Capitolo 13

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EDEN

Pensiamo di essere abbastanza forti da contrastare l'attacco diretto del destino, ma non è così. Ci sono volte in cui le cose succedono e penetrano talmente a fondo, sotto la pelle, che nessuno è in grado di rimuoverle. Dicono che il tempo medica tutto. I giorni passano e curano le ferite. Ed è andando avanti che il dolore sbiadisce. Allora perché io non ci riesco? Perché non riesco a guarire?
Mi stiracchio. Muovo il collo dolorante da destra verso sinistra e abbassando lo schermo del portatile dichiaro conclusa la mia sessione di lavoro.
Ho preso appunti su nuove idee, provato a fare qualche scatto, ho seguito alcuni video per riuscire a usare al meglio i programmi di editing, tenendomi così impegnata per ore. Ho scacciato la tristezza ascoltando dei podcast.
Ringrazio mentalmente Joleen che si è lasciata convincere e mi ha permesso di usare internet per riuscire a pubblicare sul mio blog alcuni scatti che tenevo in galleria. Prima, com'era prevedibile, si è assicurata che usassi davvero uno pseudonimo e che il sito non fosse solo un modo come un altro per mettermi in contatto e inviare messaggi alla mia famiglia.
Non sono una stupida. So di non poterlo ancora fare. Avrò bisogno della loro completa fiducia per agire. Ma a questo sto lavorando ogni giorno da quando mi hanno rapita. Non dimentico il trattamento subito, le parole di scherno e tutto il resto.
La finestra che dà sul giardino e la piscina scorre aprendosi del tutto, facendo entrare una calotta di caldo quando Terrence, con un sorriso dolce, fa il suo ingresso.
«Hai sete?»
Arrossisce lievemente, ma dal modo in cui mi guarda comprendo che oltre a essere assetato e accaldato, dato che fuori c'è una splendida giornata di sole, è anche annoiato. «Qualcosa di fresco andrà bene. Oggi il caldo è stato intollerabile. Sono entrato per controllare che fosse tranquillo», prende posto sullo sgabello alto. Senza chiedere il permesso, accende la mia fotocamera e scorre la galleria osservando tutte le mie opere.
Giro intorno al bancone della cucina, ignorando la fitta di imbarazzo che mi provoca nel mostrare la mia arte senza restare nascosta dietro uno schermo e uno pseudonimo. Recupero dal frigo la brocca piena di limonata, preparandone due bicchieri.
Notando l'ora e accorgendomi di avere saltato il pranzo, preparo uova strapazzate e insalata, portando tutto sul bancone una volta avere finito.
Terrence mi aspetta sorseggiando la bevanda e continuando a smanettare con la mia fotocamera, interessato.
«Mi dispiace».
Alza la testa dallo schermo spostando la fotocamera sul ripiano, a distanza dai piatti. «Per quale motivo ti stai scusando?»
Azzanno una fetta di pane dopo averci cosparso del formaggio spalmabile e averci aggiunto dei pomodorini secchi. «Non ho controllato l'ora per pranzare e di conseguenza non l'hai fatto neanche tu».
Manda giù il boccone. «Non sei obbligata e io dovrei solo farti da guardia dall'inizio alla fine del mio turno».
Mordo l'interno guancia, fissando il mio piatto. «Non per questo devi disidratarti o avere un calo di zuccheri. Non voglio essere un problema costante».
Solleva gli occhi dal pranzo. Strizza una palpebra soppesando il mio sguardo. «Che cosa ti frulla in quella testolina?»
Sento le orecchie prendermi fuoco, sono appena stata colta in flagrante. «Niente», dico in fretta. Un po' troppo per Terrence il quale, ovviamente, non mi crede e subito mi incalza: «Spara!»
Apro e richiudo la bocca giocando con il cibo nel piatto mentre lui divora voracemente il suo pasto.
Non esito. Ho meditato abbastanza da essere sicura di ciò che voglio fare. «Ho intenzione di parlare con il signor Blackwell», sgancio la bomba.
