Capitolo 20

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EDEN

Ho paura.
Paura di deludere. Paura di non essere all'altezza. Paura di sbagliare. Perché nella vita è come se fossi perennemente su un campo minato. Un errore e tutto potrebbe distruggersi in miliardi di pezzi.
Ecco perché me ne sto seduta in disparte su una comoda sdraio, nel grazioso giardino che si trova all'interno della villetta in mattoni rossi in cui nei giorni trascorsi ho dormito, mangiato, chiacchierato e pensato, tanto.
A poca distanza dallo steccato bianco e dai cespugli, un minuscolo laghetto artificiale dove sguazzano delle anatre e svolazzano delle libellule.
È davvero un bel posto in cui vivere, rifletto isolata dal resto delle persone che popolano questo ambiente colmo di palloncini azzurri e bianchi, di bambini festosi avvolti in mantelli da supereroi, principesse e animali della foresta; buon cibo, chiacchiere, musica e allegria.
Bevo un sorso del succo di frutta corretto con dell'alcol che la madre di Dante, Adeline, mi ha portato insieme a un piatto di panini di vari gusti e un vasetto di salsa piccante.
Non era contenta del mio auto-isolamento, anche se penso abbia capito come mi sento: talmente fuori posto da non riuscire a respirare. Si è assicurata che avessi a disposizione tutto quello che mi serve. Come non adorarla? Dante è fortunato ad averla.
È in momenti come questi che la mancanza preme ancora di più sulla ferita che ho nel cuore. Farei qualsiasi cosa per riavere mia madre anche solo per il tempo di un lungo abbraccio.
Se da una parte c'è Adeline, che mi ha accolta in casa sua senza guardarmi dall'alto in basso, dall'altra ci sono le figlie, le quali si mantengono a distanza, continuando a parlottare, a lanciarmi battute e a farmi sentire a disagio. Dalla cena disastrosa, non hanno smesso con gli insulti e le allusioni. Nessuno è intervenuto perché hanno continuato ad agire indisturbate di nascosto. Ho cercato di ignorarle il più possibile.
Non le biasimo. Avere una persona estranea, o meglio: una Rose in casa, tra i propri famigliari, non è un qualcosa da accettare alla leggera. Ma sospetto non sia questo il reale motivo a spingerle a comportarsi come due adolescenti.
Bevo un altro sorso. Ormai mi sono abituata al sapore del liquido. Assaggio un panino dando un piccolo morso. Il gusto cremoso della salsa al suo interno invade la mia bocca mentre sorrido ai due bambini che mi si avvicinano.
Sono due gemelli, uno biondo e l'altro moro, travestiti da pirati. Entrambi hanno i capelli ricci. Con quelle fossette che compaiono quando sorridono, sembrano angeli.
Uno mi offre una margherita, l'altro la incastra direttamente sul mio orecchio, avvicinandosi senza timore. Hanno occhi scuri e vispi e dei sorrisi sdentati da farmi sciogliere.
«Sei bella come una principessa», il biondino mi abbraccia e con un movimento svelto, mi ruba un panino.
Che piccolo scippatore esperto!
«Nonna dice che starai per sempre con noi», lo spinge l'altro a farsi da parte. «Dato che stai con zio Di, sarai la nostra preferita. Lui ci porta sempre dei regali fantastici dai suoi viaggi e dato che i tuoi ci sono piaciuti, volevamo dirtelo. Così diventeremo i tuoi nipotini preferiti».
«Grazie». Non so che altro aggiungere. Non voglio illuderli. Gli offro l'altro panino rimasto e lo accetta con aria tronfia. Si volta verso il fratello e sollevando l'angolo del labbro, mentre mastica, dice: «Visto? Te lo avevo detto che è perfetta per zio Di».
«Kyle, Luke, tornate immediatamente a giocare e non importunate gli ospiti», li rimprovera Regina, sedendosi proprio davanti a me, mentre i due gemelli, ridendo, si allontanano.
Occhiali da sole dalle lenti scure e allungati, giacca rossa, pantaloni a sigaretta bianchi e tacchi vertiginosi, agguanta il panino che tengo ancora in mano e guardando i nipoti fischia loro incitandoli a raggiungere il castello gonfiabile dove il festeggiato, Zac, un bambino intelligente, competitivo e molto saggio, li sta chiamando prima di rimbalzare come una pallina e ridere con gli altri suoi amichetti e cugini invitati alla festa.
