Capitolo 21: "Sono in debito con te, Moye Schast'ye"

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Questo capitolo contiene una descrizione dettagliata di torture e sangue. Se ciò può urtare la vostra sensibilità, saltate il capitolo ⚠

Era da giorni che una sensazione strana mi attanagliava lo stomaco, come se dovesse succedere qualcosa di veramente brutto. Ogni volta scacciavo via il pensiero, dicendo a me stessa che era solo la mia solita paranoia a parlare. Non ero nuova ad attacchi paranoici, ed ero abbastanza abituata a tenerli sotto controllo, così ignorai il mio istinto, remprimendo dentro di mie le preoccupazioni.
Una delle decisioni peggiori in tutta la mia vita.
Eravamo in missione per liberare una base HYDRA e recuperare gli ostaggi, ma la situazione stava precipitando velocemente. Iniziò con i problemi di linea al Triskelion, dove Peggy, Fury e Banner ci dirigevano, poi con lo scollegamento totale degli auricolari, lasciandoci completamente isolati gli uni dagli altri. Poi la manomissione del jet, schiantatosi contro un albero, ed infine la divisione della squadra. Ora ognuno di noi era da solo in territorio nemico, completamente in mano al destino; J.A.R.V.I.S. e H.A.P.P.Y. stavano cercando di ricollegare gli auricolari della squadra, fallendo a causa del poco campo disponibile. Anche se fossimo collegati, comunque, nessuno di noi si sarebbe azzardato a parlare, troppo preoccupato che qualche agente dell'HYDRA potesse beccarlo.
Sarei stata una bugiarda a dire che non avevo paura, perché ne avevo eccome. Me ne stavo appesa per un piede a testa in giù, tenendo di mira alcune guardie al di fuori del Compound; uno dei tanti vantaggi dell'addestramento che avevo attraversato era quello di riuscire a mirare anche a testa in giù, senza interferire nel fattore colpo preciso.
Un colpo, un'uccisione
Era quello il mio motto.
Scesi dal mio trespolo, andando in cerca degli ostaggi: dopotutto la missione era incentrata su di loro, e se non potevo rendermi utile nel salvare i miei amici, tanto valeva rendersi utile per salvare le persone intrappolate. Mi infilati in una delle ventole del Compound, strisciando nel tubo d'aria per cercare di raggiungere la grata che avevo di fronte a me. Quest'ultima dava su una stanza simile a quella di una prigione, perciò bussai leggermente. Il volto di una ragazza spuntó da sotto di me, facendomi intuire che fosse una degli ostaggi; nastro isolante alla bocca, corde ai polsi e alle ginocchia, capelli scompigliati, sangue e una tuta dello SHIELD, nulla di più distintivo. Mi calai attraverso quel piccolo buco. La ragazza era sotto shock e, nonostante cercassi di farla parlare, ella continuava a piangere inconsolabilmente. Riuscii a mandare un piccolo segnale agli altri, rincuorando la ragazza che presto sarebbero venuta a prenderla.
<<Vai, da qui ci penso io>> disse Steve una volta arrivato. Mi consegnò un nuovo auricolare da indossare, così da rimettermi in contatto con la squadra; apparentemente i nostri erano stati manomessi apposta da una società strettamente legata all'HYDRA che, scoprendo le nostre prossime mosse, aveva cercato di sabotarci.
Da quello che mi raccontarono, sette di quattordici ostaggi erano già stati salvati da Tony e Clint che, riuscendosi a mettere in contatto, gli avevano tirati fuori dalle celle.
<<Secondo i sensori di calore, tre sono nel piano superiore, altri tre due piani sotto al nostro e uno nelle segrete sotterranee, ma sono tutti circondati da almeno dieci agenti armati>> ci informò Stark. Iniziai ad aumentare il passo verso le segrete, evitando alcuni agenti sulla destra.
<<Io prendo quello da solo>> dissi sparando al nemico.
<<Non puoi andarci da sola Cassandra, sarai troppo scoperta>> disse Steve, lanciando lo scudo.
<<Ci vado io con lei>>. Una voce proruppe da dietro di noi, il tono indistinguibile di Bucky rimbombava nel vuoto corridoio, disseminato soltanto dai cadaveri. Accettai l'aiuto del ragazzo, principalmente perché avere una spalla era comodo e secondariamente perché ero certa che non sarei riuscita a salvare l'ostaggio da sola; da dove era tenuta, probabilmente era stata torturato, e vedere una qualsiasi persona sotto tortura, oltre che farmi venire il voltastomaco, mi faceva sentire male, come se stessi morendo dentro.
Le persone non dovevano subire ciò che avevo subito io.
La via per le segrete era stranamente troppo pulita, solo qualche agente qua e là ci faceva una visita di tanto in tanto, facendoci perdere non troppo tempo. Quella cosa puzzava sia a me che a Barnes, ma in quel momento la priorità era la vita dell'ostaggio. Sfondammo con poca eleganza la cella, ritrovandoci davanti al nulla.