Terrence sposta in avanti il piatto con riluttanza, per farmi capire che ho tutta la sua attenzione. Un gesto premuroso, certo, ma che potrebbe nascondere qualcosa di diverso.
«Qual è la ragione?», domanda, pulendo l'angolo del labbro con il tovagliolo.
«In quanto ostaggio, credo di avere il diritto di avanzare almeno una richiesta. Chiederò di potere inviare un messaggio alla mia famiglia per rassicurarli. Sono certa che mio fratello Ace riuscirà a gestire la situazione meglio di mio padre. Che c'è un modo per farmi tornare a casa e di fermare tutto questo», inizio agitandomi sul posto.
«Cosa ti fa credere che il signor Blackwell accetterà o che ci sia un modo per fermare tutto?»
«Ho riflettuto a ogni mossa e in caso la sua risposta fosse negativa, chiederò di essere affidata a una nuova scorta, in modo tale da non...»
«Ferma. Ferma. Ferma», afferra le mie mani che tremano e si muovono nervosamente in un gesto fulmineo. «Punto primo, è il mio lavoro. Sono abituato a stare ore e ore in piedi, a fissare un solo punto o a non mangiare. Sono entrato per accertarmi che stessi bene e come ho detto, che fosse tutto tranquillo. Secondo, non sei un problema, Eden. Ti vogliamo qui a prescindere dal tuo sangue, dal tuo cognome. Sei fantastica e sarebbe... diverso senza di te. Terzo, dimmi chi ti ha fatto così tanto male che lo faccio fuori, perché penso sia questo più di ogni altra cosa ad averti fatto mettere in testa certe idee», recita con impeto l'ultima frase. «È inaccettabile che altri uomini possano stare qui alla villa. Non sono come noi e non sono autorizzati a stare a stretto contatto con te. Potrebbe essere rischioso».
«Non sono poi così diversi da quelli con cui avevo a che fare a casa mia. Saprò gestirli. Poi staranno fuori ad annoiarsi e voi potrete fare quello che fate normalmente».
Terrence ha un'espressione piena di sorpresa in volto. C'è anche del rimprovero. «Sono pericolosi!», dice a denti stretti.
Sorrido mesta. «Lo siete tutti».
«Perché...», Terrence arriva in fretta alla conclusione senza bisogno che io dia ulteriori spiegazioni sul reale motivo della mia strana richiesta e smette di parlare.
Quello che Dante mi ha sputato addosso, qualche sera fa, mi ha ferita. Ed era proprio quello il suo intento. Non mi sono neanche difesa perché credevo di avere visto un po' di stanchezza in quegli occhi verdi, un pizzico di umanità dietro quell'ammasso di muscoli e sguardi gelidi. Mi sono sbagliata così tanto da vergognarmi. In lui non c'è niente. Solo buio. E io ci sono caduta dentro perdendo l'orientamento.
È stato proprio bravo a manipolarmi. Mi sono lanciata in sua difesa quando quel viscido di Curt lo ha punzecchiato su qualcosa che a lui non faceva piacere. E come è andata a finire? Come ha ripagato la mia gentilezza?
Mando giù il boccone di uova e allontano il piatto sempre più inappetente. «Non puoi farlo fuori. Siete amici e lui è il tuo capo», biascico mesta. «Se ti manda via io... non avrò più nessuno con cui parlare senza sentirmi sbagliata», concludo con un grosso nodo in gola.
Terrence fa una smorfia. «Posso sempre strigliarlo per benino o strappargli le palle», sorride dandomi un buffetto sul naso. «Gli amici lo fanno per rimettersi in riga a vicenda».
Terrence al di là del suo sorriso genuino e della spensieratezza che sfodera a ogni risposta, non è come lascia credere. Lavora sodo e non si distrae quasi mai. È l'unica persona che sta cercando di accettarmi. È dolce da parte sua provare a difendermi anche solo con le parole, purtroppo sappiamo entrambi che sarebbe una lotta impari.
«Grazie ma preferirei che nessuno interferisse e ci andasse di mezzo. Posso cavarmela, davvero».
