7 .

19 5 0
                                    

Angel era atterrato a Chicago all'ora di pranzo.
L'aereo da New York era decollato alcune ore prima e il viaggio era proseguito senza turbolenze e altri intoppi.
Era riuscito anche ad addormentarsi e a riposare un po', ma il volo e il jet lag lo rendevano stanco e nervoso.

Da quando aveva accettato l'incarico, aveva avuto solamente due giorni per preparare i bagagli e salutare tutti.
Per la sua famiglia e per i colleghi era stato un colpo basso e il rammarico nei loro occhi era evidente. Aveva provato a rassicurarli, spiegando loro che era un trasferimento provvisorio e che sarebbe tornato in città nel giro di qualche mese, ma il suo lavoro era imprevedibile e i piani potevano cambiare da un momento all'altro.

L'aereoporto di Chicago era immenso, con almeno una ventina di gate e ci mise alcuni minuti di camminata a passo veloce per raggiungere l'uscita e chiamare un taxi.
Il termometro esterno segnava 34 gradi ma lui ne percepiva almeno una decina in più. Maledisse i suoi due trolley king size da più di 20 kili l'uno e i suoi pantaloni lunghi di cotone.
"Dove la porto, Signore?" Chiese il tassista con una rapida occhiata ad Angel, una volta sistematosi sul sedile posteriore.
"Al 19 della Charlestone Avenue, grazie." rispose lui, tamponandosi leggermente la fronte con un fazzoletto da taschino.

Il suo appartamento si trovava nel quartiere Kingston, poco più a sud del centro città.
Dopo essere sceso dal taxi, diede uno sguardo
al sobborgo prima di entrare nell'edificio.
Non era particolarmente fornito e non assomigliava sicuramente alle zone curate e luminose di New York.
Le strade erano sporche e i rifiuti abbandonati sui marciapiedi dentro sacchetti di plastica emanavano un odore acre e pungente.

Un bar all'angolo, un certo Maddison Pub, aveva i muri fatiscenti e l'insegna al neon era caduta a terra da tempo.
Angel capì subito che il locale era frequentato da gente poco raccomandabile e si affrettò ad allontanarsi: era lì solamente da qualche ora e non voleva guai.

Il palazzo dove avrebbe abitato in questi mesi , con le sue mura in mattone e poche finestre, era imponente e massiccio.
L'appartamento si trovava al ventisettesimo piano e l'ascensore era talmente stretto e traballante che fu costretto a fare due giri per portare al suo pianerottolo tutti i bagagli.
Anche l'alloggio al suo interno era modesto e un po' antiquato. Il soggiorno e la cucina erano in un unico open space e la camera da letto si trovava su un soppalco in legno, raggiungibile da una scala a chioccia.
Non vi era una porzione di giardino comune per i condomini, ma aveva un piccolo balconcino personale che affacciava direttamente sulla strada poco affollata della periferia.

Decise di trascorrere il pomeriggio a sistemare i bagagli e la divisa da lavoro per il giorno successivo.
Era agitato, ma negli anni aveva capito come domare la tensione e rimanere lucido e concentrato anche nei momenti più difficili.

Erano quasi le 22 e Angel, impegnato nelle pulizie e nelle scartoffie, quasi non si rese conto che il sole era ormai tramontato, lasciando spazio ad un tiepido chiaro di luna che illuminava timidamente la finestra della cucina.
Non aveva toccato cibo dalla mattina e per cena avrebbe cercato un pub dove bersi una birra in santa pace e mangiare un boccone.
"Speriamo di non fare brutti incontri la prima sera.." pensò, richiudendosi la porta in ferro battuto alle spalle.

IN UN ALTRO MOMENTOWhere stories live. Discover now