«Scusali. Sono curiosi e quando mamma ha detto loro che avrebbero avuto una nuova zia sono impazziti di gioia. Più regali per loro, meno soldi per le tue tasche. Non che sia un problema per te. Gli sei piaciuta a proposito. Non ti hanno morsa come fanno solitamente con chi gli sta antipatico. Sono due demoni».
Mi agito sul posto appoggiando il bicchiere sul tavolino di legno bianco a forma di francobollo dopo avere bevuto un lungo sorso. «Mi hanno regalato delle margherite. Direi che sanno come conquistare una donna. Farò il possibile per rimanere nelle loro grazie ed evitare dei morsi, che a quanto pare sono di famiglia».
Ride, leccandosi le labbra carnose e rimpolpate dal gloss. «Mio fratello Manuel ne è orgoglioso. Lo sarà ancora di più quando lo saprà. Ma temo di non capire, cosa intendi dire che i morsi sono di famiglia?», assottiglia gli occhi accesi di curiosità.
«Storia lunga», tergiverso.
Non avrei mai pensato fosse così numerosa la famiglia di Dante. Sono rimasta sorpresa. Manuel, il maggiore, un professore abbronzato e solare, è arrivato stamane all'alba insieme alla moglie, una ragazza minuta dalla pelle perfetta, dai capelli lunghi fino al sedere, molto impostata e riservata, e dai due gemelli.
Arrossisco. «Ma tu sai che non sono davvero la sua...»
Solleva l'indice azzittendomi. Lo muove e l'anello con il ciondolo a forma di cuore va da una parte all'altra. Controlla che nessuno abbia sentito. «Sssh! Vedere mia madre euforica e mio padre, il buon vecchio Phil, meno cupo da quando lei ha sganciato la notizia che il figlio sta mettendo la testa sulle spalle, ha reso tutti meno tesi, credimi», confessa guardando infine il fratello con adorazione.
Inevitabilmente, i miei occhi si spostano su Dante. Se ne sta seduto al tavolo degli uomini. Chiacchiera animatamente con Terrence, Manuel e Faron. Quest'ultimo sembra trovarsi bene con la famiglia di Dante, diametralmente opposta a quella dei Blackwell, così fredda e ligia al dovere. Mi incuriosisce il modo in cui, di tanto in tanto, Dante si sottrae alle chiacchiere per giocare con i nipoti; i quali da quando sono arrivati, non hanno smesso di lanciarsi su di lui.
Da quanto ho appreso, ha portato a tutti loro, non solo al festeggiato, qualcosa. Lo adorano. Con loro, Dante, è affettuoso e divertente. In netto constatato con l'uomo che ho conosciuto io e che ancora una volta si è allontanato dopo avere fatto qualcosa di prezioso: tirarmi fuori da quel pozzo buio.
Non è stato difficile evitarlo, dato che ha pensato proprio a tutto pur di non incrociarci se non durante i pasti, dove abbiamo retto bene la farsa. Ho solo continuato a domandarmi se fosse necessario.
Lui deve essere una sorta di strana anomalia, perché nessuno era ancora riuscito a insinuarsi sottopelle tanto in fretta, così a fondo.
«Per questo ti sei isolata?», Regina indica proprio il fratello.
Prendo a mordere il labbro, sopraffatta dalla valanga di pensieri di cui sono costantemente sommersa.
Prima che possa fraintendere, provo a spiegarle il mio punto di vista: «Avete una bella famiglia. Vedervi così uniti mi ha un po', come dire», gesticolo in cerca della parola.
«Sopraffatta e avevi bisogno di non sentirti soffocata», conclude al posto mio, intuendo chissà come il mio stato d'animo.
È così evidente?
«Mamma ci teneva davvero tanto ad avere Dante a casa. Di conseguenza non ha preso in considerazione il resto. È stato, come dire, egoista da parte sua e avventata a trascinarvi tutti qui. Ma a Dante fa bene, lo allontana dall'oscurità dei Blackwell».
