1. Un amante segreto

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Stava già calando anche il secondo sole.

Distese su un prato di papaveri, io e le mie amiche osservavamo le nuvole scorrere lente nel cielo azzurro, inventandoci storie arzigogolate su improbabili profezie che esse potevano manifestare con le loro forme burrose ed evanescenti.

Leon e Lupus giocavano con una palla di cuoio, troppo poco distanti. Orso, con la fronte imperlata di sudore, si stava lamentando alacremente da almeno mezz'ora. Non lo lasciavano partecipare.

«Io e Leon ci sposeremo, mi sembra evidente. Vedi quella nuvola? Quella è la carrozza che mi condurrà all'altare, quella foschia là in fondo rappresenta il mio velo e la luce dorata che filtra da quelle nubi all'orizzonte rappresenta... beh, rappresenta la purezza del nostro amore.»

«Sei così prevedibile e priva di fantasia che nemmeno ti sto a sentire» sbuffò Ortensia, da sempre innamorata di Leon.

Rosaspina le tirò una gomitata sul fianco, mentre Liliana rideva sul palmo della mano.

Mi rialzai, stiracchiando le membra indolenzite. Ebbi un capogiro: fissare troppo a lungo il cielo mi dava sempre una sensazione di annichilimento.

«Dove vai?» mi chiesero tutte e tre in coro.

Da lontano scorsi Leon che fermava col tallone la palla e mi scrutava torvo.

«Ho un appuntamento» cinguettai ad alta voce, in modo che anche i ragazzi potessero udire.


Dovrei fare alcune precisazioni, a questo punto: nella mia storia darò per scontati molti dettagli. Non lo farò apposta, semplicemente per me sono così assodati, così soporiferi, che non mi fermerò a rifletterci più di tanto.

All'epoca vivevo nell'arcipelago delle Gemme Sacre. Nöa era una delle isole minori. Si affacciava sul mare del Nord, con la sua forma a cuore, le miniere sotto le montagne, i vasti campi verdeggianti e le fitte foreste per lo più semi-abbandonate.

C'erano due villaggi, il mio e la capitale dell'isola, Ehn Nöa.

Purtroppo ero nata in quello secondario, Is Nöa, il più povero, in cui alle bambine davano per lo più nomi di fiori e ai maschietti nomi di animali, in cui i figli maschi o raccoglievano il carbone o allevavano bestie da soma e le figlie femmine o divenivano sarte o andavano in moglie al miglior offerente.

«Con chi? Ancora quell'uomo?»

Cercai invano di aggiustarmi il vestito spiegazzato.

«Non sono affari che vi riguardano» le ammonii, fingendo noncuranza nei confronti dell'attenzione che volontariamente avevo convogliato su di me.

«Ma si può sapere chi è costui? È sposato? Fa parte del villaggio? È uno straniero? Un forestiero? Come si chiama? Da dove viene?»

Quelle domande, più volte ripetute fino allo stremo, negli ultimi mesi, mi fecero sorridere.

Incrociai di nuovo lo sguardo triste e accigliato di Leon.

Il mio cuore si rattrappì in un rimprovero silente.

«Devo andare, sono in ritardo.» Mi pettinai rapida i lunghissimi capelli castani che scendevano fino al fondoschiena, in un flusso di onde che facilmente si aggrovigliavano tra loro.

«V., non sarà pericoloso?»

Rosaspina mi aveva bloccata per il gomito. Nei suoi occhi turchesi lessi una preoccupazione quasi materna, nonostante avesse su per giù un paio di mesi in più di me.

Le feci l'occhiolino.

«Ora devo proprio scappare.»

«V.!» mi richiamarono le mie amiche in coro, mentre i ragazzi restarono a studiarmi muti, senza il coraggio di interporsi tra me e il mio folle e sconsiderato amante misterioso.

La PromessaWhere stories live. Discover now