Logan

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Non feci in tempo a fermare quel pensiero che già si era impresso nella mia mente.

Non sapevo cosa mi stesse succedendo, avrei dovuto scansarla, ritornare su quel maledetto divano, ma il mio corpo me lo impediva. Era la sensazione più bella del mondo, stare lì sdraiato ad accarezzarle i capelli nella pace della notte... era bellissimo.

Arya mise una mano sul mio petto, sopra il cuore. Quel bastardo iniziò a battere all'impazzata, manco avessi corso una maratona.

-Batte normalmente. – quelle parole, praticamente sussurrate e impastate dal sonno, mi paralizzarono.

Per un solo secondo tutto in me era immobile. Dopo quell'attimo ripresi a carezzarle la testa. – Perché, il tuo non lo fa? – avevo paura ad aprire bocca, non mi fidavo della mia voce in quel momento, poteva tradirmi.

Lei prese a muovere impercettibilmente le dita sulla mia pelle. – No, è più irregolare, il battito. –

Il silenzio si spanse tra di noi come una macchia d'inchiostro. Fu Arya la prima a parlare. – Con mia madre facevamo questo tutte le notti. –

La guardai. – Questo, cosa? –

Non si mosse. Avevo sempre notato della sua capacità di restare immobile e di non farsi sentire. – Questo. Lei che mi accarezzava i capelli per farmi dormire. – feci ricadere la mano, immediatamente. – No, continua. Mai piace, anche se sei tu a farlo. – io però non mi mossi. – Solo per questa notte. –

Mi morsi un labbro ma tornai ad accarezzarle i capelli. – Solo per questa notte. – deglutii.

All'improvviso sentii come un milione di cavalli che galoppavano nel mio stomaco. Era una sensazione nuova.

Mi stavo ammalando? Oddio, forse avrei fatto meglio a far curare meglio la ferita.

Come se mi avesse letto nella mente, Arya chiese: - Che cosa ti è successo al braccio? –

Guardai la fasciatura che copriva la ferita. – Nulla. –

-Non è vero. –

Sospirai. – Nulla, sul serio. Sono... ehm... caduto. – solitamente ero così bravo a mentire, perché ora non ci riuscivo.

-Mh. – non sembrava convinta ma non replicò più.

Il silenzio invase la stanza. Non finchè lei non girò la testa per guardarmi.

Due occhi diversi incontrarono i miei. "Bellissimi" fu la prima cosa che pensai guardandoli.

Avrei voluto sprofondare in quel mare color smeraldo e ambra.

-Domani iniziamo a mettere in atto il piano. – disse lei con un filo di voce.

Annuii. – Si, ora dormi. – era davvero tardi e noi eravamo lì per lavorare, non per divertirci.


ARYA

Il mattino dopo mi risvegliai sola nel letto. Avevo ricordi appannati di quello che era successo la notte prima. La stanchezza li aveva cancellati come la maestra che cancellava la lavagna alla fine delle lezioni. Come lo sapevo? Non lo so, io a scuola non ci sono mai andata.

Il rumore dell'acqua, proveniente dal bagno, mi svegliò completamente.

Logan uscì completamente fradicio e con solo un asciugamano addosso. – Buongiorno! – esordì sorridente.

-Ti prego, dimmi che non sei nudo e che là sotto hai le mutande. – pregai che le avesse.

-No, sono come mamma mi ha fatto. – sorrideva ma il suo sguardo era vuoto. Anche io sentivo una morsa nel petto.

-Che stai facendo!? – spalancai gli occhi allibita quando l'asciugamano che gli copriva la vita cadde sul pavimento.

Ora era fradicio e nudo davanti a me. E io vedevo ogni cosa.

Che schifo! Cioè, non era affatto messo male, la sotto, ma... che schifo!

Feci una smorfia e mi coprii con il cuscino. – Cosa ho fatto di male per meritarmi te! – mi lamentai.