<<Barnes? Arrowsilv? Mi ricevete?>> la voce di Steve rimbombava nella stanza come un eco lontano. <<Abbiamo tutti gli ostaggi, possiamo andare>>.
Come facevano ad avere tutti gli ostaggi, se l'ultimo sarebbe dovuto essere lì con noi?
La porta della cella si chiuse dentro di noi e, nonostante i vani tentativi di aprirla, essa rimase sigillata sotto la pressione dei nostri assalti, più solida che mai.
Eravamo in trappola.
<<Bentornati>>. Una voce profonda spuntò dalle tenebre della stanza.
Conoscevo quella voce.
Nightmare.
Bussai insistentemente sulla porta, cercando di forzarla il più possibile; dovevamo uscire di lì, o Nightmare ci avrebbe sbudellati vivi. L'animatronico sorse dalle tenebre, accompagnato da una sinistra risata; il costume da orso lacerato lasciava intravedere l'endoscheletro mentre, sempre più lentamente, avanzava verso di noi. L'unica cosa che lo rendeva riconoscibile in mezzo al buio erano il papillon e il cappellino giallo che indossava. E i suoi occhi rossi, iniettati di sangue. Bucky cercó di trafiggerlo invano, scatenando sempre di più l'ira del robot.
<<Chi sei?>> chiese puntandogli contro il fucile.
<<Nightmare>> disse.
Più di una decina di agenti ci circondarono e, prima che potessimo agire, venimmo entrambi storditi da una maschera fumogena posta proprio sopra alle nostre bocche, facendoci perdere quasi immediatamente i sensi. L'unica cosa a cui continuavo a pensare era la salvezza di Bucky, la sua incolumità: dovevo fare di tutto per salvarlo.
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Venni svegliata da un lamento e delle flebili urla, provenienti da un punto non preciso della stanza. Non capivo dove mi trovassi, sentivo solo un'enorme pressione sui polsi e sulle caviglie, legate con stringhe di ferro ad una sedia su cui ero seduta. Di fronte a me Barnes cercava di fare del suo meglio per resistere alla tentazione di urlare dal dolore, troppo fiero per ammettere la sconfitta. Una frustata sul costato lo costrinse a cedere, strappandogli dalla bocca un doloroso urlo.
<<Fermati!>> dissi, guardando il ragazzo con le lacrime agli occhi. Non potevo sopportare di vedere Bucky in quelle condizioni, tanto meno per una decisione fatta da me: era colpa mia se lui era lì giù insieme a me, sarei dovuta andare da sola a riprendere la "cavia". E invece lui, testardo come sempre, aveva deciso di seguirmi per coprirmi le spalle, finendo vittima di quel malsano gioco. Nightmare giaceva esanime in un angolo della stanza mentre uno degli scienziati dell'HYDRA frustava Bucky senza pietà; avevano usato Nightmare solo come escamotage, in modo da rendermi inerme ed impotente di fronte a uno dei miei veri e peggiori incubi. Un altro urlo strozzato mi fece supplicare, cercando di ottenere tempo da togliere alla tortura del ragazzo.
<<Ti prego, fallo a me! Fammi quello che ti pare, ma non fargli del male>> supplicai. L'uomo parse sorpreso da quest'ultima frase e, dopo un ultimo colpo, ripose la frusta su un tavolino sterilizzato in metallo. Venne verso di me con un bisturi, muovendolo pericolosamente verso il mio volto.
<<Tutto quello che mi pare, dici?>> chiese. Annuii fermamente, guardandolo con occhi supplicanti.
Sapevo benissimo cosa voleva fare, ed ero sicura che lo avrebbe fatto.
Eccome se ne ero sicura.
Bucky tentò di dissuaderlo, ma l'uomo aveva nuovamente ripreso in mano la frusta, iniziando ad infliggermi colpi per tutto il corpo. Resistetti al desiderio di urlare ad ogni scoccata; avendo sopportato di peggio, sia a livello fisico che psicologico, le frustate non mi facevano male. Era il fatto che Bucky mi guardasse mentre venivo torturata e viceversa a graffiarmi l'anima.
<<Ma guarda un po' che paradosso. La Widowmaker, addestrata ad uccidere il Soldato d'Inverno, si innamora di quest'ultimo. Una ragazza ed un ragazzo che si invaghiscono della stessa persona che dovrebbe ucciderlo. Siete veramente stupendi >> disse tra le frustate. Quando cercó di raggiungere nuovamente il posto di fianco a Bucky tentai la mia ultima mossa, disperata nel tentativo di risparmiarlo dall'elettroshock che sapevo lo aspettava.
<<Tutto quello che vuoi, e so cosa vuoi. So cosa volete>> dissi con tono velenoso. Era un tentativo estremo che, oltre a danneggiarmi fisicamente, avrebbe lasciato un'ulteriore impronta permanente nella mia mente. Si rivolse ad un paio di agenti, parlando di me come se fossi una bambola di pezza.
