69. Un amore per Lucynda

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Come aveva annunciato, Lucynda si mise a fare del blando allenamento rimanendo vicina all'abitazione di Gremilda, sebbene fosse un'attività più unica che rara per lei, quasi quanto lo era per Priscilla; quest'ultima, infatti, aveva sempre evitato l'esercizio fisico come la peste, ma nemmeno Lucynda era mai stata un tipo particolarmente atletico. Tuttavia, non poteva certo starsene lì fuori con le mani in mano a guardare per aria, altrimenti la gemella e il padre avrebbero pensato che lei avesse mentito e che avesse solo trovato una scusa plausibile per scansare l'argomento "Daven". Mentre allungava di malavoglia le braccia verso l'alto, la ragazza sospirò profondamente, immergendosi nelle proprie riflessioni. 

Nel corso di quelle due settimane, aveva in gran parte superato la sua innata timidezza e il suo imbarazzo nei confronti del figlio di Harden, che si era sempre dimostrato garbato e gentile, forse fin troppo. Ciò che aveva detto poco prima riguardo a lui corrispondeva al vero: si era accorta da tempo che egli adeguava il proprio passo - più veloce, considerata la lunghezza delle sue gambe - al suo, notando la sua stanchezza ancor prima che lei stessa, presa da ciò che osservava, se ne rendesse conto. Durante la prima settimana, trascorsa all'interno del villaggio, le aveva presentato praticamente tutti; Lucynda aveva visto e rivisto pressoché ogni angolo di Fair Stone Bourgh, apprendendo molte cose sul genere di vita condotto dai vari clan in cui era divisa la comunità che l'ospitava. Aveva dunque cominciato a capire in che cosa consistesse il loro peculiare legame con le pietre e con l'elemento della terra; non era vero che potessero spostare intere montagne a loro piacimento - una diceria fantasiosa molto diffusa tra chi non aveva sicuramente mai messo piede lì - né tantomeno che fossero in grado di tramutare i sassi in oro o argento. Del resto, di una tale capacità, che parecchi avrebbero invidiato e desiderato, non sarebbe comunque importato un fico secco a nessuno di loro, poiché non erano persone avide di ricchezze e potere. Le sue prime impressioni erano state totalmente confermate: essi conducevano un tenore di vita modesto e genuino, anche se, rispetto ai maghi di Bre Bile, mangiavano in abbondanza ed erano più spontanei ed energici. In realtà, in base a quanto Lucynda aveva compreso, sapevano sfruttare le pietre - o meglio l'energia terrena insita in esse - a seconda del loro tipo, per derivarne i propri poteri o semplicemente della forza da utilizzare con diverse modalità, attraverso un complesso processo di cui non aveva afferrato quasi nulla. Soltanto una cosa le era chiara: in parole povere, ogni clan traeva la propria magia solo da tipi di pietre specifici per ognuno di essi ed era pertanto in grado di praticare differenti incantesimi, più o meno potenti. Lucynda provò grande stupore quando le spiegarono che essi non si dedicavano all'arte delle pozioni, della quale il capo di Bre Bile era tanto esperto: lì non ve n'era la necessità, visto che il clan Förgh, il più potente di tutti, quello a cui ovviamente appartenevano Harden e Daven, aveva l'abilità innata di servirsi dell'energia delle pietre, canalizzandola in fluidi magici invisibili per ottenere ogni volta l'effetto desiderato. Applicando tale abilità, essi trasformavano le pietre in preziose "fonti di trasmissione", che potevano essere utilizzate non soltanto da loro due, ma da chiunque le tenesse saldamente tra le mani sapendone la funzione: l'incantesimo insito in esse veniva così assorbito per contatto, come se si fosse assunta una pozione. A eccezione delle magie di guarigione, che al