Mi accarezza un braccio per confortarmi. «Sai, sei la prima a riuscire a tenere testa a quell'asino. Non per questo però devi combatterlo da sola o farti venire strane idee».
Ridacchio e il malumore passa in secondo piano. «Nessuno era riuscito a farmi arrabbiare così tanto», confesso. «Ho tre fratelli. Non è la prima volta che mi capita di discutere con qualcuno tanto egocentrico e stronzo. Ammetto però di esserci rimasta male. Credevo contasse qualcosa per lui quello che ho fatto. Non mi aspettavo che reagisse in quel modo solo perché non sono rimasta qui e non ho detto di togliersi di torno a quei ragazzi. Io, io non capisco».
Terrence porta il piatto vuoto nel lavandino. Ascolta attentamente ogni mia parola appoggiandosi al ripiano. «Mi ci sono voluti anni per riuscire a non spaccargli la faccia, credimi. Ma se posso darti un consiglio, continua a ignorarlo. Lo farà incazzare ancora di più. Forse è proprio questo a bruciargli. Non ha reagito male perché non hai abbracciato lui ma Faron?»
Inarco un sopracciglio arrossendo sempre di più al ricordo e lui ridacchia notandomi in difficoltà. «È stato un bel colpo».
«Adesso mi stai prendendo in giro per quello che ho fatto, incredibile!»
La verità è che quando me lo sono ritrovata a poca distanza, il panico mi ha indotta ad agire in maniera sconsiderata. Ho sbagliato ad abbracciare Faron quando in realtà avrei voluto abbracciare lui, accertarmi che stesse bene. Ma sapevo che non avrebbe mai accettato il mio gesto o che lo avrebbe sminuito davanti a tutti, facendomi sentire patetica. Forse una parte di me si è mossa perché bramava proprio una sua reazione. Volevo vederlo geloso e arrabbiato. Volevo che desiderasse un mio gesto e che ne fosse consapevole. Volevo che stesse male con se stesso, che riconoscesse i propri limiti.
Purtroppo, alla fine è stata un'arma a doppio taglio e il gioco mi si è ritorto contro.
Terrence mi raggiunge. «Affatto, Eden, ti sto solo dicendo che per la prima volta qualcuno sta mettendo in difficoltà il grande e potente Dante Blackwell. Puoi ritenerti fortunata, non guarda mai due volte qualcuno se non è di suo interesse».
Mio malgrado mi ritrovo a sorridere con una certa soddisfazione. Nascondendo bene la mia reazione, insieme allo sfarfallio che sento riattivarsi dentro. «Allora lo prendo come un complimento», alzandomi do una pulita alla cucina mettendo in ordine, con Terrence seduto davanti a tenermi compagnia.
«Vuoi davvero andartene?», spezza il silenzio dopo un po'. «Non ti piace stare qui con noi?»
Non so come rispondere alla domanda. Più volte ho riflettuto sulla possibilità di tornare a casa grazie a un patto o a qualcos'altro. Ma ho accantonato l'idea perché il problema è che non voglio tornare indietro, ma non voglio nemmeno restare qui e farmi annientare psicologicamente da uno stronzo. Ho già vissuto l'inferno una volta.
«Come sei entrato a far parte della loro squadra?», domando invece interessata.
La sua espressione cambia e comprendo di avere toccato una ferita ancora aperta. «Mi dispiace. Se non vuoi parlarne fingi di non avere sentito la mia domanda inopportuna», abbasso la testa.
«No, è solo che nessuno mi aveva mai posto questa domanda», replica picchiettando un dito sul ripiano, richiamando la mia attenzione. «Vediamo... per fartela breve e tralasciando dettagli importanti che potresti usare contro di me», gratta la nuca facendomi l'occhiolino con un sorrisetto sbilenco, «ero un ribelle che doveva essere messo in riga. Così, mio padre mi ha fatto arruolare. Quando sono tornato dall'ultima missione ho conosciuto Faron e mi sono unito alla sua squadra. Non avevano solo bisogno di una guardia in più, anche di uno bravo con i computer. Ero qualificato e avevo bisogno di loro per risolvere delle questioni. Così ci siamo usati a vicenda. La paga è alta e mi piace quello che faccio, Eden. Non giudicarmi se lo ammetto».
