12. Un guaritore

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Mi risvegliai nel mio letto della mia cella, spoglia e asfissiante, ma anche pulita.

Avevo le mani e i piedi legati con catene magiche alle sponde e indossavo una veste di seta bianca a maniche lunghe che mi arrivava fino alle caviglie. Sotto di essa diverse fasciature mi avvolgevano la pelle nuda.

Strillai con quanto fiato avevo in gola, cercando di liberarmi. Mi divincolai, mi contorsi finché non percepii alcune ferite riaprirsi, il sangue umettare la camicia da notte, la gamba destra cedere, una costola incrinarsi in un dolore atroce.

Qualcuno spalancò di colpo la porta della cella che sbatté contro il muro. Biascicava a gran voce parole demoniache che sembravano bestemmie.

«STUPIDA!»

Khlo si gettò su di me, e mi abbracciò forte per contenere il mio panico autolesivo.

I suoi capelli verdi mi finirono sul volto, un manto erboso che profumava di fiori di campo e tisana alla camomilla.

Mi placai.

Lei si scostò. I suoi occhi di smeraldo brillavano di tristezza.

«Stupida che non sei altro! È un miracolo che tu sia viva. Non sai quanto ho pianto... sarei tornata questa mattina, quando la tua punizione fosse giunta al termine! Invece no, tu hai scelto di gettarti dalla finestra, impiccandoti con una corda che fortunatamente si è spezzata. Stupida... non ho mai pianto così tanto per nessuno. Nemmeno per mia madre.»

Ero così esterrefatta che per una volta rimasi muta. Il mio sguardo si posizionò sulle manette che mi inchiodavano al letto, lei intuì subito a cosa stessi pensando.

«Una precauzione. Sono stati obbligati. Hanno paura che tu possa commettere un altro gesto insano. È servita una notte intera per guarirti e guarda qua: alcune ferite si sono riaperte!»

Si asciugò le lacrime nella tunica sgualcita.

«Perché tieni così tanto a me?»

Non mi fidavo di lei, non ancora, e tutta quella commozione mi pareva ingiustificata.

Mi scrutò in cagnesco, poi tamburellò due volte sul suo collo. Comparve una sottile gorgiera dorata.

«La vedi questa? Rimarrà qui finché non avrò scontato la mia pena. La pena che avrebbe dovuto scontare mia madre. Quarant'anni di servizio in questo palazzo.»

Ammutolii. Trovarmi legata al letto non mi sembrava più un destino così atroce.

«C-cosa ha fatto tua madre? E perché la devi scontare tu?»

«Funziona così nel nostro regno: i figli pagano i debiti dei genitori. Mia madre fu condannata a duecento anni di servizio per aver rubato una collana alla somma regina. Ne scontò solo un centinaio, poi morì a causa di un incantesimo che le si ritorse contro, una brutta trama di corte, un intrigo di cui adesso non voglio parlare. Io ero la sua unica figlia, noi creature magiche non siamo prolifiche. Per questo presi il suo posto. Il nostro nuovo re fu clemente, mi dimezzò la pena: cinquant'anni. Dieci ne ho già scontati.»

Tamburellò di nuovo sul collare, che scomparì nel nulla, seppur rimanendo lì dov'era, come le mie catene.

«Tutto questo per un gioiello?» La regina era spietata, ma non pensavo fosse anche avara, non fino a quel punto! Non con il suo stesso popolo, per lo meno.

«Per te duecento anni sono un'infinità di tempo, ma per noi non è una condanna grave. Inoltre era una collana magica. Chiunque la indossasse poteva giacere col compagno prediletto. Ma se la sfilava durante l'atto, quello moriva all'istante.»

La PromessaWhere stories live. Discover now