Logan

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Dieci anni prima.


Non mi piaceva la pioggia. Non potevo uscire in cortile a giocare con gli altri. Però, dopo era pieno di fango e con i miei amici ci divertivamo ha saltarci dentro.

Quella volta, però, non avrei potuto fare nulla.

Ero seduto sul mio letto, con pesanti coperte che mi coprivano le gambe. Sul comodino c'era una tazza ormai fredda di camomilla.

Guardavo fuori dalla finestra, vedevo la pioggia scendere e colpire il vetro, quando qualcuno entrò nella mia cameretta.

Papà aveva un vassoio tra le mani. – Come stai oggi, campione? – mi chiese allegro e con un grande sorriso.

-Benissimo, non ho più la febbre! – esclamai.

Lui posò il vassoio sulla piccola scrivania vicino al letto. – Non hai bevuto nulla, vedo. – si era accorto della tazza piena. Non ne avevo toccato neanche un goccio, mi faceva schifo quella roba. Aveva il colore e l'odore della pipì.

Misi il broncio. – Non la voglio! – esordii.

Lui sospirò, esasperato. – Logan, devi berla se vuoi guarire. -

-Ma sto bene! –

Lui mi toccò la fronte con la mano. Poi fece una smorfia. – Scotti ancora. Mi dispiace ma anche domani starai a letto. –

No, domani no.

-Ma voglio conoscere la nuova! – mi lamento.

Papà aveva detto pochi giorni prima che ci sarebbe stata una nuova bambina in accademia, aveva detto che era molto intelligente.

Volevo conoscerla.

Lui riprese il vassoio e lo poggiò sulle mie gambe. – La incontrerai per i corridoi, ora mangia. – disse indicando il piatto di brodo di pollo fumante.

Ancora ammusonito presi una cucchiaiata, ci soffiai sopra per freddarlo, e lo mangiai.

La cucina di Poppy era la migliore!

Papà mi scompigliò i capelli. – Ti avevo detto di non correre fuori quando piove che poi ti ammali, ma tu non mi ascolti mai. Sei peggio di tua madre. -si accorse troppo tardi di aver detto troppo.

-Dov'è la mamma? – chiesi. Era la stessa domanda che gli facevo appena mi veniva in mente l'argomento.

Lui scosse la testa. – La mamma non fa più parte della nostra vita. –

-E' morta? –

Non rispose. Prima di andarsene mi guardò. – Finisci il brodo. –

Due giorni dopo finalmente fui scarcerato.

Aveva smesso di piovere ormai da tantissimo e le pozzanghere erano asciutte.

Stavo andando a lezione quando incrociai Kai e Vanessa.

-Ciao! – li salutai sorridente. Ricambiarono il saluto.

Con loro c'era anche una ragazzina dai capelli rossastri. – Ciao anche a te! – lei non mi rispose. Sembrava una bambola con quella carnagione di porcellana.

-Lei è Arya, la nuova. – disse Kai. – Non parla molto. –

-Oh. – dissi solo. – Va bene, ci vediamo! – corsi verso l'aula. Ero già in ritardo, avrei avuto tempo per presentarmi con calma.


Nove anni dopo.


-Non è giusto, tu bari! – l'accusai, indignato.

Lei scrolla le spalle. – No, fattici l'abitudine, sono migliore di te. – mi beffeggiò lei.

Guardai lei, poi il bersaglio alla fine del corridoio dove c'erano cinque coltelli conficcati al centro e altri cinque sparsi qua e là (quelli al centro erano suoi, ovvio). – Fottiti! – e me ne andai.

-Quella è una vera stronza! – stavo disintegrando il pane per quanto stringevo la mano.

Ero seduto in sala mensa con i miei amici.

-Già. – conferma Simon difronte a me.

-Grazie... -

-Però una botta gliela darei. – prosegue Michael.

A quel commento mi pietrifico. – Come? –

-Si, bè, è bella, tosta e Jim ha detto che è fantastica a letto. –

Sentii una starna rabbia montarmi dentro. – Continuo a non capire. –

Lui sospira. – Amico, cazzo, ma l'hai vista? –

-Si, e allora? – dissi con non curanza.

Michael strabuzza gli occhi. – Allora!? Sei cieco!? Per una così farei i salti mortali, anche se fosse per una botta e via. –

-Ehi. – fa Dylan. – Secondo me sa fare certi servizietti con la... -

Sbatto le mani sul tavolo alzandomi. Era troppo. -Non dire più una cosa simile! – gli punto un dito contro. – Nessuno di voi osi toccarla, o avere certi pensieri su di lei! –

Simon alzò gli occhi al cielo. – Dai, Log, stavano scherzando. –

Me ne sbattevo il cazzo dei loro scherzi. – Statele lontani. – ringhiai prima di andarmene.

Camminavo per i corridoi bui quando la incrociai seduta sulle scale. Stava scrivendo qualcosa sul suo quaderno. Quando mi sentì arrivare alzò lo sguardo.

Per un secondo i suoi occhi si inchiodarono nei miei, quasi volessero scavarmi dentro, inconsapevoli di essere già impressi nella mia mente.

Poi fece la cosa che meno mi sarei aspettato che facesse. Mi sorrise. E non come quelli che mi rivolgeva sempre, beffardi e di scherno. Era stranamente felice quel giorno.

Era il primo vero sorriso che mi rivolgeva da quando la conoscevo. Ed io me ne drogai finché non riportò lo sguardo sul suo quaderno, per poi ignorarmi per la seguenti settimane.

academy of murderersWhere stories live. Discover now