Capitolo 9:"Forse lei non è stato l'unico ad aver aspettato, sergente"

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Chiusi di getto la porta della mia camera a chiave per evitare che qualcuno entrasse, ancora troppo sopraffatta dal filmato visto in salotto. Sembrava di stare in uno di quei incubi che facevo sempre la notte, ed io ero effettivamente in attesa di un risveglio che non sarebbe mai arrivato. La mia schiena scivoló lentamente contro la porta di metallo, il cervello ormai incapace di ragionare lucidamente. Ero sopraffatta dalle emozioni; tristezza, rabbia, paura erano completamente confuse nel mio cervello, creando una sola ed unica emozione: il terrore di perdere il controllo.
<<H.A.P.P.Y., attiva il protocollo Antipanico>> dissi con voce spezzata. Il mio A.I. non tardò a farsi sentire, serrando come da codice finestre, porte e potenziali telecamere sparse per la stanza. Un piccolo robot alato uscì dalla cassetta riposta cautamente sotto il letto, venuto in mio soccorso per poter superare l'attacco di panico che mi stava travolgendo; avevo creato io stessa quel robottino molto prima di essere reclutata dallo SHIELD, precisamente cinque o sei mesi dopo la mia fuga dal laboratorio. Il periodo più buio fu proprio quello lì; non sapevo chi ero, non potevo dare un senso alla mia vita, mi sentivo vuota, incompleta, sbagliata. Gli incubi mi perseguitavano persino da sveglia e le allucinazioni non mi davano tregua, rendendomi impossibile distinguere quale fosse la realtà e quale no. Il mio corpo era in quella casa tra le montagne, ma la mia mente era rimasta là, e non ne voleva sapere di schiodarsi. Più volte avevo pensato e cercato di togliermi la vita, ma ero la dimostrazione che nessuno dei tentativi era andato a segno, nemmeno quelli compiuti durante il primo anno allo SHIELD. Anche se dicevo di stare bene, ero più che consapevole che dentro al mio cervello c'era ancora quel mostro, e ció non faceva altro che mangiarmi l'anima.
<<H.A.P.P.Y. al suo servizio signorina Arrowsilv>> disse gioioso l'angioletto, avvicinandosi a me. Iniettó una piccola siringa di tranquillante nel mio braccio, assicurandosi che il battito del mio cuore iniziasse a scendere ad un ritmo ragionevole. Sentivo il petto stringersi sempre di più sotto il peso dei miei sensi di colpa e dei rimorsi, mangiata viva dal rancore. Mi distesi sul pavimento per riprendere aria, aiutata molto dal tranquillante che il robottino mi aveva iniettato. Le mie palpebre si fecero presto pesanti, ma l'ultima cosa che volevo fare in quella situazione era dormire; come minimo avrei sognato uno dei miei incubi, ed ero troppo esausta e provata dagli eventi della giornata per sopportare un'altra mazzata come quella. Mi alzai controvoglia, disattivando il protocollo Antipanico.
La mia testa mi diceva di andare in palestra a scaricare la tensione o, come minimo, andare a dormire. Il mio cuore invece mi diceva di andare da tutt'altra parte. Erano passate le tre di notte da qualche minuto, perciò pensai molte volte alla scelta che avrei dovuto compiere.
Sorprendentemente vinse il cuore.
Indugiai sulla porta del sergente Barnes, letteralmente di fianco alla mia. Bussai con la minor forza possibile, cosicché se non mi avesse sentito ed io avessi cambiato decisione, me ne sarei potuta andare senza che nessuno avesse notato la mia presenza. Continuai a fissare la porta della camera di Bucky per un tempo quasi infinito, riflettendo sulla stupidità della decisione che avevo preso; probabilmente era sbagliato andare a chiedere aiuto ad una persona che stava cercando di uscire dal suo stesso incubo, probabilmente era una mossa vile ed egoista, ma avevo creato con lui come un collegamento emotivo che nonostante la mia volontà mi portava sempre da lui. Non potevo chiedere aiuto a Peggy o a Natasha perché, per quanto si sforzassero, non mi avrebbero mai capito sino infondo. Forse Nat si, ma vedevo ed avevo capito che lei il suo passato lo aveva lasciato da un pezzo alle spalle, non volevo essere io a risbatterglielo in faccia.
Con mia sorpresa la porta si aprì sotto il mio sguardo dubbioso, rivelando un Bucky che non era al top della vigilanza, diciamo; i corti capelli marroni erano sparati in aria, come se un candelotto di TNT gli fosse esploso in faccia, mentre i suoi occhi erano appannati dal solito velo di stanchezza che ogni persona appena svegliata possedeva. Mi sentivo in imbarazzo ed estremamente in colpa per averlo svegliato, ma ormai non si poteva tornare più indietro. O forse si, magari avrei potuto dirgli che avevo sbagliato porta?