massimo potevano essere ripetute nel caso che non fossero andate a buon fine o che ci fossero ancora dei sintomi, la maggior parte degli incantesimi aveva un effetto momentaneo, che durava fino all'esaurimento totale dell'energia assorbita dal soggetto in questione. Tutti gli altri clan, invece, come quello Hörd - in grado di sollevare grossi pesi - di cui faceva parte Nilda, traevano semplicemente forza fisica dalle rocce, immagazzinandola nel corpo per poi usarla al momento opportuno. Soprattutto gli uomini erano stati più che lieti di sfoggiare le loro capacità davanti a Lucynda, facendola persino divertire: Horin, un tizio grosso il doppio di Harden, l'aveva fatta addirittura volare per qualche minuto, mentre Daven, responsabile della sua incolumità, la guardava con il volto sbiancato dalla preoccupazione e pregava l'omone di farla scendere piano, senza sfracellarla a terra. Altri avevano mantenuto un contegno più serio e le avevano mostrato la loro efficiente rapidità nello spaccare la legna o nel polverizzare grossi massi che utilizzavano per costruire le case. La ragazza si era trovata benissimo in loro compagnia, ma, non volendo disturbarli troppo e distoglierli dalle loro occupazioni quotidiane, aveva preso coraggio e chiesto alla sua guida di poter finalmente uscire dal villaggio. Daven, che l'aveva subito accontentata, si meritava appieno questo ruolo, poiché, oltre a conoscere i dintorni come le proprie tasche, le stava insegnando moltissime cose riguardo ai sassi e alle rocce, illustrandole con estrema precisione i nomi, l'origine e il grado di forza magica presente in essi ogni volta che capitava l'occasione. Sovente, dando prova di grande pazienza, il giovane le ripeteva gli stessi discorsi, in parte perché erano concetti e parole difficili per Lucynda, la quale, essendo totalmente a digiuno di tali argomenti, faticava parecchio a memorizzarli; in parte, però, doveva ripetersi perché la sua protetta si distraeva spesso, nonostante non fosse nelle sue intenzioni, e gli rivolgeva domande a cui, in realtà, egli aveva già dato una risposta esauriente, senza rendersene neanche conto. Daven, tuttavia, era un vero gentiluomo e non se la prendeva né le chiedeva di stare più attenta; era comunque contento del fatto che la ragazza interagisse con lui e gli dimostrasse ormai confidenza, anche se talvolta s'incantava e sembrava avere la testa fra le nuvole. In verità, egli trovava adorabile - pericolosamente, irresistibilmente adorabile - il modo in cui le sue pupille viola così magnetiche contemplavano con meraviglia cose per lui ovvie e banali come se fossero dei prodigi. Si sentiva orgoglioso, fiero del proprio compito, come se stesse guidando una bambina dall'animo puro e innocente alla scoperta del mondo. Egli era inoltre piacevolmente sorpreso della calda e dolce sensazione che provava nell'osservarla, soprattutto quando lei non si accorgeva di essere osservata: era emozionante scorgere le diverse espressioni sul suo viso, così facili da intuire, e percepire ciò che lei stava provando, come se anche lui potesse respirare le sue stesse emozioni e godere della stessa bellezza che lei era in grado di vedere. Quando stava insieme a Lucynda, gli pareva che anche la sua visione della realtà mutasse, tingendosi di colori vivaci e accesi, di quel genere di stupore puro e primitivo che solo i bambini, di solito, possono provare. Quella fanciulla era la tenerezza personificata e per lui era un piacere, oltre che un onore e un dovere, guidarla e guardarla, studiando le sue reazioni candide e spontanee. Solo che Lucynda non era affatto una bambina, ma una ragazza, una giovane donna in fiore da cui egli si sentiva inevitabilmente sempre più attratto.