Annuisco, ritenendomi d'accordo con lei. «Mi dispiace se ti hanno obbligata in qualche modo a parlarmi o ad accettarmi», le dico dopo una manciata di secondi, torturandomi le dita.
Il suo sguardo pieno di rimprovero mi suggerisce di tacere prima che possa dire qualche altra idiozia. «Eden, non mi ha mandato nessuno da te. Avevo bisogno anch'io di allontanarmi. Sono qui solo per mamma, papà e Dante», rivela.
Prendo una manciata di patatine. Sono deliziose e fatte in casa. «Andate d'accordo voi due».
Sorride sistemando gli occhiali sulla testa. La catenella che li tiene, oscilla sulle sue guance. «Dante è un po' il cucciolo di casa, prima di me. Conosce ogni mio segreto, sa che mi piacciono le donne e mi ha sempre protetta. Anche le mie sorelle lo sanno e puoi ben notare come si comportano», dice indicandole, bevendo un sorso di liquido dal mio bicchiere. Fa una smorfia buttando fuori la lingua. «Dio, ma che roba è? Qui ci vorrebbe un po' di alcol puro, non questa brodaglia per adolescenti. Ti va di alzarci e andare a prendere qualcosa per adulti?»
Valuto più opzioni e alla fine, sentendomi sola e notando lo sforzo di Regina, l'unica ad avvicinarsi e a mettermi a mio agio, accetto. È il minimo che io possa fare. «Volentieri».
Ci fermiamo di fronte al tavolo pieno di frutta distribuita ordinatamente in minuscoli vasetti riciclabili. Ci sono delle angurie intagliate, altre svuotate, dentro le quali galleggiano cubetti di ghiaccio su un liquido roseo. Prendo l'anguria e la seguo verso il tavolo, quello degli alcolici, poi in direzione del portico, dove lontane dalla cacofonia ci sediamo godendoci i colori di un tramonto che a breve sarà uno spettacolo.
Brindiamo con i nostri calici e rimaniamo per qualche istante in silenzio; avvolte dal frinire delle cicale e dal rumore di qualche auto che passa per strada.
Vedendola sospirare più volte, le offro la seconda fetta di anguria. «Sei triste per qualcosa?»
Osserva i rami dell'albero a poca distanza dal viale acciottolato, abbracciandosi le ginocchia. «Ho solo voglia di mettermi alle spalle questa giornata e tornarmene al mio appartamento dove potrò smettere di sorridere a comando», svuota il calice.
Bevo un sorso dal bicchierino. «Ti va di dirmi perché?»
«L'avrai già capito dal contesto», indica se stessa poi alle sue spalle, oltre la porta, con aria mesta.
Ho notato come le sorelle si mantengono lontane da lei. Hanno quell'aria arcigna e cattiva. Tipica di chi ha sempre tutto ciò che vuole nella vita, giudica tutto e non è abituato ad andare fuori dagli schemi. Ma c'è dell'altro.
Sollevo il sopracciglio. «Non rifilarmi questa mezza risposta perché è evidente che manca un pezzo e non c'entrano niente le tue sorelle. Sei triste per qualcos'altro».
Sgrana gli occhi. Con le labbra forma una "O", prima di pronunciare: «Okay detective, da cosa l'hai capito?»
«Ti agiti, continui a guardare lo schermo del telefono come se aspettassi una chiamata e sbuffi. Prima che neghi, lo fai. Succede quando osservi le tue sorelle abbracciate ai mariti. Vuoi che continui o mi dici il suo nome?»
Stende le gambe reggendosi sui gomiti. «Sei perspicace. Joleen mi aveva avvertita», nervosa, accende una sigaretta, aspirando subito una lunga boccata. «Ma avevo già capito che sei tosta dietro quello sguardo da angelo non appena ci siamo incontrate. Per questo sei perfetta per Di», adagia la mano sulla mia spalla.
Notando che non demordo, storce le labbra. «E va bene, confesso. Ho litigato con una persona alla quale tengo molto. Risolverò non appena sarò uscita da qui».
Chiudo gli occhi. «Ho solo osservato. Proprio come tutti voi».
Arrossisce lievemente. «Mi dispiace per il loro comportamento».
Mi stringo nelle spalle. «Non è una grossa novità per me. Ci convivo da quando sono nata. A ogni modo, spero riuscirai a risolvere davvero con lei».
