14. Una prigioniera

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«Spiegami cosa esattamente non hai compreso di: "tieni un profilo basso e non mostrarti arrogante?"» Khlo, armata di spazzola, mi strigliò un nodo con più violenza del necessario e io gemetti più del dovuto, mettendo poi il broncio allo specchio.

«Non ho maledetto nessuno, però» provai a rabbonirla, ma le sue orecchie lanose erano in allerta e le sopracciglia verdi ben arcuate.

«Il re è buono e giusto, ma è pur sempre un re, V., e non dovresti tirare così tanto la corda. Perché non riesci a capire? Io davvero a volte...» Le sue mani incedettero sulle mie spalle, la sua pelle sbiadì in un pallido verde acqua.

Perché si stava affezionando così tanto a me? Proprio non riuscivo a comprenderlo, non mi pareva normale, io di sicuro non la ricambiavo a sufficienza. Certo, era la prima demone ad avermi trattata con affetto e rispetto, forse anche l'unica. Però non mi pareva normale, non mi riuscivo a fidare.

Aliena, quegli occhi tondi, il collare che ogni tanto si illuminava quando per errore si sfiorava il collo con le dita...

«Perché il re indossa una maschera?» irruppi, seguendo il fluire ribelle dei miei pensieri.

«Ecco, questo è il genere di domande che non devi fare. Mai!»

«Sì, ma perché...»

«Non lo so, V., forse per incutere più timore. Forse col suo vero aspetto non si sente all'altezza della sua posizione. Non doveva divenire lui, re, era quarto in linea di successione. Pettegolezzi di corte sostengono che abbia chiesto alla sorella di sostituirlo, ma lei vi aveva già rinunciato. È molto giovane, ha vissuto in guerra gran parte della sua vita.»

Non avrei saputo stimare la sua età. Mi pareva solo un ragazzo, ma anche Khlo mi sembrava una fanciulla e invece doveva avere più di cinquant'anni.

«Come si chiama?» Di nuovo le setole si impigliarono nella mia chioma.

«Altra domanda che non devi mai porre a un demone. Mai! È irrispettoso. I nostri nomi sono nella nostra lingua, sono magici. Vincolanti.»

«Ma tu mi hai detto subito il tuo...»

«V., ti prego, promettimi che oggi ti comporterai bene, che non farai scenate, che terrai la bocca chiusa, che non ti metterai nei guai.»

Si era inginocchiata davanti a me e mi stringeva le mani in grembo.

Qualcosa nel mio petto ebbe un singulto.

Le accarezzai una guancia, era liscia e calda, era umana.

«Lo sai che le mie promesse sono tutte vane.»


Mi fecero indossare un abito dorato appartenente a un'altra epoca, molto distante da Nöa. Aveva un corsetto così stretto che quando me l'allacciarono temetti di soffocare, le stecche tiranneggiavano le viscere, riducendo la circonferenza del mio addome e pronunciando la scollatura fin troppo generosa. La gonna a campana terminava con un volant di pizzo, vanesio come quella cerimoniosità a cui ero costretta.

I capelli mi furono raccolti in una crocchia sulla nuca, i boccoli cadevano con eleganza sulla spalla sinistra, sospesi a metà da una spilla di roselline d'oro.

Un'impostora, il riflesso decantava un'immagine a me avversa, rarefatta, ipocrita.

Non Vandelia di Is Nöa, ma la promessa sposa del Principe di Niegek.

Una prigioniera politica.

Mio padre era morto e io mi aggiravo per un palazzo vestita a festa.

Mio padre era morto ed Elijah forse nemmeno lo sapeva.

La PromessaWhere stories live. Discover now