Lucynda, dal canto suo, ben lungi dal sospettare dei pensieri di Daven, durante le sue spiegazioni non era poco concentrata perché le trovava noiose, tutt'altro: erano tutte molto interessanti e pendeva dalle sue labbra. Il guaio era che amava così tanto il suono della sua voce, mentre egli parlava con facondia ed entusiasmo, da perdere di vista il senso e il contenuto delle parole che pronunciava: la sua mente era piena di lui. Piena dei suoi sorrisi, delle sue battute, dei suoi termini più ricorrenti e dei suoi gesti abituali, che lei aveva imparato in breve tempo a interpretare e persino ad anticipare, come se lo conoscesse da anni. Per esempio, sapeva che, qualora gli fosse sfuggita una parola, egli si sarebbe grattato il sopracciglio sinistro nel tentativo di ricordarsela, oppure che avrebbe socchiuso leggermente le palpebre poco prima di dirle qualcosa di scherzoso. Sarebbe rimasta per ore ad ascoltarlo, il tempo trascorso in sua compagnia volava e sembrava scorrere ancora più rapido quando si raccontavano a vicenda episodi della loro infanzia, ridendone insieme. Nei ricordi di Lucynda, naturalmente la presenza di Priscilla era costante e un giorno Daven le confessò che gli sarebbe piaciuto avere un fratello, gemello o maggiore di poco, con il quale sviluppare un legame forte quanto il loro. Pronunciata da chiunque altro, tale affermazione sarebbe suonata falsa e di circostanza alle orecchie della ragazza, dato che i gemelli non godevano di buona fama presso le comunità magiche; tuttavia, lei capì che egli era sincero, davvero colpito e persino affascinato dal loro rapporto. In molti dei racconti di Daven, invece, era presente Nilda, l'amica d'infanzia vispa e sempre pronta a condividere con lui marachelle e giochi, ora complice, ora vittima dei suoi scherzi. A Lucynda pareva quasi che egli la vedesse come un amico maschio ancora più atletico e forte di lui, non come la sua futura sposa; fin dall'inizio aveva avuto tale impressione, anche se era comunque più che evidente l'affetto che il giovane provava per lei. Pertanto, era stata tante volte sul punto di chiedergli chi avesse avanzato la proposta di matrimonio o quando avessero compreso di essere innamorati l'uno dell'altra, ma alla fine non era mai stata in grado di domandargli niente di così personale, nel timore di risultare invadente o sfacciata. Si dava persino della sciocca: probabilmente - si ripeteva - voleva pensare che Daven non fosse innamorato sul serio perché desiderava che il suo cuore fosse libero per innamorarsi di lei stessa. Sì, doveva essere così, si stava solo illudendo; non doveva dimenticarsi che lui si sarebbe presto sposato e che lei, invece, sarebbe tornata a casa e alla sua solita vita: quei giorni di libertà e felicità non erano altro che una parentesi destinata a diventare un dolce ricordo. Inoltre, di sicuro egli la vedeva ancora come una bambina della quale doveva prendersi cura, mentre Nilda era così matura, decisa e in gamba... Eppure, le pareva che Harden, il giorno del banchetto, avesse accennato a un problema, a qualcosa che aveva portato alle nozze, ma non riusciva a ricordare cosa avesse detto di preciso. Considerato tutto ciò, Lucynda stava provando sul serio a considerarlo un amico o un caro fratello maggiore come si era prefissata; sì, ci stava provando davvero, con tutte le sue forze, ma, dentro di lei, sapeva che la sua era una battaglia persa in partenza, fin dal primo istante in cui i suoi occhi verdi si erano posati su di lei, fin da quando le aveva rivolto il primo sorriso. Era una stupida, ma non ci poteva fare nulla se si era innamorata. Per lei non era solo un'infatuazione: era il suo primo amore ed era destinato a naufragare nel nulla, a restare un segreto da portarsi nella tomba. Più trascorreva del tempo con lui e più se ne innamorava: come avrebbe fatto a tenerlo nascosto a tutti per altre due settimane? Come poteva mantenere le distanze da lui se erano i loro genitori stessi a volere che Daven le facesse compagnia? Lucynda era tentata di chiedere alla sorella di spicciarsi con il suo addestramento, servendosi della nostalgia di casa come scusa, poiché c'erano giorni in cui era convinta che sarebbe scoppiata se quel sentimento fosse diventato ancora più intenso e che il suo povero cuore non avrebbe retto a ...

"Ehi, Lucynda, che stai facendo?"

In quel momento, la ragazza, che, assorta in tali riflessioni, cercava di mantenere la posizione dell'albero, se ne stava eretta, appoggiata su un solo piede, con entrambe le mani congiunte e sollevate verso l'alto; colta di sorpresa proprio dall'arrivo dell'oggetto onnipresente dei suoi pensieri, si sbilanciò in avanti e sarebbe caduta goffamente per terra se Daven, slanciandosi fulmineo verso di lei e afferrandola saldamente per le spalle, non l'avesse sorretta in tempo.

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