Arya

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Passarono un paio di giorni da quella notte. L'incubo questa volta riguardava mia madre, la vedevo lì in piedi nel corridoio del secondo piano, con la camicia da notte rossa e i capelli ramati legati in una treccia.

Sorrideva, bella come sempre, allargava le braccia per invitarmi ad andarla ad abbracciare. Corsi verso di lei e improvvisamente mi ritrovai nel corpo di una piccola Arya, la strinsi forte tra le mie piccole braccine.

Un attimo prima ero con lei felice nel corridoio e l'attimo dopo abbracciavo tra le lacrime il suo corpo, disteso sull'erba dipinta di rosso dal suo stesso sangue. Mi disperavo e urlavo il suo nome.

"Perché non mi rispondi?" dicevo tra i singhiozzi "Te ne stai andando? Mi stai abbandonando?" ma lei non mia aveva mai lasciata sola, mi aveva sempre salvata da quella vita di merda che dopo quella notte sarebbe toccata a me.

Nel sogno mio padre mi prese per un braccio e con uno strattone mi allontanò dal corpo della mamma. Io mi ribellai, non volevo andarmene, dovevo restare con lei.

Non era la prima volta che facevo quel sogno, e tutte le volte mi risvegliavo in preda ad un attacco di panico. Non mi importava granché, infondo nessuno mi vedeva e sentiva in quei momenti che mi rendevano fragile, indifesa.

Ma questa volta era successo davanti a Logan e questo non lo sopportavo.

Aveva visto la parte distrutta di me, quella impossibile da riparare.

Quella mandata in frantumi da un uomo in una sola notte.

Ero rotta, un difetto. Le emozioni come paura, amore, felicità avevano lasciato il mio corpo da allora e non credo faranno più ritorno.

Il alto positivo di tutta quella storia: Logan non ne aveva più parlato, e lo ringraziai per questo. Nessuno sapeva del mio difetto e nessuno lo doveva sapere, al massimo, sarei stata io a decidere se dirlo e a chi dirlo.

Quel giorno avevo deciso di girare la città da sola, immersa nei miei pensieri.

Camminai per un'ora buono, finché qualcuno non venni richiamata dalla voce di un uomo.

-Arya? Sei tu? – mi voltai verso il vecchio signore che stava attraversando la strada per venire verso di me. – Per Dio, non ti vedo da secoli! Come stai? –

-Dottor Kulsen? – riconobbi il mio medico. Mi spuntò un sorriso sincero sulle labbra. – Sono passati... ehm, quanti anni? – feci un rapido calcolo. – Dodici anni! –

-Davvero così tanti! – rise. – Non ti ho più vista in città. Ti teneva chiusa in casa fino ad oggi? O ha aspettato di darti in moglie a qualche uomo orribile quanto lui? –

Risi un po' forzatamente. – No, sono andata via. Da dieci anni. – lei sue sopracciglia bianche scattarono in alto. – Sono qui per lavoro. E prima che me lo chieda, niente marito e niente fidanzato. – chiarii prima che potesse aprire bocca. Era un po' come un nonno per me, lo conoscevo da quando ero nata. Infatti dopo due ore dalla mia nascita fu proprio lui ha dare ai miei la notizia che cambiò le loro vite. O le condusse alla fine.

-E, come va con... - chiese abbassando la voce, un po' imbarazzato.

-Alla stra grande, sto molto meglio. – bugia.

Il sorriso del dottor Kulsen si allargò ancora di più. – Bene, sono felice. E dimmi un po', che lavoro faresti? –

-La giornalista. – buttai lì il primo lavoro che mi venne in mente. A furia di spacciarmi una di loro, prima o poi lo sarei diventata. In effetti ero brava a scovare informazioni, magari, dopo, avrei provato a fare domanda ad un giornale.

-Dottore! Il paziente è arrivato! – gridò quella che presupposi fosse l'infermiera dalla parte opposta della strada.

-Devo andare, stammi bene, Volpe. – mi salutò con il nomignolo con cui mi chiamava la mamma.

-Volpe, eh? Mi piace, forse inizierò a chiamarti così, in fondo sei molto più astuta di loro. – mi schernì Logan. Era arrivato da dietro le spalle e non l'avevo sentito. Se fosse stato uno degli altri assassini ora sarei già morta.

Avevo abbassato la guardia, grosso errore per una come me.

Ripresi a camminare. - Non ti azzardare. –

Lui mi seguì. – Chi era il vecchio? – chiese indicando la clinica del dottor Kulsen.

Ignorai la domanda. -Avevo chiesto di restare sola. –

-Lo so. – sospirò. – Ma sai com'è, sono le otto di sera passate e non ti facevi vedere. – le otto passate! Ero stata via così tanto! – Ness ha iniziato a dare di matto, diceva cose come: l'hanno uccisa, lo sapevo che non dovevo mandarla sola. Oppure: sono una pessima amica e l'ho lasciata morire da sola. –

Risi. – Ness in effetti è un po' catastrofica su certe cose. Non potrei mai farmi abbattere da uno di quegli assassini da quattro soldi. –

Logan si infilò le mani in tasca. – Lo credo bene. Quindi per farla smettere di frignare, e anche perché le mie orecchie non ne potevano più, ho dovuto prometterle che sarei venuto a recuperarti. –

-Grazie, ma non voglio tornare. – dissi impettendomi.

Lui sospirò. – L'avevo immaginato. E, dimmi, Volpe, dove vorresti andare? – mi aveva davvero chiamata così?!

-Non. Chiamarmi. Così. – ringhiai. – E non ti importa dove voglio andare. –

-Allora dovrò avvertirti che non appena tornerò alla villa Ness passerà la notte a cercarti come un segugio, e, finché non ci riuscirà, non si fermerà. –

C'era il serio rischio che per venirmi a riprendere, avrebbe cercato fino alla città accanto.

Ormai esasperata, cedetti. – Di alla mia amica iper protettiva che passerò la notte in quella locanda, - indicai la modesta palazzina dalla parte opposta della piazza. – e che voglio solo dormire in pace per una volta, fami una doccia e infilarmi a letto senza di te che mi dai fastidio. –

Sul suo volto spuntò un sorriso. – Vabbè, glielo riferirò. – detto questo scomparve nel nulla.

Finalmente sola nella mia piccola stanza pagata pochissimo, mi recai in bagno aprendo l'acqua e accorgendomi solo all'ora che non avevo nulla dei miei prodotti per il bagno. E neanche il guanto impermeabile.

Vabbè, mi sarei immersa solo nell'acqua calda e mi sarei rilassata. In fondo mi ero lavata quella mattina.

Proprio un attimo prima di mettere piede nella vasca, bussarono alla porta.

Pensavo fosse la ragazza alla reception, invece...

academy of murderersWhere stories live. Discover now