-Ma se sei la persona più fortunata del mondo. – rispose lui. – Condividi il letto con l'uomo più desiderato dell'intera accademia. – emisi un ringhio di frustrazione e Logan ebbe la sfacciataggine di ridere. Gli lanciai il cuscino, che lo colpì in pieno. Grosso errore, era ancora nudo.

-Ci metti sempre una vita per metterti un paio di mutande o lo fai apposta? –

Mi lanciò uno sguardo eloquente. – Te l'ho detto, sei fortunata, non tutte hanno la possibilità di ammirare tutto questo. –

Alzai gli occhi al cielo. – Se non chiudi quella bocca, la prossima cosa che ti lancio sarà un mattone! – no sapevo dove trovarne uno, ma l'avrei trovato, anche a costo di smontare quella villa.

-Siamo nervosette oggi, ti preferivo ieri notte. – replicò infilandosi i pantaloni. Finalmente!

I vaghi ricordi della sera prima mi riaffiorarono in mente. Mi grattai la testa, con il viso in fiamme. – Per quanto riguarda ieri... io... -

-"Solo per questa notte", ricordi? – fece lui con la testa china nell'armadio. - Non ne parlerò più. –

Annuii sollevata.

Anche se... mi ero sentita al sicuro stretta nelle sue braccia. Avrei voluto restare così per giorni e giorni e...

Ma che cazzo di pensieri avevo per la testa?!

La risata di Logan mi riportò al presente. – Sembri un peperone! – mi schernì.

Mi ributtai sul letto, sbuffando e tirandomi le coperte sulla testa. – 'Fanculo! –

La porta si aprì. – Grazie, 'fanculo anche a te. Senti, per quanto mi diverta a stare qui a urlarci contro, ora dovremmo andare. – e si chiuse la porta dietro.

Vorrei tanto strangolarlo, ma vorrei evitare di sporcare la camicia da notte della mamma di sangue.


Mio padre non aveva segreti, a parte uno: me.

E mi nascondeva anche bene, visto che nessuno sapeva della mia esistenza, a parte la figlia della nostra vecchia domestica.

Ero come un seme che non era ancora germogliato, nessuno sapeva di lui, sotto strati e strati di terra, ma c'era, pronto a sbocciare e diventare un fiore bellissimo e forte.

Io ero proprio come quel seme; nascosta sotto mille bugie. Ma non sarei ami diventata un bel fiorellino. Io ero un'erbaccia che doveva essere estirpata.

Non avevo mai vissuto a pieno la mia vita, d'altronde come potevo, passavo le mie giornate ad uccidere per conto di un pazzo. Il mio stupidissimo difetto mi impediva di fare tante cose: non dovevo stancarmi troppo, dovevo stare attenta a non farlo battere troppo velocemente. Insomma, la mia è stata una vita orribile.


Avevo sempre odiato tutto di me.

O al meno, mio padre mi aveva portato ad odiarmi. Non gli piaceva niente del mio aspetto.

Il colore dei miei capelli, la carnagione pallida, le miriadi di lentiggini.

Ma una sola cosa di me non riuscivo a detestare: gli occhi.

Erano la cosa migliore di me, così diversi da tutti gli altri. Mi facevano sentire... unica.

La mamma diceva che erano gli occhi delle fate.

Mi raccontava storie su di loro, piccole creaturine che vivevano nei prati.

"Possono sembrare fragili, ma la loro forza è tutta qui" diceva la mamma puntandomi un dito sulla testa. "e qui" sul cuore.

Io l'avevo guardata e le avevo risposto: "Ma il mio è rotto, non posso essere una fata. "

Lei aveva sorriso, un sorriso dolce e genuino. "Si, lo è, però non significa che non sia meno forte, mia piccola volpe."

Io le credetti.

Credetti sul serio che fosse forte.

Ma, a quanto pare, non lo era abbastanza. 

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