto. Ora voglio che tu mi dica dov'è il registratore».

Papà digrigna i denti per il dolore. «Ficcatevelo nella capoccia: io-non-ne-ho-idea».

«LO SO IO!» strillo d'impulso.

L'uomo solleva la Colt a pochi centimetri dalla fronte di Klaus e mi esorta a continuare.

«Nello scrigno di mia madre». Esito, con il respiro affannato e le mani tremanti. «C'è un doppio fondo. Non ci avevo fatto caso quando l'ho aperto, ma sotto era storto. Ne sono sicura, è lì».

«E dove sarebbe questo scrigno?»

Klaus si irrigidisce e scuote il capo. Le sue labbra mimano un messaggio che non riesco a decifrare, ma non ne ho bisogno per capire che cosa lo abbia allarmato. Portarlo al bauletto significa portarlo dritto da Elizabeth e, se dovesse succedere qualcosa a noi, lei rimarrebbe la sola a poter reclamare dei diritti sulla Walker Agency.

«Alla villa».

«Più specifica?»

Esito di nuovo. «Camera mia».

Un altro clic mi strappa un sussulto.

Nessuno sparo.

Klaus deglutisce, una goccia di sudore che gli cola dai capelli fradici fino alla guancia. Percepisco la sua paura come se fosse la mia –e in un certo senso è così–, ma anche sforzandomi non ne scorgo neanche l'ombra nella sua espressione.

Jason schiocca la lingua. «Ci sono stato durante il matrimonio. Vuoi cambiare la tua risposta?»

Apro la bocca, ma Klaus mi interrompe con fermezza: «Keeley, no!»

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