Capitolo 4: " Una donna può essere qualcuno anche senza dei figli, Natasha"

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Era ormai scesa la sera su New York, il cielo iniziava a tingersi dei colori del tramonto sotto il mio sguardo gelido ed impenetrabile. Poche volte in tutta la mia vita avevo avuto l'opportunità di osservare il crepuscolo, una di queste era stata molto tempo addietro, più o meno nel 1930. Il Sole andava a nascondersi timidamente, dando spazio alla Luna e lasciando a lei il compito di sorvegliare la Terra. La fusione tra i due astri era stupenda; era come vedere dall'interno del bicchiere d'acqua di un pittore, l'arancione si mescolava armoniosamente con il rosa nel cielo privo di nuvole, lasciando intravedere le stelle che sarebbero apparse nel giro di qualche minuto. Potei osservare il momento esatto in cui il Sole e la Luna si scambiavano, facendo sorgere le tenebre e, con esse, anche i miei pensieri. Ero intenzionata a non dormire, fare il possibile per non addormentarmi; ogni volta che provavo solo a riposare gli occhi, le immagini di tutte le persone che erano morte per mano mia, i loro volti bianchi come quelli di un lenzuolo, le loro voci rotte dalla disperazione, i loro occhi che mi supplicavano di salvarli, tutto ciò che avevo visto mi tormentava nel sonno. Non ne avevo mai parlato con nessuno perchè tutte le persone che avevo conosciuto sino ad adesso, Avengers compresi, avevano dei problemi leggermente più grandi delle mie allucinazioni e dei miei incubi. Lasciai che i pensieri volassero via con la leggera brezza che aveva travolto il tetto del Compound, facendomi solleticare il volto dalla delicata folata di vento. Ripensai alle persone che stavano qualche piano sotto di me, indaffarate in chissà quale attività. Gli Avengers, la squadra che non mi sarei sognata di incontrare. Ancora non capivo cosa facessi in quel posto, perchè io fossi lì; infondo ero un agente dello SHIELD come un altro, come Maria e Phil, un'assassina spietata che nel corso dei secoli aveva ucciso dozzine di persone per conto di un'organizzazione criminale. Lì dentro erano tutti perfetti, degli eroi modello. Persino la Vedova Nera e il Soldato d'Inverno, che avevano un passato simile al mio, erano riusciti a farsi riconoscere come salvatori grazie alla battaglia contro Thanos. Mi ritenevo estranea a quel termine, eroe: io ero solo una pedina dell'HYDRA, una bambola da manovrare, usare e lacerare a qualsivoglia occasione. Incatenata irrimediabilmente al passato dai marchi che mi rendevano schiava, che mi tenevano in prigione. Il numero di matricola 9544 impresso a fuoco sull'avambraccio sinistro, la stella rossa tatuata sulla spalla del medesimo braccio, il disegno di una clessidra rossa dietro l'orecchio, il mirino di un cecchino marchiato leggermente al di sopra della scritta SCP 709 all'interno dell'avambraccio destro. Ogni programma a cui mi avevano sottoposto aveva lasciato un marchio, dal campo di sterminio al laboratorio SCP. Segni del mio innegabile e tortuoso passato, segni che mi legavano perennemente all'HYDRA. La notte, oltre ad essere scesa su New York, era scesa nella mia mente. Guardai i miei piedi penzolare nel vuoto, osservando il giardino del Compound.

Buttati.

Che cosa aspetti? Buttati.

Ho detto buttati.

<<Anche tu qui?>>.

Una voce mi riportò alla realtà, facendomi voltare di scatto. Il viso cupo del sergente Barnes fece capolino dalle tenebre del tetto, illuminato dalla Luna ormai sorta. Gli sorrisi, facendogli cenno di sedersi a fianco a me, invito che accettò volentieri. In silenzio guardammo l'orizzonte buio espandersi dietro la foresta lontana, godendoci la fresca brezza che la notte portava ogni volta con sé. Chiusi gli occhi, lasciando che il vento mi cullasse in uno stato di tranquillità assoluta, in modo da non far trasparire nessun turbamento.

<<È stata una giornata impegnativa oggi Cassandra, torna dentro a riposarti>> disse lui, voltandosi verso di me. Se pensava che io sarei andata a dormire senza avergli tenuto compagnia o perlomeno aiutato si sbagliava di grosso, poi avevo il proposito di non addormentarmi per non fare incubi.

<<Tranquillo, non ho sonno e non sono nemmeno una grande dormigliona>> risposi aprendo gli occhi. Lo guardai sorridente, scrollando le spalle. <<Poi sento che qualcosa ti turba, perciò non andrei mai a letto sapendo che qualcuno qui dentro è in difficoltà>>. Mi sorrise sincero, ringraziandomi profusamente.

Widowmaker: l'antenata dei Supersoldati // Bucky BarnesWhere stories live. Discover now