<<Portatela nella stanza delle torture e chiamate un paio di amici, ci sarà da divertirsi>> disse ammiccando ai due agenti. Essi, drogandomi con del tranquillante, fecero presto a tenermi a bada e, nonostante il sonnifero in circolazione, mi collegarono ad un dispositivo telecomandato in grado di mandare delle scariche elettriche molto potenti al mio cervello.
<<Lasciatela andare, vi prego!>> continuó Bucky, divincolandosi e combattendo i ganci di ferro per liberarsi. Lo vedevo soffrire come un cane, impotente mentre vedeva il mio corpo trascinato a terra come se non valessi nulla.
Mi liberai al mio meglio delle guardie, agganciandomi alla sua sedia come se la mia vita dipendesse da essa; lo abbracciai forte, così forte che persino gli agenti ebbero difficoltà a staccarmi. In un ultimo, disperato tentativo di fuga, venni messa a bada con l'elettroshock.
Quella era l'ultima volta che avrei rivisto Bucky.
O perlomeno, l'ultima volta che avrei rivisto Bucky quando ero abbastanza sana di mente.
<<Ti amo Bucky, ti amo veramente tanto>> urlai mentre mi portavano via.
La mossa era fatta, il gioco era appena iniziato.
La Tortura mi aspettava.
Mi buttatono come immondizia in una stanza vuota.
In cinque mi si avvicinarono.
Sentii le loro mani viscide strapparmi i vestiti di dosso, i loro respiri sul mio collo, le loro dita insinuarsi sotto la tuta che indossavo in missione.
Sentivo il divertimento che provavano nel vedermi così debole, impotente, alla loro mercé.
Quattro mi tennero attaccata al terreno con la loro forza, il quinto fece ciò che voleva fare.
Fecero tutti cosa volevano fare con il mio corpo.
Mentre io, disperata più che mai, tentavo di trattenere a stento gli urli di dolore, mischiati ai loro osceni sussurri.
E io cercai di dimenarmi, cercai di sottrarmi alle loro mani viscide, cercai di sottrarmi alle loro dita infime che stavano depredando ciò che di più mio mi era rimasto.
Ma fu tutto inutile.
Mi legarono con delle catene al muro della cella e mi frustarono, martoriarono il mio corpo già provato dal tempo e dalla guerra, sia quella esteriore sia quella interiore.
Nuda, priva di ogni dignità, frustata sino a perdere i sensi.
Schiava delle persone.
Schiava di me stessa.
Succube della mia mente.
Quando chiusero la porta io non smisi di urlare, ancora torturata dal ricordo e dalle scosse elettriche che non davano cenno di fermarsi.
Eccomi lì, impotente, a piangere come non avevo mai fatto.
Volevo che quell'incubo finisse in fretta.
E se non era un incubo, volevo che la mia vita finisse in fretta.
Ma avevo fatto tutto per Bucky.
Per tenerlo al sicuro.
E non me ne sarei mai pentita.
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3 person POV
Il ragazzo cercó di dimenarsi, ribellarsi a quella forzata prigionia, ma tutto ciò che ottenne furono sberle ed insulti. Gli scienziati avevano mantenuto la promessa: a parte qualche pugno per tenerlo a bada, non gli avevano torto nemmeno un capello.
Ma a lei, eccome se avevano tolto dei capelli. Nonostante non potesse vedere ciò che le stavano facendo, udiva gli agghiaccianti urli della ragazza che rimbombavano tra i corridoi freddi e gocciolanti di umidità, facendogli accapponare la pelle dal ribrezzo. Il solo pensiero che le stessero mettendo le mani addosso risvegliava dentro di lui una furia omicida simile a quella del Soldato d'Inverno, facendogli dubitare che quest'ultimo non fosse ancora lì pronto a risorgere dalle tenebre.
Gli urli si ripetevano come echi lontani, susseguiti da suppliche strozzate e singhiozzanti.
<<BASTA! VI SUPPLICO, BASTA!>>
<<NON TOCCATEMI, STATEMI LONTANO!>>
<<FERMI, VI PREGO!>>
<<BUCKY!>>. Al suo nome susseguirono una serie di scoccate, così forti che persino lui potè sentirle. Stavano usando una frusta su di lei, accompagnata da un aggeggio fatto di catene, impossibile riconoscerne l'identità senza vederlo.
Più impotente che mai, restó ad ascoltare in un silenzio forzato le grida disperate della donna amata, mentre nella sua testa non regnava altro che caos, rabbia e una voglia matta di uccidere quei bastardi. Voleva urlare anche lui, dirle che sarebbe andato tutto bene, ma come poteva essere così ottimista se tutto ciò che stava subendo era a causa sua?
All'improvviso nulla.
Sul Compound calò un telo di silenzio; non si udivano più le urla della ragazza, e lo scocco della frusta cessò di ripetersi, facendolo precipitare in uno stato di disperazione.
Possibile che Cassandra fosse...morta?
No, non era possibile. Lei era una delle donne più forti, se non la più forte, che il sergente avesse mai conosciuto, non poteva essere morta.
Vero...?

Widowmaker: l'antenata dei Supersoldati // Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora