28. Un cielo stellato

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Elijah,

eri il principe azzurro della mia fiaba. Io però non sono mai stata una principessa.

Non lo sarò mai e non l'ho mai voluto essere.

Tu eri molto più di ciò che io potevo anche solo sognare, molto più di ciò che potevo bramare, molto più di ciò che meritavo.

Te l'ho detto: non ho sangue regale.

Ancora mi chiedo cosa tu ci abbia visto in me, il motivo per cui tra tutte le splendide creature che popolano la nostra dimensione, tu abbia scelto la peggiore.

Ti vorrei odiare, ti vorrei dimenticare, vorrei poterti incolpare per tutto ciò che è avvenuto.

Vorrei vendicarmi, ucciderti e riportarti in vita.

Riportarti da me.

Mi manchi da impazzire, amore mio. Mi mancano i tuoi baci gelidi, lo spettacolo di luci variopinte che le tue iridi irradiavano nel buio.

Lo vedevi il modo in cui ti guardavo? Come pendevo dalle tue labbra, come con poche parole tu riuscissi a irretirmi, a farmi scordare tutto il dolore, lo sfinimento, il senso di vuoto e di annichilimento che provavo?

Tu lo sapevi che ero già perduta? Che non possedevo più nulla, solo un padre che beveva troppo, una casa diroccata, mille debiti di gioco da saldare, due mucche malate da sfamare, un orto che non avrebbe più dato alcun frutto, terribili ricordi, rimorsi, rimpianti?

Mio padre ha innaffiato il nostro terreno con alcol e amarezza.

Elijah... ti sei preso gioco di me?

Se fosse vero, io non te lo potrei mai perdonare.



Tornammo al castello senza proferire verbo. Giunti alle stalle, mi cinse la vita tra le mani enormi, per aiutarmi a scendere. Era così sottile rispetto alla sua morsa che le punte delle dita si sfiorarono. Mi dovetti aggrappare al suo collo, un abbraccio indispensabile e alquanto imbarazzante vista la recente discussione che avevamo avuto. Una vampata di calore si diramò dal petto fino all'attaccatura dei capelli. I suoi muscoli si tesero, il cuore scalpitò contro il mio, un inseguimento veloce, senza alcun traguardo.

Avevo il suo odore addosso.

Pensavo che ne avrei avuto paura, che il retrogusto di camino acceso e fiamme ardenti mi avrebbero richiamato alla memoria i tragici istanti in cui ero stata arsa viva dalla magia.

Invece mi era mancato quell'odore, il retrogusto di mirtillo e d'afrore estivo.

Come mi erano mancati quegli occhi inquietanti, le ciglia corte e pallide, l'incarnato così cereo.

Chissà se ero stata davvero io, coi miei numerosi e incresciosi incidenti, ad averlo ridotto in quello stato. Avevo dato per scontato che fosse sempre stato così: un re subissato dal peso delle responsabilità, da una guerra incipiente, dalle trame di corte, dalla minaccia sempre più inarrestabile di una guerra contro il regno di Niegek.

Invece era stata una comune mortale.

Rientrammo a palazzo senza rivolgerci parola.

Lui andò dritto nello studio, io fui riaccompagnata nelle mie stanze.


Io e Anistamai eravamo due prigionieri rinchiusi nella stessa putrida cella.

Uno condannato dal destino, l'altra dal suo folle amore.

La PromessaWhere stories live. Discover now