<<Cassandra, che ci fai sveglia a quest'ora? >> mi chiese con voce flebile, ancora impastata dal sonno. Per un attimo rimasi in silenzio, contemplando una potenziale risposta da dargli che non suonasse simile a "Ho paura di praticamente tutto, sto per avere un altro attacco di panico e, in tutto ciò, come diavolo fai ad essere bello anche da appena sveglio?"
<<Avrei bisogno del tuo aiuto>> dissi sottovoce. Mi fece accomodare nella sua camera e, oltre ai muri color grigio tortora, non potei fare altro che notare la mancanza di un letto. Capivo perfettamente perché lui non ne usasse uno, ero stata anche io un soldato; nelle trincee non c'era spazio per materassi, materassini, cuscini e coperte, si dormiva come si poteva. Nel fango, al freddo, quando si era in quelle condizioni ci si accontentava pure, ringraziando i piani alti per essere sopravvissuti anche quella giornata, a differenza di molti altri. Anche a me ci era voluto un bel po' per abituarmi ai materassi e alle coperte, visto che oltre alla mia esperienza di soldato ero stata abituata a dormire su tavoli di ferro, pavimenti e dentro ad esoscheletri di metallo. Il ragazzo, vedendo un punto interrogativo scritto sulla mia faccia, tirò una leva nascosta dietro al comó, facendo spuntare automaticamente il letto. Mi spiegó che Stark aveva inventato il piccolo congegno per farlo dormire comodamente per terra ma dargli contemporaneamente l'opzione di dormire su un letto se mai avesse cambiato idea.
<<Non sono mai riuscito a dormire su un materasso dopo la guerra, sembra di.. >>
<<Sdraiarsi sulla marmellata, precipitare sul pavimento>> completai sorridendo leggermente. Mi guardó comprensivo, facendomi cenno di salire sul letto. Non me lo feci ripetere due volte, ero stanca morta e il tranquillante stava iniziando a fare il suo effetto. Si sdraió accanto a me, permettendomi di appoggiare la mia guancia destra sul suo petto, proprio accanto al cuore. Sentivo i suoi respiri leggeri, il suo battito regolare, il rimbombo delle parole nella cassa toracica quando parlava; era come essere in una piccola bolla protettiva, dove ero sicura e tranquilla.
<<Gli incubi non sono ancora andati via, non è vero?>> chiese, accarezzandomi i capelli. Rivolsi lo sguardo in alto, intercettando i suoi enormi occhi color chiaccio, così freddi e senza emozioni eppure così pieni di tepore e gentili. Io sapevo che gli incubi non avrebbero mai smesso di tormentarmi, ormai lo avevo accettato, ma non era una cosa che ero disposta a dire a Bucky, non ancora.
<<Non ho mai avuto incubi, sergente>> dissi ironicamente. Roteó gli occhi, ridendo leggermente alla mia solita e insopportabile testardaggine.
<<Ma per piacere, l'ultima volta che ti ho visto dormire avevi paura di addormentarti>> rispose accarezzandomi I capelli. Non potei ribattere, perché ciò che diceva era dolorosamente vero e non stava inventando nulla.
Sapevo che stavo per rischiare una carta pericolosa, ma tentai comunque: dovevo deviare il discorso prima che prendesse lui le redini e, francamente, avevo bisogno di una sua risposta sincera, e quello era il momento più opportuno.
<<Sono venuta da te perché credo tu sia l'unico qui dentro che potrebbe capirmi anche solo un minimo, perciò la domanda che vorrei farti non deve uscire da questa stanza>>. Mi guardò interrogativo, corrucciando le sopracciglia sospettoso.
<<Ti ascolto>>.
<<Hai mai pensato, sai...di abbandonare...>>. Stavo cercando il modo più cauto e gentile possibile per dire quella frase, ma sapevo che ad una parola così complicata non si poteva trovare un sinonimo.
<<... Abbandonare gli Avengers?>> tentò lui, non capendo dove volessi arrivare. Il suo sguardo si stava contorcendo nell'ignoto, confuso e completamente fuori fase.
<<Abbandonare tutto...?>>. Lui mi guardó serio, probabilmente capendo a cosa mi stessi riferendo.
<<Suicidio?>> domandó, acarezzandomi i capelli. Annuii nella speranza che non mi considerasse una malata mentale, come in molti allo SHIELD avevano già fatto. Sembrò riflettere per un attimo e, proprio quando pensavo non mi avrebbe mai risposto, aprì bocca.