Nella sua breve spiegazione manca qualcosa. Sto per chiedere del tassello mancante, incuriosita, purtroppo veniamo interrotti.
Il passo deciso, le spalle larghe e dritte. Lo sguardo da predatore, Dante entra in cucina a torso nudo. Solleva impercettibilmente l'angolo del labbro notando i miei occhi scorrere lungo il suo petto, l'addome allenato e poi ancora verso quella V scolpita.
«Ho interrotto qualcosa?»
C'è qualcosa tra noi, come un'onda ci raggiunge e cerca in un moto costante di mandarci giù, di risucchiarci dentro un abisso oscuro. L'odio si mischia sempre all'attrazione che sfavilla e pizzica sulla nostra pelle come un taglio minuscolo fatto con la carta. Riesce a rendere il mio cuore infermo.
Mi volto immediatamente verso Terrence. «Grazie per avermi tenuto un po' di compagnia e per avere risposto alle mie domande. Scusa ancora se ti ho monopolizzato la giornata», dico dandogli un bacio sulla guancia. Recupero tutte le mie cose e mi avvio verso il corridoio sentendomi una stupida per essere stata, ancora una volta, così avventata.
Che diavolo sto facendo? Perché il mio primo istinto è quello di provocarlo?
«Bene. Il mio turno qui è finito», afferma lui controllando l'ora, grattandosi una tempia con evidente disagio per il mio gesto affettuoso. «Grazie a te per il pranzo. Era squisito a proposito. Ci vediamo, principessa», mi saluta. «E dimentica quello che hai chiesto. Non è fattibile, cazzo! Non se ne parla».
Con un cenno mi allontano e poi la sento, la sua voce riempie il silenzio come uno sparo improvviso.
«Ma guardati. Ti stavi sciogliendo come un gelato al sole. Adesso familiarizzi con lei e ti fai pure preparare il pranzo? Quale sarà il prossimo passo? Sai che c'è un confine tra quello che vuoi fare e quello che puoi fare, vero?», marca le ultime parole facendole percepire come una minaccia.
Da quanto se ne stava all'ombra ad ascoltarci?
«Non devo darti nessuna spiegazione. Quella ragazza si sente sola e ha bisogno di non essere allontanata come se avesse una malattia contagiosa. Cristo, smettila di comportarti da stronzo con lei. E se sei geloso, dimostralo in altri modi senza distruggere tutto ciò che tocchi. Soprattutto non prendertela con chi dimostra di volerti bene, ovvero i tuoi amici, la tua famiglia. Se non te ne sei accorto, l'abbiamo accolta e stiamo cercando di farla sentire al sicuro anche per te».
«Allora, l'hai fatto per una buona azione o ti fa davvero pena?», ignora di proposito le parole di Terrence, ride e lo immagino scuotere la testa. Non mi sporgo per avere conferma. Non voglio essere beccata.
«Sei sempre stato un sentimentale».
«Non ho detto questo. Non travisare le mie parole. Che hai bevuto a colazione, latte rancido? O sei fatto di qualcosa?»
Dante ride ancora. Ma è una di quelle risate prive di sarcasmo. «Non è finito il tuo turno? Sparisci».
Terrence sbuffa. «Fa' come ti pare. Avviserò Faron che sei in casa. Penso che manderà subito qualcuno o si precipiterà qui lui stesso, visti i tuoi precedenti con lei».
Dopo questa stoccata, per non farmi beccare ad origliare, salgo di corsa in camera e dopo essermi cambiata, decido di volere stare in un posto appartato, lontano dall'uomo al piano di sotto. Pertanto, mi ritrovo nella sauna, un libro in mano e il calore a sfiorarmi la pelle nuda.

Cruel - Come incisione sul cuore Where stories live. Discover now