75. Aria di partenza

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"Sei proprio sicura che non te ne pentirai? Ti sta davvero bene così?"

Erano trascorse altre due settimane dal giorno in cui Lucynda e Daven si erano segretamente confessati i loro sentimenti: quella era stata la prima e l'ultima volta che ne avevano parlato insieme. In seguito, avevano continuato le loro passeggiate nei dintorni di Fair Stone Bourgh da buoni amici, senza mai sollevare l'argomento; tuttavia, per entrambi non era facile comportarsi come se nulla fosse accaduto, soprattutto quando si trovavano da soli e lontani da occhi indiscreti. In tali occasioni Lucynda si sentiva sempre molto tesa e di umore altalenante; nonostante la situazione, era ancora emozionata e felice di poter passare del tempo con Daven, però non poteva evitare di essere anche malinconica e preoccupata. Restando per lo più in silenzio a osservare la natura circostante, essi godevano comunque della tacita presenza reciproca, come se le parole fossero superflue tra di loro, ma percepivano con vibrante intensità il fatto che l'atmosfera che respiravano non fosse più tranquilla e serena come prima: non era possibile tornare indietro e nessuno dei due, in verità, si illudeva di riuscirci. Talvolta, come al solito Daven interrompeva il cammino per mostrare alla ragazza una pietra che lei non aveva ancora visto e spiegarle le sue caratteristiche con il consueto tono paziente e gentile, almeno in apparenza. In realtà, a Lucynda non sfuggiva che egli fosse spesso distratto, più conciso e un po' distaccato, come se si stesse sforzando di affrontare un compito che si sentiva in dovere di compiere, ma che gli pesava. Dietro ogni sua parola, lei avvertiva il peso di cento parole non dette, la presenza ingombrante e tangibile di frasi che si erano promessi di non pronunciare mai più, ma che aleggiavano inevitabilmente tra di loro. Stavano entrambi recitando, non solo di fronte alle persone che non volevano deludere o alle quali non volevano causare problemi, ma anche quando si trovavano a tu per tu, fingendo che fosse facile scordare le ore passate vicino alla sponda del Bluemön, fingendo che nulla fosse iniziato e che nulla fosse finito. Però, dentro di sé, tutti e due sapevano che non erano più quelli di prima, che tutto era cambiato e faceva male sia averne la consapevolezza sia restare fedeli alla decisione di lasciare le cose come stavano. Tante volte Lucynda avrebbe voluto riprendere il discorso e chiedergli se fosse assolutamente sicuro di volersi sposare con Nilda, di poter dimenticare lei e di non avere rimpianti in futuro. Desiderava domandargli se egli fosse proprio convinto di poter imparare ad amare la sua amica d'infanzia, perché allora - pensava talvolta con indispettita amarezza - il sentimento che aveva detto di provare per lei non poteva essere definito Amore. Forse, lei gli piaceva davvero, forse lo attraeva con la sua dolcezza, con il suo buon carattere, con i suoi modi di fare, nella più assurda delle ipotesi - visto che non si considerava bella - anche fisicamente, ma non la amava quanto lei amava lui. Non osava, però, parlare per prima, poiché aveva fatto un patto e temeva che affrontare di nuovo l'argomento li avrebbe soltanto portati a litigare.
Data la situazione, le loro uscite a due si fecero sempre più brevi e rare: preferivano stare insieme ad altre persone come Gremilda o i loro ignari padri, ai quali si aggregarono per qualche giro in montagna non troppo impegnativo, piuttosto che sopportare la tensione di rimanere soli. Mentre Lucynda aveva paura di addolorare Daven e di farlo arrabbiare, egli, al contrario, temeva di tornare sulla sua decisione, perché aveva la consapevolezza che l'amore che provava per lei l'aveva reso debole e insicuro, tanto che di notte non riusciva a prendere sonno. Si chiedeva con ansia se avesse fatto la scelta migliore o persino se dovesse domandare il parere di qualcuno. Ma di chi? Parlarne a Lucynda era fuori discussione: non voleva più vederla piangere e non era il caso di illuderla, non se lo meritava. Doveva rivelare tutto a suo padre? Sotto sotto, Harden era un romanticone e sapeva già perfettamente cosa gli avrebbe consigliato: prima, gli avrebbe dato dello stupido, poi gliene avrebbe dette quattro, assalito dal dubbio che lui avesse toccato la preziosa e innocente figlia dell'amico anche solo con un dito; infine, dopo aver appurato la sincerità e la reciprocità del loro amore, gli avrebbe dato una vigorosa pacca sulla spalla, esortandolo a seguire il suo cuore e a non perdere l'occasione d'oro che gli aveva riservato il destino. Suo padre pensava sempre alla sua felicità prima di ogni altra cosa e lo avrebbe rassicurato assicurandogli che avrebbero trovato un altro modo per sciogliere la maledizione. No, non poteva decisamente parlarne con lui, doveva mantenere i piedi per terra e accettare la realtà; teneva troppo al futuro e al benessere del villaggio per tornare sui propri passi. Del resto, era certo che Nilda, a suo modo, l'avrebbe reso felice; sarebbe stato un genere di felicità tranquillo, modesto, tutto sommato appagante e avrebbe risolto i suoi problemi. Oppure, doveva rivolgersi a Virna? Chiederle se, a parer suo, potesse esistere sul serio un'altra soluzione? Ma neanche per sogno! Con una sola occhiata, lei avrebbe capito che si era innamorato di Lucynda e avrebbe alzato le spalle sospirando fastidiosamente e sostenendo che la scelta spettasse soltanto a lui; in fin dei conti, lei l'aveva già avvertito. Pertanto, egli, giorno dopo giorno, diventava sempre più taciturno e pensieroso, pieno di dubbi, eppure risoluto nella decisione presa; Harden, accorgendosi del suo stato d'animo, lo attribuì semplicemente al nervosismo per le nozze imminenti. Dunque, il giovane non aveva più sfiorato Lucynda, neanche per sbaglio; stava sempre attento a non starle troppo vicino, nonostante si sentisse costantemente attratto dal suo dolce profumo di fragola e dal suo splendido sorriso, nonostante smaniasse dalla voglia di baciarla, abbracciarla e persino farla sua. Non sapeva nemmeno lui come riuscisse a dominarsi e cominciò a desiderare vivamente che Nilda si sbrigasse a finire il suo abito, per poterla sposare al più presto. Ormai, gli avevano riferito che le mancavano soltanto gli ultimi dettagli e che lei stessa si meravigliava di quanto fosse stata capace di fare: conoscendola, di certo la ragazza non vedeva l'ora di completare la propria opera, non tanto per sposarsi, quanto piuttosto per non dover più cucire niente del genere per tutto il resto della sua vita. Beh, parlarne con lei era rischioso: era pronto a scommettere che gli avrebbe tirato una padella in testa e che si sarebbe arrabbiata come una furia per il fatto che lui non avesse interrotto subito la sua rognosa attività di cucito appena si fosse reso conto di essersi innamorato di un'altra e l'avesse anche solo sfiorato l'idea di mandare a monte le nozze. Considerato tutto ciò, la sua amica d'infanzia risultava paradossalmente la persona migliore a cui rivolgersi, ma più passavano i giorni e più gli mancava proprio il coraggio; non se la sentiva di causarle un dispiacere, anche se sapeva che la sua futura sposa gli voleva bene e che gli avrebbe consigliato di non lasciarsi scappare una ragazza d'oro, carina e gentile come Lucynda. Anzi, era più che probabile che avrebbe commiserato quest'ultima, dicendole scherzosamente che avrebbe potuto trovare un migliore partito rispetto a lui.

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