<<In Wakanda pensavo che morire fosse il modo giusto per redimermi, ma Shuri, re T'Challa e il resto degli Avengers che hai conosciuto hanno dimostrato che mi sbagliavo: qui mi sono rifatto una vita, e non ho intenzione di sprecare quest'opportunità>> disse facendomi l'occhiolino. Sorrisi leggermente, facendomi cullare dal battito del suo cuore che, stranamente, era aumentato di qualche battito al minuto. Una cosa impercettibile agli altri, tranne che a me.
<<Tu?>>
<<Ci ho già provato più volte, evidentemente quando entri nello SHIELD fai l'abbonamento annuale all'immortalità>> dissi amareggiata. Per buttarla sul ridere, era proprio vero il fatto dell'abbonamento all'immortalità: Peggy era morta di vecchiaia, viva perché riportata avanti nel tempo da Steve. Fury lo avevano cercato di ammazzare in tanti, si era sempre scoperto che era vivo alla fin fine. Coulson era stato ucciso da Loki, anche lui vivo. Maria invece era... Maria, non si hanno speranze di ucciderla, quella donna è una roccia. Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, facendoci cullare dal rumore della leggera pioggia estiva che aveva iniziato da qualche minuto a scendere dal cielo. Lui disegnava con la sua mano bionica dei piccoli cerchi sulla mia schiena parzialmente scoperta, facendomi rabbrividire a causa del freddo contatto tra le dita metalliche e la mia pelle calda.
Senza preavviso, prese il mio mento tra pollice ed indice, costringendomi a guardarlo in faccia; i suoi occhi, da assonnati e stanchi, erano diventati puri diamanti risplendenti alla luce lunare che filtrava dalle finestre, facendoli brillare di un'insolita luce, di un bagliore che non avevo mai visto negli occhi di nessuno.
<<A qualunque cosa tu stia pensando, smettila. Non puoi farlo, se no chi infastidirà di prima mattina Steve con gli AC/DC? Chi si allenerà con Nat? Chi sbatterà in testa a Loki dei piatti per vendetta? Chi si occuperà di Billy e Tommy? >> chiese triste.
<<Chi mi capirà poi?>>. Lo stavo facendo veramente preoccupare, e vederlo così affranto e triste non mi piaceva affatto. Mi avvicinai leggermente a lui, abbastanza da permettermi di vedere chiaramente il suo volto che, sino a pochi secondi prima, era oscurato dal buio della stanza.
<<Non ho intenzione di fare nulla, adesso ho delle persone per cui lottare>>. Sorrisi alla vista della tranquillità che piano piano si spargeva per tutto il suo volto, comportando un enorme rilassamento dei suoi muscoli, rimasti tesi sino ad allora. Ci avvicinammo contemporaneamente, così tanto che i nostri nasi si sfiorarono appena. Più tentavo di respingere le persone, più mi si avvicinavano, e Bucky era l'esempio vivente e la prova evidente della mia teoria: facendo così aveva provato che voleva veramente conoscermi, voleva veramente starmi vicino. Come compagno, come amico, o forse qualcosa di più...
<<Я борюсь за тебя>>
Lotto per te.
In quel momento entrambi abbattemmo le nostre barriere, le nostre paranoie, i freni che ci tenevano fermi. Ci lasciammo andare, unendoci in un bacio delicato, semplice, leggero come ali di farfalla. Non c'era più nulla, nessuna preoccupazione, solo noi e basta. Ci staccammo dopo alcuni secondi, fissandoci negli occhi; la paura che attanagliava mio stomaco si sciolse sotto lo sguardo del ragazzo, così premuroso e gentile.
<<Вы не знаете, как долго я ждал этого момента>>
(Non sai da quanto aspettavo questo momento)
sussuró a fior di labbra.
<<Может быть, ты не единственный, кто ждал, сержант>>(Forse lei non è stato l'unico ad aver aspettato, sergente) risposi. Mi bació un'altra volta, ed un'altra volta ancora, sino a che entrambi fummo così stanchi da addormentarci l'uno nelle braccia dell'altra, coccolati non solo dalla pioggia, ma dal sentimento reciproco, qualcosa che probabilmente andava oltre la semplice amicizia.

Spazio autore: Ciao ragazzi! Finalmemte ho preso coraggio ed ho scritto questo capitolo😂. La storia inizia a farsi intrigante, I know, vi aspetto lunedì con il prossimo capitolo.
Passo e chiudo!

Widowmaker: l'antenata dei Supersoldati // Bucky BarnesOnde as histórias ganham vida. Descobre agora