ᑕᗩᑭITOᒪO 47 |Iᒪ ᖇITOᖇᑎO ᗪI EᗰIᒪIᗩ|

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Il 31 maggio cade di mercoledì questo' anno e questo significa fine della scuola. Ho superato senza troppi intoppi la quinta elementare e ora mi godo l'ultima campanella, assieme ai miei compagni di classe.

La preside fa il discorso di fine anno, che somiglia molto a quello del primo ma con qualche differenza.

«Voglio augurare il meglio alle quinte, che hanno superato la prova meno dura della loro vita. La sesta sarà più impegnativa, ma molti di voi non saranno qui.» Elisabetta parla forte e chiaro con il viso tirato in un accenno di sorriso. Il primo e l'ultimo giorno dell'anno scolastico è obbligatorio vestirsi di bianco e nero e le ragazze devono avere due trecce ai lati della testa ben strette, legate con dei fiocchi bianchi alle estremità. Io, avendo i capelli corti, non potevo intrecciarli, ma ho comunque preso un fiocco e l'ho attaccato sulla nuca con pochi capelli presi da entrambi i lati. Mi sentivo carina, per quanto si possa esserlo a quasi undici anni.

La brezza estiva mi scompigliava i capelli nero corvino e mi spostava la frangia sui lati, scoprendomi la fronte. La sera prima avevo finalmente preso in mano le forbici e avevo accorciato la frangetta insieme alla lunghezza. Marina aveva insistito per darmi una mano così ci siamo chiuse in bagno per un'ora intera e mi sono lasciata pettinare e coccolare con le sue mani fra i miei capelli fini. Era una sensazione di piacere lasciare che qualcuno si prendesse cura di me. Non succedeva spesso.

Una volta che la preside ci ha salutato, augurandoci buone vacanze, i più ribelli hanno buttato gli zaini in aria, atterrando con tonfi sulle teste dei compagni vicini. Non avevamo molti libri da portare a casa, ma a fine anno bisognava portare via tutto ciò che si era accumulato durante l'anno scolastico nelle diverse aule. Io e Marina ridiamo quando riusciamo a schivarne uno che arriva quasi sopra la mia testa e ci affrettiamo a seguire la folla che a spintoni esce dal grande cancello.

Era finita la mia esperienza scolastica in Moldavia e per qualche motivo, sentivo un po' di nostalgia nel pensare che non avrei più avuto Marina accanto, una volta partita per l'Italia. Era lei che mi rendeva la persona forte che apparivo agli occhi di tutti.

Una volta sul marciapiede, ci allontaniamo dai compagni salutando qua e là e mano nella mano, come sempre, andiamo verso l'appartamento. «Cos'hai?» Le chiedo notando il suo sguardo. Non sembrava triste agli occhi degli estranei, ma io li conoscevo troppo bene, assomigliavano molto ai miei. Marina era una di quelle persone che aspettava la pioggia per sentirsi in diritto di essere triste. Io invece potevo piangere guardando l'arcobaleno.

«Ma niente, è che tu tra un mese parti e io resto qui da sola.» Mi confessa quando arriviamo all'ingresso del blocco.

«Ma tu non sei sola. C'è tua madre, tuo fratello con la sua nuova fidanzata e poi c'è Nelu.» Le dico agitando la mano dentro la sua, per incoraggiarla. Non capitava spesso di vederla a disagio, ma chi la conosceva bene sapeva leggere il suo sguardo.

«Sì, ma non è la stessa cosa. Con te è diverso. Io sono diversa!» Capivo a cosa si riferiva. Ci ricaricavamo a vicenda. Io davo una spinta a lei, in totale silenzio, e lei incoraggiava me, con sorrisi e abbracci mai chiesti.

«Cerchiamo di goderci questo mese insieme, ok?» Le chiedo davanti alla porta. Lei si affretta a stringermi in un abbraccio di quelli lunghi ed imbarazzanti per molti, ma non per noi.

«Ti voglio bene. Lo sai questo, vero?» Lo dice sottovoce, quasi si vergognasse ad ammetterlo.

«Ed io te ne vorrò per sempre! Fino alla morte e oltre...» Rivelo arresa. Era impossibile non amare quella creatura dagli occhi da cerbiatta. «Fino alla morte e oltre!» Ripete la mia frase con gli occhi lucidi.

99 TᕼIᑎGᔕ I - ᖇITOᖇᑎO ᗩᒪᒪE OᖇIGIᑎIOnde as histórias ganham vida. Descobre agora