Regina mi dà una spallata affettuosa, spegne la sigaretta buttando fuori una nuvola di fumo. «Mi piaci, Eden. E se conosco ancora un po' mio fratello, piaci anche a lui. Solo... non spezzargli il cuore».
«È sempre stato così?», domando d'impulso.
«Iperprotettivo? Arrabbiato con il mondo? Spietato?», Regina conta tutto sulle dita della mano a ogni parola pronunciata, più che pronta a continuare.
«Direi stronzo».
Le sfugge una mezza risatina gutturale. «Pensi che lo sia solo perché ti tratta male? Si è sempre comportato come un bambino dispettoso. Pronto a tutto pur di primeggiare sugli altri».
In realtà credo lo sia perché mi sta facendo impazzire il suo modo di fare. «Ci sono attimi in cui penso di averlo raggiunto, di essermi insinuata nella sua vita e di avere trovato una sorta di tregua con lui. Poi però dice o fa qualcosa e subito dopo mi sento... così spaesata da spaventarmi», libero tutti i pensieri avuti nel corso delle settimane vissute insieme a lui.
«Dante è bravo a nascondere i propri sentimenti. Lui sente tutto, eppure si rifiuta di avvicinarsi ulteriormente a quelle sensazioni perché pensa che facendole entrare nel suo cuore, lo distrarranno fino a fargli commettere altri errori».
«Non so che cosa ho fatto per meritarmi la sua ira».
«Tu?», sgrana gli occhi. «Non hai fatto niente».
«Allora perché è così crudele?»
Regina indugia un po' troppo nel formulare una risposta coerente. Cosa mi nasconde?
«Dante non funziona come tutti. Lui dimostra di tenerci in altri modi».
«E come faccio a capirlo?»
«Se ti protegge anche quando non lo meriti perché lo hai ferito. Se si avvicina anche quando ti urla addosso di scappare. Se ti minaccia, lui...», smette per un momento di parlare per osservare la mia reazione. Con voce bassa, ridotta quasi a un sussurro, conclude: «Lui... lui non vuole altro che tu reagisca».
Il cuore prende a battere all'impazzata. Un tumulto che mi scalda il petto, le guance, ogni parte del mio corpo mentre rifletto sul significato delle parole di Regina.
«Pensi davvero che ci sia dell'altro a parte l'odio?»
«Per quanto tu sia attenta, sei un po' tarda quando si tratta di te, vero?», ghigna. «Dante non mette mai gli occhi addosso a qualcuno per cui non vale la pena lottare. Sei la sua Nemesi. Tu sei sua, lui vuole essere tuo. Ma non glielo permetti e questo lo manda fuori di testa».
Corrugo la fronte. Le guance ormai hanno preso il colore di un pomodoro maturo, le orecchie sono così calde da poterci cuocere un uovo. Perché mi sto agitando così tanto? Lui è il mio rapitore, non un amico, non un uomo di cui infatuarsi o fidarsi. Non posso lasciarmi convincere dalle parole della sorella.
«È così incoerente! Un vero casino».
Ridacchia. «Mettiti in fila, non sei l'unica a non capirlo fino in fondo. Adesso però devo proprio ubriacarmi. Parlare dei miei problemi sentimentali e di mio fratello mi ha messo a disagio. Che schifo!», arriccia il naso portando fuori la lingua in una smorfia tanto buffa da farmi quasi ridere. «Non voglio immaginare niente di inopportuno tra te e lui. Anche se è inevitabile dal modo in cui vi guardate».
«Cosa? Noi non ci guardiamo in nessun modo», ribatto, ignorando il batticuore che torna più energico di prima.
Regina inarca un sopracciglio con scetticismo evidente. «Non ci credi neanche tu», dice a denti stretti, guidandomi lungo il corridoio per tornare alla festa. Passiamo dalla cucina. Il ripiano dell'isola è colmo di buste e vassoi pieni di cibo. C'è un odore gradevole e invitante, un'aria accogliente che mi fa venire voglia di chiedere di restare.
«Nei sei attratta».
Non si sbaglia e non lo posso negare.

Cruel - Come incisione sul cuore Where stories live. Discover now