Capitolo 21

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DANTE

Prima o poi ci si stanca e si perde il controllo di tutto. Succede.
Succede quando hai accumulato talmente tanto da non riuscire più a reggere il peso. E se cambi rotta non puoi più tornare indietro, non puoi nemmeno fermarti. Non sai cosa fare, vorresti solo urlare, buttare fuori tutto quanto il veleno che ti è stato iniettato, la rabbia e il dolore di una solitudine che hai abbracciato. Perché hai capito da tempo che quando sei solo niente può farti soffrire. E anche se la paura torna, il panico ti schiaccia, lo combatti. Proprio come hai sempre fatto.
Costume da bagno rosso, occhiali da sole sulla chioma legata in uno chignon scomposto, mi dà le spalle. La luce del sole, in questa giornata incerta, le accarezza la pelle un po' troppo pallida. Eden, dondola le gambe dentro l'acqua. Assorta, in un posto lontano, prigioniera. Così tanto da non sentire il mio arrivo.
Mi siedo sul bordo della piscina, accanto a lei. Non per disturbarla, piuttosto per capire la ragione del suo distacco.
Non metto i piedi nudi in acqua. Mi limito a portare le ginocchia al petto, le braccia intorno.
Eden smette di muovere i piedi e di fissare il fondo della vasca alta almeno un metro e mezzo da questo lato. Non respira per un breve secondo, poi lascia uscire un verso brusco. «Ti prego, non sono dell'umore per i tuoi giochetti. Non oggi», afferma mesta.
Io che ho imparato a conoscere ogni sua lieve espressione, comprendo che non è solo di pessimo umore. C'è dell'altro che la tormenta.
Sono stati giorni duri da vivere. Lo so.
Dopo avere ricevuto quella dannata chiamata, ho ritenuto che fosse necessario tornare nell'immediato a villa Blackwell, circondati da guardie, al sicuro. Da allora, ho fatto in modo che non uscisse, per evitare che qualcuno potesse rapirla e riportarla ai Rose. Suo padre pur di riaverla sarebbe contento di dare tutto ciò che possiede. Un po' come ha fatto con i piccoli clan, ancora incerti a chi offrire la propria fiducia e i propri mezzi in una guerra che silenziosa continua da anni a infangare le nostre vite, a distruggere le nostre famiglie.
In più, se dovesse accadere, Darrell otterrebbe in fretta il suo premio, lei.
So che la sto costringendo a vivere nascosta, mi domando quanto a lungo riuscirà a resistere confinata qui dentro. Ma non posso rischiare di perderla.
Una minuscola voce mi suggerisce di indagare sul motivo scatenante. La scaccio sul nascere. Mi rifiuto di affrontare qualsiasi cosa sia. Sin dal primo istante mi sono esposto troppo, permettendo alla sua luce di scottarmi.
«Se è per quel figlio di puttana, non preoccuparti. Stiamo facendo del nostro meglio per assicurarci che stia al suo posto».
La sua testa oscilla. «No, non è per lui», risponde secca.
Il mio cuore prende ad agitarsi. «Perché non mi dici cosa provi? Senza giri di parole».
Riflette, torturando se stessa mentalmente. «Da dove vuoi che inizi?»
Il modo in cui si sta mordendo il labbro, così come ho appena fatto io, mi eccita e il membro spinge contro i pantaloni fino a farmi male. Mi muovo irrequieto, cercando di non fissarle la bocca, di prendere aria e di recuperare il pieno controllo del mio corpo. Ma tutto quello che ottengo è il tessuto dei pantaloncini che sfregano sul membro e la frizione a mandare una vampata su per la schiena in ogni centimetro della mia pelle.
Cazzo. Devo allontanarmi e subito. Perché se solo abbasserà gli occhi, si accorgerà della protuberanza e mi farà sentire ridicolo come non mai. È un rischio che non correrò proprio adesso.
«Da te», rispondo roco.
Inumidisce le labbra, in parte accorgendosi della rigidità con cui le sto parlando. «Mi piacerebbe amare senza dovermi nascondere. Lo farei senza provocare alcun rumore. Io, io non voglio mettere a soqquadro la vita di nessuno. Voglio solo avere l'opportunità di incastrarmi alla perfezione e di non sentirmi ancora un tassello che non ha un posto».
La foga e la sincerità con cui butta fuori le parole, mi colpisce con un dritto potente e doloroso. «Tu non sei un tassello da incastrare, Eden. Sei un quadro dal valore inestimabile. Solo che ancora non hai capito quanto cazzo vali!», marco le ultime parole, parlando con fervore. «Non sei per tutti. Sei per i pochi che sanno apprezzare».
Adesso sostiene il mio sguardo. Non c'è vergogna quando dice: «Peccato non valga anche per te».
Non posso fermarla e non posso trattenerla. Mi lascio schiaffeggiare e ferire dalla sua amarezza. Mi infurio persino perché lei non dovrebbe pensare a me e inevitabilmente sbotto dicendo: «Con te è come naufragare in un mare di problemi. Hai la capacità di farmi incazzare come pochi».
«Benvenuto nel club».
«Ma è una delle parti di te che preferisco».
«Perché?», chiede confusa.
«Perché anche se sto annegando nei tuoi occhi, anche se non ho quasi più fiato e sto annaspando, tu sei in grado di salvarmi dagli abissi. Sei la mia àncora. Non te ne accorgi, ma sei questo, un po' di pace in mezzo al tuo stesso caos».
«Ma non riesci ad accettarlo».
«No e non posso. Non conta quello che sento. Dovresti stare lontana da me».
La delusione è palese sul suo volto. «Non avrei mai dovuto incontrarti», alza il tono. C'è durezza nei suoi occhi tormentati da una perenne tempesta.
Serro la mascella nel tentativo di non replicare. Non porterebbe a niente di buono. Perché noi siamo così. Ci attacchiamo a vicenda per non essere sbranati da qualcosa di più feroce.
«Neanche io. Ma è successo ed eccoci qui».
«Sei riuscito a portare a galla tutto. Ti sei insinuato dentro e hai tirato fuori persino la speranza», urla ferita, spingendomi.
Joleen arriva proprio al momento giusto, chiamandola dalla cucina. Sollevandosi, ricomponendo i pezzi di se stessa, infila un prendisole floreale e corre in casa.
Mi stendo sul bordo della piscina e con un dito sfioro il pelo dell'acqua. Osservo il cielo, seguo una nuvola e ignoro i segnali.
Non posso.
La rovinerò.

Cruel - Come incisione sul cuore Where stories live. Discover now