12. 𝐅𝐫𝐚𝐦𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨

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Il vento soffiava da Sud; era caldo e piacevole al tatto, smuoveva i lunghi fili d'erba e trasportava gli odori: quello piacevole dei fiori, quello del ruscello vicino e quello pungente del fumo dei camini – quelli ancora attivi durante i primi giorni di primavera – e vi era anche l'odore del vento, che si respira a pieni polmoni.

Il cielo era lievemente nuvoloso e le nuvole viaggiavano lentamente. Le loro forme irregolari davano al cielo azzurro un qualcosa di pittoresco, i morbidi contorni bianchi delle nuvole si staccavano e viaggiavano isolati dalle grandi masse bianche. Poco prima era passato uno stormo di uccelli diretto verso l'Ovest, aggiungendo del colore nero nella palette del cielo.

Lì, protetto dai fili d'erba alti, Taehyung passava i momenti di spensieratezza. Nella casa del padre era oggetto delle ferree regole.
Non si definiva un libertino, un senza casa e meta, ma sfidava chiunque a vestire i suoi panni per un giorno. Il padre gli aveva fatto studiare tutto ciò che – secondo lui – sarebbe stato utile nella vita. Studiava privatamente perché la compagnia di altri ragazzi fin troppo poco diligenti lo avrebbe deviato, lo portava in giro per mostrargli come in futuro avrebbe dovuto amministrare le sue proprietà, mangiava in modo salutare tanto da non sapere che esistessero i dolci; come diceva il padre: «Se invece di impegnarti penserai alle leccornie che ti daremo come pegno per i tuoi sforzi non ti impegnerai abbastanza.»

Era in quei rari momenti, in cui il padre aveva deciso di avere pietà di lui e di non portarlo a vedere come si gestivano gli affari e la madre non lo aveva portato a passeggiare con le sue amiche per mettere in mostra che amore di figliolo avesse, che si rifugiava in qualche radura. Si stendeva sui fili d'erba e lo avessero visto in quel momento gli avrebbero tirato le orecchie fino a farle diventare simile a quelle delle lepri: puntualmente tornava con i vestiti sporchi di terra e di macchie che era il succo della frutta che mangiava senza la grazia che invece riponeva a tavola.

E così da anni i contadini si erano abituati alla presenza di quel ragazzo dai riccioli bruni.

Da bambino si divertiva a rincorrere gli uccelli e gli insetti che si posavano sui fili d'erba o sui rami degli alberi, ad osservare le libellule librarsi in aria e ad immergere i piedi fino alle caviglie nell'acqua gelata dei ruscelli.

Compiendo diciassette anni aveva capito di esser cambiato. Lasciava in pace i poveri animaletti, solo delle volte si limitava a disegnali su dei fogli con un carboncino nero che puntualmente gli sporcava le dita che, a loro volta, imbrattavano la faccia. Si fermava a leggere all'ombra di una quercia i libri che suo padre riteneva inadatti per la sua formazione, che lui nascondeva tra le doghe del letto.

I ricci avevano perso un po' quella forma così definita che avevano quando lui era bambino, le guance non era più così paffute e così anche le dita che erano diventate affusolate ed iniziava a vedere i muscoli delle gambe e delle braccia spiccare. Non era così muscoloso come il figlio del fabbro ma non era così tanto gracile, un futuro proprietario dei beni della famiglia Kim doveva avere un certo aspetto.

Anche se lui era fuori dal cerchio dei possibili mariti per le giovani donzelle quelle, comunque, non gli staccavano gli occhi di dosso. Non parlava solo delle signorine in età da marito ma anche di quelle sposate. Lui era come il miele per le mosche.

Non gli piacevano quelle attenzioni e durante la messa della domenica avrebbe preferito affogarsi nell'acquasantiera più vicina invece di essere l'oggetto degli sguardi delle signorine e delle loro azioni, spesso eccessive, per attaccare bottone.
La madre, invece, era ben felice che il figliolo ricevesse quelle lusinghe e lo spronava a fare conoscenza, non voleva morire prima di averlo visto con un neonato in braccio ed allora lui rimpiangeva i momenti in cui la sua unica preoccupazione era sfuggire al padre.

𑁍Three o'clock𑁍 TaekookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora